20 settembre 2024

SOPHIA LOREN NELLA STORIA DEL CINEMA ITALINO

 


Marco Ciriello, Storia delle donne italiane attraverso Sophia Loren, Domani, 20 settembre 2024

Generata non creata dagli dèi meridiani di Napoli, stretta tra i pensieri che venivano quando costringeva Vittorio De Sica a ballare il mambo – «E che r’’è stu mambo?». «’Na danza brasiliana» –, apparsa all’Italia con più stupore e tempo d’esistenza della dolce vita, madonna che appartiene al sud del sud dei santi e che finisce tra le regine di Hollywood: Sophia Loren è l’Italia prima e dopo il fascismo, della prima e della seconda e potete giurarci anche della terza e quarta Repubblica.
L'Italia del Boom c
he poteva permettersi di guardare allo stupro di una ragazzina mentre finiva la guerra e non da parte dei tedeschi (Cesira, La Ciociara, 1960); come di raccontarci la vita di un’ex prostituta romantica e innamorata e pure tri-mamma (Filumena, Matrimonio all’Italiana, 1964); che poteva essere contrabbandiera da mettere in carcere in caso di mancata figlianza (Adelina, Ieri, oggi, domani, 1963); e che poteva essere una donna fascista nel film più antifascista del cinema italiano (Antonietta, Una giornata particolare, 1977) che colpiva il regime con le battute di Marcello Mastroianni.

...

Pane, amore e... 1955


 

 La chiosa a queste quattro grandi donne è un’altra donna, tra le tante interpretate dalla Loren, Sofia Cocozza in Pane, amore e... (1955) che balla il mambo in un vestito rosso e ad ogni colpo di fianchi e oscillazione del seno fa montare desideri da montagne russe, tutti sgonfiati dall’autorità comica di Vittorio De Sica. È selvaggia, sensuale, esagerata e lui legnoso, goffo e intimorito. Questa era l’Italia davanti a Sophia: aveva voglia di amarla, ma s’impappinava, mentre lei ballava e guardava altrove.


GRANDE MOSTRA DI FOTOGRAFIA E POESIA ALL' ALBERGO DELLE POVERE

 




Il "nostro" Giacomo Giardina

Le mani di Salvatore Quasimodo e un suo manoscritto

Due poesie di Quasimodo






Gnaziu Buttitta  a  Portella


19 settembre 2024

IGNAZIO BUTTITTA

 


Il 19 settembre 1899  nasce  Ignazio Buttitta.

LA SINISTRA IN ITALIA HA PERDUTO L' EGEMONIA CULTURALE DA ALMENO 40 ANNI

 


Una volta tanto sono d'accordo con il Corriere della Sera: l' egemonia culturale in Italia, almeno da 40 anni, è in mano alla destra. La sinistra ha cominciato a perderla, subito dopo la morte di Berlinguer, quando ha abbandonato Gramsci alle ortiche. 

Rimane imperdonabile per me avere dissipato la grande eredità gramsciana. (fv)

18 settembre 2024

ITALO CALVINO e SILVANA MANGANO

 





Di Silvana Mangano, 18enne protagonista di “Riso amaro”, bellissima, erano innamorati tutti. Come si poteva rimanere impassibili di fronte al fascino della mondina in calze sopra le ginocchia, maggiorata, viso incantevole e sguardo di sfida. È diventata l’immagine del film. Per lei fu l’inizio di una carriera folgorante, che rivelò una diva italiana da far invidia a Hollywood. Dietro il film c’era l’appoggio del partito comunista e l’Unità sentì l’esigenza di mandare un inviato che avesse le carte in regola, che conoscesse il linguaggio cinematografico per aver visto tanti film fin dall’adolescenza, in certi periodi anche uno al giorno, e certamente per averne letto a fondo. Italo Calvino disse di sì e si recò in Piemonte, nelle campagne vercellesi, più precisamente nella cascina Venezia e nella Tenuta Selve. Un’esperienza notevole per un giovane scrittore che avrebbe avuto successo frequentando i generi letterari più diversi, dal realismo, subito dopo la guerra, alla sperimentazione al post moderno. Una coraggiosa ricerca che ne fece uno dei più grandi intellettuali italiani del novecento. Scrive anche per attenuare la pesantezza della retorica:

“Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazioni di cui posso rendermi conto.” E forse anche per questo va alla ricerca di nuove forme, storie, espressioni, maturazioni linguistiche. Quando arriva sul set di “Riso Amaro” è iscritto al Pci ma sta tentando di essere assunto a L’Unità”. Raf Vallone, responsabile della terza pagina, gli affida una rubrica, ma fra i due non scatta l’amicizia. Sia l’uno che l’altro però ascoltano i consigli di Pavese. Bisognava stare attenti perché non parlava molto. Ma a volte basta vederli lavorare i maestri per apprendere i segreti del mestiere. Certo, arrivando sul set di De Santis non avrebbe mai immaginato di trovare una creatura come la giovane Silvana, Ne rimase incantato e lo rivela l’articolo pubblicato da L’Unità il 14 luglio1948, dove tra l’altro Italo Calvino scrive:

