03 novembre 2013

TOTO' CUFFARO VISTO DA P. BUTTAFUOCO


Natale in casa Cuffaro

Totò lascia Rebibbia per i servizi sociali. Fategli un regalo: chiudete questa scandalosa regione Sicilia

Premessa.
Quasi certamente a Totò Cuffaro, detenuto dal gennaio 2011 nel carcere romano di Rebibbia, sarà concesso l’affidamento ai servizi sociali. Succederà prima di Natale. E’ l’uomo che ha pagato per tutti. Soprattutto per i suoi successori. Raffaele Lombardo, sotto processo per mafia a Catania, e Rosario Crocetta, governatore attualmente regnante. Uno peggiore dell’altro.

Due sono le disgrazie della disgraziatissima Sicilia. Sono due A. Una è l’Autonomia in nome della quale i deputati regionali non solo si concedono lo spreco ma non si riducono lo stipendio come stabilito a suo tempo dal “decreto Monti”. E poi l’Antimafia. Nel cui nome, la sceriffaglia preposta al controllo piega la nobiltà di tutte le migliori intenzioni ai propri interessi politici. E sono solo nuovi privilegi, nuove clientele e comparaggi resi invincibili in forza di una legalità ridotta a maschera. E a mistificazione. Un dirigente regionale, infatti, non è bravo se si adopera per lo sviluppo e per il lavoro, ma solo se fa due o tre denunce in procura. Con la scusa dell’Autonomia, poi, si continua a fare carne di porco di una terra dove un’assessorina, la studentessa Nelli Scilabra, gestisce per conto dei propri tutori un’operazione faraonica di ottocento milioni di euro per la formazione. E’ la mitica “formazione professionale”, l’immenso parcheggio truffaldino per precari sfaccendati pagati dalla regione.

Due, dunque, le A per la buttanissima regione siciliana dove si rinnova l’antica impostura. La studentessa, di cui sopra, va all’università con l’auto blu. I suoi colleghi l’hanno ripresa col telefonino e il filmino, poi, è stato messo in rete. Il problema, ovviamente, non è questo ma c’è una morale: chi di demagogia ferisce, di demagogia perisce e i guai veri sono altri.
Apre l’Ars, ossia l’Assemblea regionale siciliana e non ci sono leggi da discutere. Ed è come aprire la saracinesca di un negozio dove non entrano mai clienti. Questa è la giornata tipo della Sicilia – aspettare tutto il giorno davanti a una porta, in mezzo a una strada – e si precipita, per dirla con Leonardo Sciascia, verso il fondo senza mai toccare il fondo perché se proprio la vogliamo aggiungere un’altra A e fare la tripletta c’è la A dell’Arruffapopolo che non è proprio quella delle agenzie di rating, piuttosto quella del viceré la cui schiuma taumaturgica sta svelandosi nella più isterica delle sceneggiate.
Ecco come smorfiare la tragedia di Sicilia: quattro meno fa il negozio, più trentacinquemila fa la porta dove non entra più nessuno. Meno quattro è, appunto, il pil, il prodotto interno lordo. Il più, invece, si riferisce ai disoccupati. Sono tutti davanti alla saracinesca della Sicilia e sono trentacinquemila in più. A tutto questo precipitare verso il fondo senza mai toccare il fondo si arriva nell’arco di un anno e si registrano – lo rivela l’Istat mettendo a confronto il dato del secondo trimestre, quello del 2012, con quello del 2013 – ottantaquattromila posti di lavoro in meno.
Smorfia o meno, questo è il gran risultato cui si arriva nell’anniversario di soli trecentosessantacinque giorni. Il datario inizia il 28 ottobre dello scorso anno con l’elezione di Rosario Crocetta alla presidenza della regione – che è la terza A, quella di Arruffapopolo – per culminare un anno dopo, quando a Sala d’Ercole (l’assemblea del Parlamento) i deputati siciliani hanno discusso la mozione di sfiducia a colui il quale tutti quelli che ne pagano mezza di gazzosa riconoscono l’aura del rivoluzionario, dell’antimafio e del profumato di primavera. La metafora della gazzosa è presto spiegata. Ci si riferisce a quelli a cui non costa sforzo lo chic non avendo lo choc di averci a che fare davvero con Crocetta. Come i giornalisti del Sunday Times che non sanno una beata mentula di quel che succede davvero in Sicilia.
Lo so. Non gliene strafotte niente a nessuno della Sicilia. L’Arruffapopolo, signore dell’Autonomia, nonché unto dell’Antimafia ha superato la prova schivando la sfiducia presentata in Parlamento dai Cinque stelle (… ma non c’era l’esperimento Sicilia coi grillini?, diranno i più ingenui) e da Nello Musumeci, leader della destra il cui discorso in Assemblea oramai ha raggiunto in rete visualizzazioni degne di Miley Cyrus: “Ella, presidente”, ha detto Musumeci a Crocetta, facendolo nuovo, “è l’ultimo fedele interprete di Pirandello. E’ uno, è nessuno, è centomila. E’ colui che fa nel modo migliore le cose peggiori”.

