11 ottobre 2012

MIO PADRE VOTAVA BERLINGUER...

























Dal sito http://www.lankelot.eu riprendo una bella recensione del libro di Pino Roveredo, Mio padre votava Berlinguer, Bompiani, Milano 2012, scritta da Nicola Vacca:

Pino Roveredo è uno scrittore irregolare ed estremo. Nei suoi libri ha sempre messo tutto il suo vissuto e soprattutto ha raccontato le cadute e le debolezza di un’esistenza che per molto tempo è stata complicata, dolorosa e pericolosa. Da molti anni lo scrittore triestino si occupa concretamente degli ultimi e dei disagiati. Lavora fianco a fianco con il problema della tossicodipendenza e attraverso la sua scrittura contribuisce generosamente a lenire le sofferenze degli esclusi.
Anche in "Mio padre votava Berlinguer", il nuovo romanzo appena uscito, Roveredo ci regala un altro frammento prezioso del suo vissuto. Questa volta prende carta e penna per scrivere una bellissima pagina di narrativa dedicata a suo padre. Un genitore sordomuto, morto di cancro, che votava Berlinguer perché era una “brava persona”.
Una lunga confessione in cui il figlio va rivivere con la parola la figura del padre. Roveredo è convinto che fino a quando riuscirà a scrivere al padre, questi sarà vivo e sarà eternato nel tempo di quella memoria alla quale nessuno dovrebbe mai rinunciare per non perdersi mai.
“Respirare con la mia scrittura con il fiato del tuo ricordo mi concede la libertà di spostare ogni giorno la sentenza del tuo addio. Così quando sento la mano stanca e gli occhi che combattono col sonno, posso concedermi di chiudere la conversazione e darti appuntamento a per domani, domani, domani…”. Così il figlio costruisce l’altare di parole per il padre che non c’è più. Con una scrittura che trascina il passato nel presente, Roveredo, come sempre nelle sue storie, si mette completamente a nudo e con un racconto ispirato da una lucida poesia di sentimenti e affetti racconta suo padre. Gli scrive a cuore aperto, sa che lui è in ascolto e mostra un’attenzione particolare alle parole del figlio che lo fa rivivere sulla pagina e non solo.
Lo scrittore racconta tutto di suo padre: la debolezza dell’alcol, le cadute e le risalite, ma anche il rapporto d’amore che egli aveva con sua madre. Una donna, scrive suo figlio, di cui il padre non aveva mai compreso la grandezza. Una madre infinita, una moglie paziente, una donna eroica, con l’unico difetto grave di aver avuto un carattere abituato alla docilità.
Con il rovescio del cuore e gli occhi commossi da una grande poesia, Roveredo parla senza alcuna remora a suo padre non solo per riportarlo in vita, ma anche per raccontare tutte le occasioni perse del loro rapporto e soprattutto per non essersi reciprocamente abbandonati alla bellezza di un abbraccio.
“Papà quanto poco ci siamo incontrati, e quanto poco ci siamo abbracciati, talmente poco che posso rammentare a uno a uno tutti gli incroci che ci siamo concessi”. Al figlio oggi rimane l’abbraccio del foglio. Scrive al suo padre per accorciare la distanza esagerata di un recupero. Alla fine, quando il foglio si accorcia, Roveredo parla con suo padre morto e sa che quello che gli dice scrivendo non andrà disperso. E fino a quando avrà la forza di rivolgersi con le parole a suo padre, lui non morirà mai davvero.
In quel momento si accorge che sulla sua bocca si è incastrato tutto l’amore che ha per suo padre. Anche questo libro è finito, lo scrittore – figlio continuerà a dedicare a suo padre quella poesia ininterrotta che da oltre trent’anni sta scrivendo, e che non gli basterà una vita per concluderla.




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