”Silvana Mangano sarà una delle grandi fortune del film. È romana, ha 18 anni, il viso e i capelli della Venere di Botticelli ma un’espressione più fiera, dolce e fiera insieme, occhi oscuri, un incarnato terso e limpido senza ombre né luci, spalle che si aprono con una dolcezza da cammeo, un busto di ardita armonia di linee trionfali e aeree, la vita come uno stelo snello, e un mirabile ritmo di curve piene e di arti longilinei. Insomma, a farla breve, Silvana Mangano m’ha fatto una grandissima impressione e devo dichiarare che nessuna fotografia può bastare a darne un’idea.”

ATTILIO GATTO

IL PROCESSO A FABRIZIO DE ANDRE' PER UNA CANZONE

 



IL PROCESSO A FABRIZIO PER “CARLO MARTELLO”

Nel 1967 Fabrizio De Andrè e la sua casa discografica vanno a processo. La famosa canzone dedicata a Carlo Martello ("Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers", le parole che compongono il brano sono opera di Paolo Villaggio, fraterno amico di Fabrizio) è infatti accusata di violazione della legge sugli atti osceni.
A essere particolarmente sotto accusa il passaggio del re che si lamenta di “come finiscono le avventure in codesto paese” e alcune parolacce. De Andrè sarà assolto, ma questa vicenda rende l’idea di quale fosse il clima censorio nel paese all’epoca (oggi la maggioranza delle canzoni non supererebbero la censura, con questi standard di giudizio).
Ecco comunque il testo incriminato:
Re Carlo tornava dalla guerra
Lo accoglie la sua terra
Cingendolo d'allor
Al sol della calda primavera
Lampeggia l'armatura
Del sire vincitor
Il sangue del principe del Moro
Arrossano il ciniero
D'identico color
Ma più che del corpo le ferite
Da Carlo son sentite
Le bramosie d'amor
"Se ansia di gloria e sete d'onore
Spegne la guerra al vincitore
Non ti concede un momento per fare all'amore
Chi poi impone alla sposa soave di castità
La cintura in me grave
In battaglia può correre il rischio di perder la chiave"
Così si lamenta il Re cristiano
S'inchina intorno il grano
Gli son corona i fior
Lo specchi di chiara fontanella
Riflette fiero in sella
Dei Mori il vincitor
Quand'ecco nell'acqua si compone
Mirabile visione
Il simbolo d'amor
Nel folto di lunghe trecce bionde
Il seno si confonde
Ignudo in pieno sol
"Mai non fu vista cosa più bella
Mai io non colsi siffatta pulzella"
Disse Re Carlo scendendo veloce di sella
"De' cavaliere non v'accostate
Già d'altri è gaudio quel che cercate
Ad altra più facile fonte la sete calmate"
Sorpreso da un dire sì deciso
Sentendosi deriso
Re Carlo s'arrestò
Ma più dell'onor potè il digiuno
Fremente l'elmo bruno
Il sire si levò
Codesta era l'arma sua segreta
Da Carlo spesso usata
In gran difficoltà
Alla donna apparve un gran nasone
E un volto da caprone
Ma era sua maestà
"Se voi non foste il mio sovrano"
Carlo si sfila il pesante spadone
"Non celerei il disio di fuggirvi lontano,
Ma poiché siete il mio signore"
Carlo si toglie l'intero gabbione
"Debbo concedermi spoglia ad ogni pudore"
Cavaliere egli era assai valente
Ed anche in quel frangente
D'onor si ricoprì
E giunto alla fin della tenzone
Incerto sull'arcione
Tentò di risalir
Veloce lo arpiona la pulzella
Repente la parcella
Presenta al suo signor
"Beh proprio perché voi siete il sire
Fan cinquemila lire
è un prezzo di favor"
"E' mai possibile o porco di un cane
Che le avventure in codesto reame
Debban risolversi tutte con grandi puttane,
Anche sul prezzo c'è poi da ridire
Ben mi ricordo che pria di partire
V'eran tariffe inferiori alle tremila lire"
Ciò detto agì da gran cialtrone
Con balzo da leone
In sella si lanciò
Frustando il cavallo come un ciuco
Fra i glicini e il sambuco
Il Re si dileguò
Re Carlo tornava dalla guerra
Lo accoglie la sua terra
Cingendolo d'allor
Al sol della calda primavera
Lampeggia l'armatura
Del sire vincitor

"EREDITA' DISSIPATE" recensito da FRANCESCO VINCI

 



"Come l’autore stesso esplicita, sia nell’introduzione che nella nota conclusiva, la tesi di fondo che anima le pagine di questo libro è che la grande lezione di questi tre giganti del secolo scorso (Gramsci Pasolini Sciascia) venga dissipata (appunto), dimenticata o rimossa: un po’ per la loro sostanziale inclassificabilità e il loro percorso eretico, ma soprattutto per la crisi della cultura e del pensiero critico nell’epoca dell’opinionismo estemporaneo dei talk e delle approssimazioni social".