I simpatici reporter forestieri fanno volentieri la villeggiatura e ne scrivono meraviglie del governo di Crocetta perché il pittoresco tira tantissimo e perciò: “The gay governor vows to straighten out Sicily”…
Quello va a raccontare agli inviati dei giornali internazionali del suo rischiare giorno dopo giorno. Ruba il mestiere a Roberto Saviano, racconta l’incidente automobilistico dove si sono sfasciati in modo proprio grave gli agenti della sua scorta e, con fare drammatico – col dire e non dire, col trasi e nesci, con la tecnica del “non ho prove ma non lo posso escludere” – lascia intendere che su quei pilastri dell’autostrada, dove disgraziatamente l’auto andò a sbattere, ci fu e non ci fu l’attentatuni!

I grandi giornali italiani, grazie a Dio, non ci cascano più. La favola della primavera, della rivoluzione e dell’antimafio è finita a fischi e piriti ma se l’ha superato il voto sulla mozione di sfiducia, un grazie, il Crocetta, non lo deve dire di certo al suo partito, il Pd, che lo tiene a distanza come si fa con un pollastro querulo cui non basta più il mangime, né alle pattuglie trasformiste formatesi all’indomani delle elezioni. Il vero grazie lo deve consegnare alla voliera dei falchi e delle colombe berlusconiane se poi accanto alla vagheggiata possibilità degli alfaniani di replicare a Palermo un governo simil-lettiano, si unisce la decisione di Gianfranco Micciché – sempre primo al traguardo del cuore di Silvio Berlusconi – di far votare senza se e senza ma la fiducia all’Arruffapopolo.
Lo so. Non strafotte a nessuno della Sicilia e delle sue disgraziatissime A ma cercherò di farla breve.
1) Crocetta viene eletto un anno fa da centrosinistra e Udc. Non aveva la maggioranza in Aula e, tranne qualche iniziale naufrago, inventa il modello Sicilia con i grillini. Merce di scambio la vicepresidenza dell’Ars per Antonio Venturino, oltre al voto sull’abolizione delle province (mai effettivamente abolite, anzi, affidate a commissari di stretta fiducia di Crocetta). Venturino è uno dei leader del M5s che poi mollerà il movimento per tenersi l’intera diaria e, buon ultimo, prendersi anche la satanica auto blu.
2) Strada facendo sono nati altri gruppi, tutti trasformisti, tra cui “Articolo 4” che non è una band musicale ma una pattuglia formatasi coagulando una costola Udc (ex autonomisti) e traditori vari del facilmente tradibile centrodestra. Questo ha iniziato a cambiare la geografia della maggioranza, fino al voto di ieri che ha visto Crocetta sostenuto non più dal progetto rivoluzionario, ma da una maggioranza che si fonda sul trasformismo.
3) Perché la mozione? Si erano rotti i rapporti con il Pd che era uscito dalla maggioranza e una parte del centrodestra, l’area Alfano-Schifani che ha lavorato per un governo regionale sul modello del governo di Enrico Letta ha poi dovuto fare i conti con Musumeci, pronto a prendere l’iniziativa per tornare a guidare, di fatto, l’opposizione. Coi falchi di Micciché schierati con Crocetta.
Ecco, l’ho fatta breve. Crocetta nel day after (mettiamola così per fare contenti quelli del Sunday Times), dovrà arrivare al rimpasto dove verrà verosimilmente imbrigliato dai volponi centristi. Presuntuoso com’è sta ridicolmente rimuginando la possibilità di dimettersi e lanciarsi nella scena nazionale quando, finita l’esperienza Letta, potrebbe candidarsi per la premiership contro Matteo Renzi e allora altro che Ponte Vecchio dato in affitto.

