02 ottobre 2013

L' HORCYNUS ORCA DI STEFANO D'ARRIGO FA ANCORA DISCUTERE

Paul Klee



Federico Francucci - Ancora su D'Arrigo
 
[Pochi giorni fa Le parole e le cose ha proposto un saggio di Flavio Santi che formulava una tesi molto netta sul valore dell'opera di Stefano D'Arrigo. Il saggio era uscito originariamente all'interno di un dossier su D'Arrigo pubblicato nel 2007 dalla rivista «Atelier», con saggi, fra gli altri, di Gabriele Frasca, Giancarlo Alfano, Andrea Cortellessa. La curatela e l'introduzione, che di seguito si offre, erano mie. Il pezzo contiene molte cose che oggi non scriverei, ma nella sostanza lo condivido ancora pienamente. Era allora, come è oggi, in amichevole ma radicale dissenso col testo di Flavio (F. Francucci)]

Nel momento di chiuderla, ringraziando coloro che vi hanno partecipato, spero soprattutto che questa raccolta di saggi si posizioni a distanza di sicurezza da intenti meramente celebrativi e sistemazioni neutralizzanti. Si è deciso di parlare di D’Arrigo a partire non da una valutazione concorde di qualche suo assoluto valore, ma da un’attitudine empirica e sperimentale: verificare se l’opera darrighiana, a trentuno e ventuno anni rispettivamente dall’uscita di Horcynus Orca e Cima delle nobildonne, dunque in una cornice storico-culturale assai diversa da allora, e in particolare dal clima in cui il primo romanzo fu concepito (gli anni Cinquanta, non gloriosissimi per nuove fioriture della prosa italiana), possa servire ai lettori, come meccanismo da riattivare inserendovisi, per capire, rimaneggiandone gli effetti depositati sulle pagine, qualcosa che stava accadendo quarant’anni fa e che, sia pure diversamente, continua ad accadere tuttora. Nessuno spazio, allora, al “caso” editoriale, o alle leggende sull’autore (nel 1984 Emilio Giordano aveva già ascritto l’aneddotica, di cui poco importa l’autenticità, al cosiddetto “mito dell’artista”); né a ricerche puramente erudite, che sono in parte state fatte e saranno fatte in altre sedi. Allo stesso modo non è sembrato opportuno ingolfarsi nell’angusto schema mentale delle classifiche di scrittori più grandi e più piccoli, o di romanzi del secolo (nota tipologia quest’ultima, che, diceva Luigi Baldacci nel 1975, conta un nuovo esemplare ogni settimana: quindi lasciamo perdere). Si è cercato di mettere in questione meno l’“importanza” che la portanza, per così dire, dell’opera: da quali flussi, da quali correnti, e in che maniera, essa riesca a farsi sostenere, reggendone l’urto e utilizzandoli per la propria riuscita. Il problema, qui a bella posta formulato in termini vaghissimi, perché le sue diverse specificazioni comportano già un indirizzo di risposta, ha da subito diviso i critici nelle canoniche, e già giovannee, fazioni di caldi, freddi, e tiepidi (e si conosce l’avversione di Giovanni per questi ultimi). Prima del necessario chiarimento, forse è bene elencare alcune implicazioni che, data l’estrema complessità dell’opus in oggetto, e gli svariati domini che esso intercetta, rendono molto difficile formulare un giudizio ponderato.

 http://www.leparoleelecose.it/

Nessun commento:

Posta un commento