Sul portale ItacaNotizie.it e su C'è in Città di oggi recensisco Eredità dissipate di Francesco Virga (presentato a Finestre sul Mondo - Marsala nel luglio scorso).

Francesco Vinci |

mercoledì 18 Settembre 2024 - 07:00

Dopo una fortunata prima edizione, Eredità dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia di Francesco Virga (Diogene Multimedia, pp. 404, euro 28) viene ripubblicato in una edizione riveduta e ampliata, che ancora una volta riesce perfettamente a coniugare il rigore scientifico dell’impianto saggistico, con tanto di citazioni e apparato critico, e una larga godibilità di lettura: una chiarezza di linea espositiva che Virga mutua anche dal mestiere di insegnante e dalla lunga attività di blogger militante. O magari è in qualche modo una di quelle eredità gramsciane evocate nel titolo e messe a frutto nel taglio argomentativo e nel tono della scrittura. Non amo molto, in genere, usare il termine divulgazione, ma sicuramente il libro è anche un ausilio prezioso per approcciarsi a queste tre figure o approfondirle, oltre i luoghi comuni, le vulgate e le nozioni scolastiche. Le tre parti che compongono questa raccolta di saggi si possono infatti agevolmente leggere come dei corposi contributi critici a sé stanti sulle figure di Gramsci, Pasolini e Sciascia, anche se nel volume confluiscono anche degli scritti occasionali – in gran parte pubblicati previamente su varie testate e riviste – in cui lo spettro d’indagine si allarga su aspetti meno battuti dei tre autori. Penso per esempio al capitolo dedicato a Pasolini e Bach, che prende le mosse da uno studio recente di Claudia Calabrese sul rapporto tra Pasolini e la musica.

Come tanti testimoni e lettori eccellenti hanno attestato nel corso delle due edizioni (in appendice a questa nuova edizione troviamo una galleria di note critiche, firmate tra gli altri da Gaspare Polizzi e da Nicolò Messina), Eredità dissipate si colloca come punto di incrocio tra critica e esegesi letteraria, analisi politica e storia della cultura italiana nel secondo ‘900. Un lavoro di ricerca annoso e di lungo respiro in cui Franco Virga si mette sulle tracce della ricezione di Antonio Gramsci nelle opere di Pasolini e Sciascia, scandaglia e collega testi, documenti, testimonianze con una perizia filologica e una passione militante davvero esemplari.

Di Pasolini si rileva in primo luogo che la sua interpretazione del marxismo è assimilabile a quella di Gramsci, in quanto metodo e strumento per comprendere i fatti storicamente determinati, e non sistema fisso e pura dottrina dogmatica, soprattutto nel Pasolini interventista e collaboratore del settimanale comunista “Vie Nuove” (mentre si tralascia volutamente il Pasolini tormentato delle Ceneri di Gramsci, diventato quasi un luogo comune critico). Di Sciascia si ricorda invece la lunga e intensa attività pubblicistica sulle pagine de “L’Ora” di Palermo che – come scrive Virga – sono di “inconfondibile impronta gramsciana, persino nello stile graffiante della sua scrittura”.

Come l’autore stesso esplicita, sia nell’introduzione che nella nota conclusiva, la tesi di fondo, e se non una vera e propria tesi, una preoccupazione che anima le pagine di questo libro è che la grande lezione di questi tre giganti del secolo scorso venga dissipata (appunto), dimenticata o rimossa: un po’ per la loro sostanziale inclassificabilità e il loro percorso eretico, ma soprattutto per la crisi della cultura e del pensiero critico nell’epoca dell’opinionismo estemporaneo dei talk e delle approssimazioni social.


Pezzo ripreso da:  https://itacanotizie.it/2024/09/18/il-gramsci-dissipato-di-francesco-virga/

PLATONE INCOMPRESO DA POPPER PER MOTIVI POLITICI

 