L’ho fatta breve anche perché Crocetta altro non cerca che una scorciatoia. E’ terrorizzato da un’assicurazione che, pasticcione reo confesso qual è, ha sottoscritto contro gli incidenti in materia amministrativa. Non pensa ad altro che a pagare queste tratte mensili. Con chiunque parli la prima ansia che svela è questa e siccome prende più soldi di Barack Obama ogni volta si avventura in disquisizioni su contributi e versamenti previdenziali degni della migliore patafisica.
La politica, in Sicilia, è una carriera e se solo si aprisse questo capitolo del pittoresco gelese non ci sarebbe da mettere in fila Roberto Cavalli, Flavio Briatore e perfino Alfonso Signorini in idem sentire con un brand qual è Renzi ma tutta un’idea dell’Arruffapopolo e della scumazza taumaturgica la cui sostanza è svelata in un gioco semplice semplice e che è questo: la Regione siciliana è il posto dove governa Crocetta, regna Confindustria e dove la regia è sempre quella di Beppe Lumia.
Crocetta, Confindustria e Lumia, dunque. Del primo ho già scritto, della seconda è presto detto: non fanno proposte di sviluppo e di crescita, si limitano a declamare l’Antimafia e a recuperare benefici dell’Autonomia tanto è vero che le poche risorse sono finalizzate alla strategia di concentrazione dei carrozzoni quali l’Irsap e un posto di lavoro in più, almeno uno, cotanta Confindustria non l’ha creato. Del terzo, del regista infine – capo assoluto degli antimafi di tutte le antimafie, onnipresente e padrone vero del governo di Raffaele Lombardo prima e di Crocetta oggi – dirò con il “Tractatus logico-philosophicus” di Ludwig Wittgenstein: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Le conseguenze del significato linguistico della proposizione le tragga dunque il lettore.
La situazione è il disastro. Crocetta viene dopo Lombardo che, a sua volta, venne dopo Totò Cuffaro e la situazione è così un disastro – lo stato delle cose è in un grado così sventurato – che ognuno porta a far rimpiangere il predecessore. E la quarta toccante e dolcissima A di Sicilia, disgraziatissima qual è, è dunque la A di Agnus Dei. E’ l’Agnello sacrificale ristretto nelle carceri di Rebibbia, ossia Totò Cuffaro che sconta la propria pena e paga per tutti. Soprattutto paga per chi, facendo il peggio al meglio, si fa forte della tracotanza avvelenando i pozzi della stessa critica e dell’onestà intellettuale per impedire il libero esercizio del dibattito. Chiunque osi fare l’unica necessaria denuncia – la Sicilia è prossima al fallimento, anzi, la Sicilia è già fal-li-ta! – viene derubricato in automatico: omofobo e, in secundis, mafioso. Questo è il menu offerto da Crocetta a chi osa disturbarlo. E ne sanno qualcosa i ragazzi di LiveSicilia, il sito d’informazione più diffuso, su cui lui, quando è a corto di anatemi, esercita scherno. Come quando accusa i deputati dell’opposizione: “Voi leggete troppo LiveSicilia e non il Sunday Times…”.
E si sa: LiveSicilia ha dato alle stampe un dossier, “Un Rosario di bugie”, dove vi sono elencate le fanfaronate del nostro Pappagone. Altro che Sunday Time’s.
I pozzi sono proprio avvelenati e perfino un monumento come Lucia Borsellino è stato ridotto ad essere instrumentum regni e totem di distrazione della rovina incipiente. La Borsellino, infatti, assessore regionale della Salute, persona alla quale ognuno s’inchina in memoria del martirio del padre, un solo provvedimento nella sua amministrazione non l’ha preso. Stanno fallendo in Sicilia tutte le aziende della sanità (eccetto le cliniche) e perciò qui urge la domanda: dove può mai portare una strategia di governo come questa se poi l’Antimafia, per interposta attività regionale, non viene amministrata nemmeno dagli assessori, ma dai segretari degli assessori? Dopo di che capitano i guai. Fa parte della mobilitazione antimafia una delibera di giunta firmata in piena estate per dare il via libera all’aumento di cinquanta posti letto nella clinica Humanitas, in progetto a Misterbianco, diretta dalla madre del deputato regionale di Articolo 4, Luca Sammartino?