Nel dicembre del 1936 Karl Popper, scomparso il 17 settembre del 1994, lasciò Vienna, dove era nato nel 1902, e scelse l’esilio, raggiungendo la Nuova Zelanda, dove insegnerà fino al 1945 presso la Canterbury University, a Christchurch. Da quel lontano punto di osservazione, la sua analisi dei totalitarismi prese forma in un libro fondamentale per il pensiero del Novecento, La società aperta e i suoi nemici (1945). Finita la guerra, Popper accettò un lettorato offertogli da Friedrich von Hayek alla London School of economics, divenne poi cittadino britannico e fu nominato Sir nel 1965. Il primo volume della Società aperta, Platone totalitario (il secondo ha per titolo Hegel e Marx Falsi profeti), dimostra come Popper si accostasse al filosofo ateniese per contrastare le teorie che, in forme diverse, furono manipolate dalla propaganda totalitaria. Johann Chapoutot ha scritto in proposito che, nella rilettura nazista della grecità, il filosofo ufficiale del Terzo Reich divenne Platone e non Nietzsche, a cui Hitler non perdonava di essersi allontanato da Wagner. La Repubblica era, per Popper, il prototipo di una società chiusa, che rispecchiava, come un uomo in grande, la struttura tripartita e gerarchica dell’anima. Porre la domanda, come fa Platone, su chi debba governare implica una risposta che indica i migliori. Bisogna piuttosto, precisa Popper, chiedersi quale sia il metodo per proteggere le istituzioni dai tiranni e garantire l’alternanza senza ricorrere alla violenza. La concezione platonica della leadership è per Popper del tutto illiberale. Rinvia infatti al Mito delle stirpi e alla Sacra bugia, legittimando una disuguaglianza originaria tra gli uomini. Il fondamento della Repubblica risiede dunque nell’autorità del mito e non in un accordo o in un contratto. La Sacra bugia autorizza inoltre i filosofi a elaborare “una costruzione globale della società”, definita da Popper ingegneria sociale utopistica. Ad essa contrappone una ingegneria sociale gradualista, che riduce i mali senza promettere di realizzare il bene supremo.
Non erano sicuramente della sua opinione Alexandre Koyré, che individuò nella Repubblica un ideale regolativo e Hans Georg Gadamer, il quale la considerava un “archetipo in cielo”, che può offrire un orientamento ai singoli e agli Stati. Popper non sembra tener adeguatamente conto della differenza tra libertà antica e libertà moderna, al centro della celebre conferenza tenuta da Benjamin Constant a Parigi, all’Athénée Royal, nel 1819. Il più oscuro cittadino di Roma e di Sparta, scriveva Constant, decideva della pace e della guerra, ma doveva, come privato, accettare di essere “circoscritto, scrutato, compresso in tutti i suoi movimenti”. Il sistema rappresentativo ha permesso invece ai moderni di delegare alcuni individui a svolgere quei compiti a cui molti cittadini, intenti ai propri affari, non sono interessati. Se la libertà antica coincideva con l’esercizio dei diritti politici, la libertà moderna trova infatti espressione nella “sicurezza nei godimenti privati”. La concezione organica della polis, in cui la comunità prevale sull’individuo, appartiene al mondo greco nel suo complesso, con eccezioni che possono riguardare Democrito o la Sofistica. La democrazia ateniese del V secolo non può porsi accanto alla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, come le concezioni olistiche, in Eraclito, in Platone o negli Stoici, non prefigurano i regimi totalitari.
È evidente che Popper non volesse proporre una interpretazione storicofilologica della Repubblica, come emerge nella prefazione alla seconda edizione de La società aperta, quando scrive che l’idea dell’opera nacque dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Ecco perché alcune critiche possono apparire «più emozionali e aspre di tono» di quanto ci si aspetti, ma non era il tempo di smorzare le parole, sottolinea Popper . Descrivere Platone come il teorico della società chiusa, in cui il “richiamo della tribù” domina sul proceduralismo liberale, diveniva allora un “pretesto” per denunciare i regimi totalitari. In una intervista rilasciata a Giancarlo Bosetti e Nina Fürstenberg (“Corriere della sera”, 15 marzo 2002), Gadamer dichiarava di essere diventato amico di Popper nonostante litigassero su Platone. Se in Gadamer prevaleva il rigore ermeneutico, in Popper a prevalere era l’esigenza di smascherare i falsi profeti che, immaginando di edificare sulla terra la Gerusalemme celeste, giustificavano ogni atrocità. Nelle teocrazie ideologiche, di destra e di sinistra, il tradimento dei chierici è stato ampiamente diffuso e pochi si sono sottratti alle seduzioni totalitarie. Dahrendorf ricorda tra questi Isaiah Berlin, Raymond Aron e Karl Popper, e li descrive come quegli uomini erasmiani, «che mantengono chiara la rotta della ragione anche in mezzo alle tempeste scatenate nella loro epoca dai profeti».

 

Elio CappuccioAnniversario. Karl Popper, l'ultimo erasmiano che diede del totalitario a Platone, Avvenire, 17 settembre 2024

 


CAOS TRA TERRA E CIELO

 



Esiodo

Dunque, per primo fu il Chaos, e poi
Gaia [la terra] dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti
gli immortali che tengono le vette dell'Olimpo nevoso,
e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade,
e poi Eros, il più bello fra gli dèi immortali,
che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini
doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.
Da Chaos nacquero Erebo e nera Nyx.
Da Nyx provennero Etere [il cielo superiore] e Hemere
che lei partorì concepiti con Erebo unita in amore.

 

Jean-Pierre Vernant
L'universo, gli dei, gli uomini. Il racconto del mito
Einaudi, Torino 2000 [1999]

 

Mito, mitologia, sono proprio parole greche legate alla storia e ad alcuni aspetti di questa civiltà. Bisogna allora concluderne che tali definizioni non sono piú pertinenti al di fuori di essa e che il mito, la mitologia non esistono che sotto tale forma e soltanto in senso greco? È vero piuttosto il contrario. Le leggende greche, per essere capite, richiedono di essere comparate con i racconti tradizionali di altri popoli, appartenenti a culture e a epoche molto diverse, che si tratti della Cina, dell'India, del Vicino Oriente antico, dell'America precolombiana o dell'Africa. Se il confronto è necessario, è perché quelle tradizioni narrative, per quanto differenti siano, presentano fra di loro e in rapporto al caso greco, sufficienti punti in comune per apparentarle. Claude Lévi-Strauss può affermare, come se si trattasse di un'evidenza, che un mito, da qualsiasi parte provenga, si riconosce d' emblée per ciò che è senza correre il rischio di confonderlo con altre forme di racconto. La differenza con il racconto storico è cosí ben marcata che in Grecia quest'ultimo si è formato, in un certo senso, contro il mito, nella misura in cui si è sviluppato come il resoconto esatto di avvenimenti abbastanza vicini nel tempo perché testimoni affidabili avessero potuto attestarli. In quanto al racconto letterario, si tratta di una pura finzione che si dichiara apertamente come tale e la cui qualità è, prima di tutto, data dal talento e dal mestiere di colui che l'ha creata. Entrambe queste due forme di racconto sono normalmente attribuite a un autore che se ne assume la responsabilità e che le tramanda sotto il proprio nome, per scritto, a un pubblico di lettori.
Di ben altra natura è io statuto del mito. Il mito si presenta sotto forma di un racconto venuto dalla notte dei tempi e che esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo. In questo senso, il racconto mitico non dipende dall'invenzione personale né dalla fantasia creatrice, ma dalla trasmissione e dalla memoria. Questo legame intimo e funzionale con la memorizzazione riavvicina il mito alla poesia che, in origine, nelle sue manifestazioni piú antiche, può confondersi con il processo di elaborazione mitica. A questo riguardo è esemplare il caso dell'epopea omerica.

 

Cosmogonia greca elementare

Che cosa c'era, quando ancora non c'era qualcosa, quando non c'era proprio nulla? A questa domanda, i Greci hanno risposto con miti e racconti.
In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cos'è Voragine? È un vuoto, un vuoto oscuro, dove niente può essere distinto. È un punto di caduta, di vertigine e di confusione, un precipizio senza fine, senza fondo. Si viene ghermiti da Voragine come dall'apertura di fauci immense in cui tutto può essere ingoiato e confuso in un'unica notte indistinta. In origine dunque, non esiste che Voragine, abisso cieco, notturno, sconfinato.
Poi apparve la Terra. I Greci la chiamarono Gaia. E dal seno stesso di Voragine che sorse la Terra. Eccola dunque, nata subito dopo Caos, di cui rappresenta per certi aspetti il contrario. La Terra non è più uno spazio di caduta oscuro, senza limiti, indefinito. La Terra possiede una forma distinta, separata, precisa. Alla confusione, all'indistinto carico di tenebre di Caos, Gaia oppone nettezza, compattezza, stabilità. Sulla Terra ogni cosa è ben delineata, visibile, solida. Gaia può essere definita come il suolo su cui dèi, uomini e animali camminano con sicurezza. Gaia è il pavimento del mondo.

 

Nel profondo della Terra: Voragine

Chaos, dunque, è un sostantivo neutro e non maschile. Gaia, la Terra madre, è evidentemente un femminile. Ma, chi può mai amare al di fuori di se stessa, visto che la Terra è sola con Caos? L' Eros che appare per terzo, dopo Voragine e Terra, non è inizialmente quello che presiede agli amori sessuati. Il primo Eros esprime un'energia nell'universo. Così come un tempo la Terra è sorta da Voragine, dalla Terra scaturirà ciò che essa contiene nelle sue profondità. Quello che era in lei, mescolato a lei, si trova portato al di fuori: Terra lo partorisce senza aver bisogno di unirsi a nessuno. Ciò che libera e palesa è proprio l'indistinto che, nell'oscurità, dimorava al suo interno.

La Terra partorisce dapprima un personaggio molto importante, Ouranos, il Cielo, e anche il Cielo stellato. Poi, mette al mondo Pontos, cioè l'acqua, tutte le acque, e piú precisamente Flutto marino, dal momento che il nome greco è maschile. La Terra li concepisce senza unirsi a nessuno. Attraverso la forza interiore che porta in sé, Terra sviluppa quello che già era in lei e che, dal momento in cui lo libera, diventa il suo doppio e il suo contrario. Perché? Perché crea il Cielo stellato uguale a sé, come una replica altrettanto solida, altrettanto stabile e simmetrica. Allora Urano si stende su di lei. Terra e Cielo costituiscono così due piani sovrapposti dell'universo, un pavimento e una volta, un sotto e un sopra che si coprono a vicenda, completamente.

 


17 settembre 2024

MAFIA & POLITICA: in Sicilia nulla di nuovo.