Il fondo non arriva al fondo e tutti gli assessori del governo siciliano sono solo finzioni e sono cartoon se poi Michela Stancheris, la segretaria che Crocetta ha nominato responsabile della Cultura in giunta dopo aver cacciato Franco Battiato, si veste da Superwoman, certificando con una pulcinellata scolpita sul web, un lapsus: l’inadeguatezza a guidare una realtà dove ben oltre il 50 per cento del patrimonio artistico nazionale, mentre le Camere di Commercio sono in allarme perché a Cefalù, alle Eolie e a Taormina perfino i turisti non arrivano più, resta in ostaggio di dilettanti allo sbaraglio. Simpatici figuranti buoni al più per le puntate dell’“Arena” su Rai1 sono questi assessori, contorno per il governatore che, grazie a Klaus Davi, il suo consigliori, profonde annunci che non vedranno mai luce. A proposito, scommettiamo che dovranno convocare i comizi elettorali per il rinnovo delle province?
Due sono dunque le disgrazie della Sicilia. Sono le due A. Quelle dell’Autonomia. E quella dell’Antimafia. Poi c’è la terza A di complemento. E’ la A di Arruffapopolo, ed è quel Pappagone di Sicilia, epigono propagandistico dei tanti Antonio Ingroia, ormai ridotto – almeno questo – a cantare nei matrimoni…

Un Arruffapopolo, il Cetto Crocetto La Qualunque, che solo lo stato, a questo punto, commissariandolo, dovrebbe togliere perché nessuna nuova elezione potrà portare salvezza in Sicilia dove i pozzi trasudano solo i veleni del ricatto e i miasmi di ipocrisie proprie di quel fondo dove si cade senza mai arrivare in fondo. Solo lo stato, dunque, con un commissario straordinario potrà portare rimedio in Sicilia. Un Cesare Mori, dunque, che si faccia carico della responsabilità politica per strappare finalmente dalle carni di Sicilia quelle due A. Autonomia e Antimafia che come flatus vocis sembrano parole bellissime ma che nell’applicazione gaglioffa altro non sono che due metastasi. E’ quel cancro cui la Sicilia non sa più opporre che chemioterapia di pura retorica.
Post scriptum.
La quarta A, infine. La A di Agnus Dei. Mettetevi nei panni di un siciliano che la notte, quella dei morticini appena consumata nelle prime ore di questo giorno, pensa a Totò chiuso in cella. Ha pagato e paga per tutti, agnello sacrificale di tutta una storia dove chi gli è succeduto ha fatto al meglio il peggio, povero figlio stretto in catene e che solo la pietas della giustizia potrà accompagnare a un provvedimento veramente equo. Concedergli, infine, la possibilità di affidamento ai servizi sociali dove lui potrà fare quello che da sempre ha saputo fare – il ragazzo di parrocchia – e così restituirlo all’unico possibile risarcimento. Fare il Natale in casa Cuffaro.




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