 IN SICILIA NULLA DI NUOVO

Ma, come aveva ben visto Sciascia, la linea della palma ha ormai valicato persino le Alpi. La mafia regna  anche in Europa e nel mondo intero. (fv)

16 settembre 2024

Una poesia di Angelo Maria Ripellino dedicata ai miei nipoti

 






Vorrei che tu fossi felice, cipollina, vorrei

che tu non conoscessi il cane nero della sventura,

quando sarai uscito dal blu dell’infanzia.

Vorrei che tu non debba portare bazooka,

che non debba tremare nel folto di un bombardamento

che tu non debba pagare per le mie colpe

né vergognarti di me, del mio cicaleccio

e dei miei vani versi e della mia professura.

Vorrei che tu non fossi mai gramo o malato

o maldestro come Scardanelli,

vorrei vivere nella tua voce, nei tuoi gesti, nei tuoi occhi

anche quando mi avrai dimenticato.

 

ANGELO MARIA RIPELLINONotizie dal Diluvio, Einaudi 1969


IL DIRITTO INTERNAZIONALE RIPETUTAMENTE VIOLATO DAGLI U.S.A.

 



IL DIRITTO INTERNAZIONALE Più VOLTE VIOLATO DAGLI U.S.A.

Marco Rovelli

 

Nel 1999, la NATO ha bombardato Belgrado per 78 giorni con l'obiettivo di smembrare la Serbia e dare vita a un Kosovo indipendente, oggi sede di una delle principali basi NATO nei Balcani.

Nel 2001, gli Stati Uniti hanno invaso l'Afghanistan, provocando 200.000 morti, un Paese devastato e nessun risultato politico.

Nel 2002, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato sui missili anti-balistici, nonostante le strenue obiezioni della Russia, aumentando drasticamente il rischio nucleare.

Nel 2003, gli Stati Uniti e gli alleati della NATO hanno rinnegato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite entrando in guerra in Iraq con un pretesto. L'Iraq è ora devastato, non è stata raggiunta una vera pacificazione politica e il parlamento eletto ha una maggioranza pro-Iran.

Nel 2004, tradendo gli impegni presi, gli Stati Uniti hanno proseguito con l'allargamento della NATO, questa volta con l'ingresso degli Stati baltici, dei Paesi della regione del Mar Nero (Bulgaria e Romania) e dei Balcani.

Nel 2008, nonostante le pressanti e strenue obiezioni della Russia, gli Stati Uniti si sono impegnati ad allargare la NATO alla Georgia e all'Ucraina.

Nel 2011, gli Stati Uniti hanno incaricato la CIA di rovesciare il governo siriano di Bashar al-Assad, alleato della Russia. La Siria è devastata dalla guerra. Gli Stati Uniti non hanno ottenuto alcun vantaggio politico.

Nel 2011, la NATO ha bombardato la Libia per rovesciare Moammar Gheddafi. Il Paese, che era prospero, pacifico e stabile, è ora devastato, in una guerra civile ed in rovina.

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno cospirato con le forze nazionaliste ucraine per rovesciare il presidente Viktor Yanukovych. Il Paese si trova ora in un'aspra guerra.

Nel 2015, gli Stati Uniti hanno iniziato a piazzare i missili anti-balistici Aegis in Europa orientale (Romania), a breve distanza dalla Russia.

Nel 2016-2020, gli Stati Uniti hanno sostenuto l'Ucraina nel minare l'accordo di Minsk II, nonostante il sostegno unanime da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Paese si trova ora in un'aspra guerra.

Nel 2021, la nuova amministrazione Biden ha rifiutato di negoziare con la Russia sulla questione dell'allargamento della NATO all'Ucraina, provocando l'invasione.

Nell'aprile 2022, gli Stati Uniti invitano l'Ucraina a ritirarsi dai negoziati di pace con la Russia. Il risultato è l'inutile prolungamento della guerra, con un aumento del territorio conquistato dalla Russia.

Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno cercato e cercano tuttora, senza riuscirci e fallendo costantemente, un mondo unipolare guidato da un'egemonia statunitense, in cui Russia, Cina, Iran e altre grandi nazioni devono essere sottomesse.

In questo ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti (questa è l'espressione comunemente usata negli Usa), gli Stati Uniti e solo gli Stati Uniti hanno diritto di determinare l'utilizzo del sistema bancario basato sul dollaro, il posizionamento delle basi militari all'estero, l'estensione dell'adesione alla NATO e il dispiegamento dei sistemi missilistici statunitensi, senza alcun veto o voce in capitolo da parte di altri Paesi.

Questa politica estera arrogante ha portato a guerre continue, paesi devastati, milioni di morti, una crescente rottura delle relazioni tra il blocco di nazioni guidato dagli Stati Uniti - una piccola minoranza nel pianeta e ora nemmeno più economicamente dominante - e il resto del mondo, un'impennata globale delle spese militari e ci sta lentamente portando verso la terza guerra mondiale.

Il saggio e decennale sforzo europeo di coinvolgere Russia e Cina in una collaborazione strategica economica e politica, sostenuto con entusiasmo dalla leadership russa e cinese, è stato infranto dalla feroce opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che ciò avrebbe potuto minare il dominio statunitense.

È questo il mondo che vogliamo?

Marco Revelli

 


IL FUTURO IPOTECATO

 




domenica 15 settembre 2024

Futuro

La Meloni ha parlato chiaro agli imprenditori. “Appena finita la guerra in Ucraina ci sarà da ricostruire quel Paese e per voi imprenditori si aprirà l’Eldorado su quello spicchio di globo terracqueo. Dovrete comprarvi portafogli a fisarmonica per quanti soldi metterete in tasca.” Ha omesso una seconda parte, quella di chi metterà i soldi che ingolferanno le tasche degli imprenditori. Per non dilungarmi troppo, la faccio breve. I soldi li dovranno stanziare i governi Europei mettendo per diversi anni le mani nelle tasche dei 250milioni di cittadini europei. Soldi che andranno nelle tasche di qualche migliaio di ricconi europei e di qualche centinaio di oligarchi Ucraini che diventeranno stra-ricconi. E la matematica insegna che un Paese come il nostro che dovrà mettere 5miliardi l’anno per ricostruire l’Ucraina, avrà 5 miliardi in meno per scuola, sanità e pensioni, qualunque sia il colore del governo. Insomma, abbiamo ipotecato il futuro di almeno una generazione di nuovi nati. Capolavoro!

Pezzo ripreso da  https://appuntinovalis.blogspot.com/2024/09/futuro.html


INTERVISTA A EDOARDO CAMURRI

 



“Diventa il gatto che ti tenderà l’agguato”. Intervista a Edoardo Camurri

di Marco Montanaro pubblicato lunedì, 16 Settembre 2024, in 

https://www.minimaetmoralia.it/wp/interviste/edoardo-camurri-

 

Introduzione alla realtà (Timeo) di Edoardo Camurri è un libro strano, magico, sicuramente trasformativo. Potremmo definirlo fiaba, esperienza rituale, allegra dissertazione, esortazione accorata, corto viaggio (e saggio) psichedelico-sentimentale. La verità: ha ragione chi dice che parlarne, specie ormai a qualche mese dall’uscita, è complesso, gli si fa un torto; si rischia di banalizzare, di confinare nell’attualità un testo agile, che fa della sua inattualità un punto di potenza. Meglio allora consigliarne direttamente la lettura, o perché no provare a parlarne con l’autore.

Ciao Edoardo. Come sta andando il libro?

Siamo alla terza edizione e, al di là delle vendite, sta avvenendo la cosa più importante e paradossalmente meno scontata di tutte: il gattone viene letto. E molte persone se ne sentono coinvolte, toccate; capita spesso di incontrare lettrici e lettori che mi confessano che il libro sta parlando a loro con forza e dolcezza, quasi che li aspettasse e che loro aspettassero lui. Mi piace pensare al libro come a un fuocherello acceso attorno al quale chiunque si senta accolto per sedersi e ricevere un po’ di calore e di luce.

Lo hai definito “il libro della vita”, meditato per 50 anni. Com’è arrivata la decisione (o la consapevolezza) che era arrivato il momento di scriverlo?

Le cose non si fanno mai da soli, ma ogni individualità è come un nodo provvisorio che si manifesta in un ordito di relazioni; da questo punto di vista è stato sicuramente determinante l’incontro con Federico Campagna, editor di Timeo, un amico, un filosofo che ammiro moltissimo, e senza il quale questo libro non ci sarebbe. Vi è poi alla base del testo anche una sorta di cerimonia: si sono radunati intorno molti spiriti, molti guardiani, a me cari, a protezione del testo, da mio nonno paterno a Louis Wain, da Elsa Morante a Rodolfo Wilcock, da Roberto Bazlen a Giorgio Colli. Il libro è nato perché a un certo punto, mi sembra, questi e altri spiriti sono convenuti e hanno creato uno spazio. Insomma, non è stata una decisione, ma un allineamento, una predisposizione un po’ più larga in cui la mia cosiddetta volontà si è d’incanto trovata.

Parlando al telefono, hai usato l’aggettivo “esperienziale” per definire la stesura di Introduzione alla realtà. Vorrei che mi raccontassi di nuovo questa cosa.

Alla base del libro c’è l’idea forte che la filosofia, come era in origine nel pensiero antico e come è sempre stato per esempio nel pensiero indiano, è la risposta – una delle risposte possibili – a un’esperienza sconvolgente che può appartenere a tutti. Risalire a quell’esperienza e da lì trarne un’espressione logica, concettuale e poetica è anche il gesto che, inevitabilmente, ci fa sentire meno necessario il ricorso all’erudizione. Forse è per questo che mi sono vietato di usare altri libri mentre lo scrivevo e forse è anche questo il motivo per cui quasi tutte citazioni nel testo sono a memoria. Nel giorno del giudizio, cantava Battiato, non ci servirà l’inglese. L’esperienza sconvolgente è quel giorno del giudizio.

È un libro trasformativo a tutti gli effetti, che può avere un impatto importante nella vita di chi lo legge. Tu cos’hai scoperto, mentre lo scrivevi?

Più che scoprire qualcosa, ho sentito. Ho sentito il cuore, ho sentito una vibrazione alta, un tambureggiare gentile e tanta gratitudine. Anche qui, il punto mi pare che sia sempre la centralità dell’esperienza. Io dovevo, si fa per dire, solo occuparmi, attraverso la scrittura, di non allontanarmi troppo da quella musica e di restituirla, come espressione dell’esperienza comune a noi umani, alle lettrici e ai lettori.

Sai che dopo averlo finito non sono più riuscito a tornare sulle sue pagine? La lettura è stata intensa, mi ha dato molta energia ma altrettanta ne ha richiesta.

Mi sembra una buona notizia. Il gattone ti ha trasformato in gatto e ora hai bisogno di stare un po’ in disparte per lasciare andare via qualcosa che hai letto, in quello stato di grazia tipicamente felino in cui sonno e veglia si assomigliano. Tra l’altro io sono persuaso – senza alcuna prova e senza alcuna pretesa di verità, ma solo per intuizione poetica – che le fusa dei gatti, quando si trovano in quello stato, quel suono che è un drone, li aiuti a cambiare stato di coscienza.

A proposito di felini. I gatti vedono la soglia, sembrano quasi viverci. La soglia è un momento, ma può anche essere un luogo?

Ogni luogo, ma anche ogni istante, è una soglia. “Stai qui e adesso”, qualunque cosa sia il qui e l’adesso, è uno degli inviti più belli e potenti che ci siano. L’esperienza sconvolgente, che è come un gatto, è sempre in agguato e non sai mai quando e da dove arriverà, perché, per dirla come il predicatore di Furore di Steinbeck, “tutto è santo”. Rinuncia a ogni aspettativa, diffida di ogni gerarchia, non fare troppi piani; insomma diventa il gatto che ti tenderà l’agguato.

Introduzione è, pure, un libro di immagini assurde nell’accostamento (il coriandolo che si fa multinazionale) come per la sorpresa con cui appaiono (il cammello interstellare). Da dove vengono?

L’immagine del cammello mi è venuta qualche anno fa leggendo un grande psicoanalista cileno, Ignacio Matte Blanco; se ricordo bene lui prendeva questa immagine evangelica del cammello per illustrare come la nostra vita conscia sia lo stretto passaggio attraverso il quale si manifesta il complicatissimo e multidimensionale regno dell’inconscio freudiano, il cammello, appunto. L’immagine del coriandolo deriva invece da una vecchia intervista a Federico Fellini; parlava di cinema e di tv e descriveva il nostro modo di avere a che fare con le immagini proprio come un processo di coriandolizzazione.

Altra immagine potente: i “fatti” come lapidi in un cimitero. Mi ha ricordato un detto francese riportato da Yona Friedman in epigrafe a L’ordine complicato: “L’umanità è diventata troppo intelligente per riuscire a capire qualcosa del mondo”. Qual è il problema con l’intelligenza?

Gli scettici antichi e i mistici (ed è meraviglioso quando queste due figure coincidono nella storia) mostrano come l’intelligenza, lasciata a se stessa, sia inconcludente. Insomma, scettici e mistici sanno che a ogni affermazione è sempre possibile opporre il suo contrario, con lo stesso grado di intelligenza e di persuasività. Ho l’impressione che ci siamo un po’ dimenticati di questa grande lezione per abbandonarci al culto di un’intelligenza che, alienata dal cuore, diventa procedura, calcolo, controllo; il feticcio con cui, pensando di affrontare la paura e la sofferenza della realtà, finiamo con il rafforzare la paura e la sofferenza della realtà (nel genitivo oggettivo e soggettivo dell’espressione).

Ultima curiosità: da quale dimensione spaziotemporale ci scrive l’autore dell’Introduzione? E da quella dimensione, a chi parla? Nel libro c’è un “io” che poi diventa un “noi” che poi diventa un “tu”…

Ho voluto che Introduzione alla realtà fosse scritta per essere letta sia da lettrici e lettori del XII secolo e sia da lettrici e da lettori del 2600. Al di là della battuta, ci sono pochissimi riferimenti a un tempo che possiamo riconoscere come il nostro, per dire, non ci sono computer, aerei, eccetera, perché provare a stare in presenza dell’esperienza sconvolgente, il Thauma, significa accedere a quella dimensione comune a ogni tempo. Lo stesso discorso vale per la voce narrante, un noi generico che diventa spesso tu e ogni tanto io. È il flusso dentro cui ogni vivente nuota, e che solo provvisoriamente, e senza alcuna possibilità di scelta, con timore e tremore, ci consente flebilmente e provvisoriamente, per l’appunto, di dire noi, tu e io.