Dai mosaici del Duomo di Monreale
Qualche giorno fa un giornale laico come La repubblica ha pubblicato una interessante intervista al Prof. Carlo Enzo che ripropongo di seguito insieme ad un saggio più ampio che richiama la sua originale rilettura della Genesi.
ANTONIO GNOLI INTERVISTA CARLO
ENZO
Dove è nato?
«A Burano, un’isola vicina a Venezia. Passai un’infanzia felice. Mio padre era soffiatore di vetro. La nostra vita, tranquilla. A otto anni cominciai a leggere la Bibbia ai miei fratelli».
Immagino che fosse ai suoi occhi di adolescente un insieme di storie avventurose.
«Era l’aspetto che mi interessava meno. Leggevo la Bibbia in una vecchia traduzione che avevamo in casa. E già allora intravedevo alcuni problemi».
Di che natura?
«Intuivo che il testo era stato appesantito dai commenti, dalle interpretazioni, dal tono favolistico».
È fatale che un testo così importante per la storia dell’Occidente si sia arricchito di letture nate anche da scuole differenti.
«Negli anni ho capito che bisognava liberarsi da quella ramificata ermeneutica che si sovrappone e avvolge il testo sacro, e ho cercato di scoprire cosa esso nasconde. La mia idea era di ritornare al midrash».
Ossia?
«Per dirla in modo semplice a una lettura delle Scritture attraverso le Scritture».
È un po’ quello che si prefiggeva Spinoza con il suo Trattato Teologico-politico.
«E che gli creò rilevanti problemi, tra cui l’accusa di ateismo. Midrash significa “ricercare”. È la spiegazione che gli antichi Maestri ricavavano dal Tanakh, che è il nome dato da Israele alla raccolta dei suoi libri sacri, i quali comprendono la Torah, ossia i cinque libri della Legge, tra cui Genesi; i 21 libri dei Profeti; e i tredici libri Agiografi, tra cui Salmi, Giobbe, Cantico e Qohelet».
In che misura Tanakh differisce dalla Bibbia cattolica?
«In modo sensibile. Intanto Tanakh è esclusivamente un codice di vita, attraverso il quale il popolo ebraico prova a diventare moralmente grande. Cioè passa dalla polvere all’anima vivente. Ma c’è un punto ulteriore: Tanakh è un testo mascherato. Perché così hanno voluto i sapienti che lo composero».
Si spieghi meglio.
«Il contenuto non doveva essere conosciuto dai popoli circostanti. Di qui
l’invenzione di un genere letterario che nascondesse la vera sostanza agli estranei e la rivelasse solo al popolo ebraico».
Ci sta dicendo che la Bibbia ha uno strato esteriore che maschera una verità più profonda? Ma perché escludere gli altri popoli dalla corretta conoscenza del testo sacro?
«Perché quel testo veniva considerato Elohim del popolo».
Quindi parola di Dio.
«Non esattamente. Perché nella cultura ebraica la parola Dio non esiste. Esiste invece la parola “Elohim” che faceva tutt’uno con il popolo. Ma ogni popolo della Mezzaluna fertile aveva il proprio Elohim».
Verrebbe meno l’idea cardine secondo cui nell’Antico Testamento c’è un Dio non solo unico, ma assoluto.
«Questo accade in una fase successiva. Quando finisce con il prevalere la maschera, ossia una lettura deviata della Bibbia, favolistica, irreale».
Ci faccia un esempio.
«È sufficiente aprire Genesi. Ci siamo abituati a leggerli come la storia di un Dio che in sei giorni crea l’universo. Ma quando il popolo ebraico nasce, l’universo c’è già e quel popolo non ha assolutamente intenzione di rifondare l’universo. È una questione anche di buon senso. Che cos’è l’Elohim della Torah se non il popolo stesso che si è dato la sua costituzione, le sue leggi, i suoi imperativi morali? ».
Quindi il racconto della creazione non riguarda né l’uomo né la natura?
«Creazione qui non significa creare dal nulla, come appunto potrebbe fare un Dio. Creare è progettare un mondo nuovo, un uomo nuovo».
Sta seppellendo la teoria creazionistica.
«La Bibbia non dice come è fatto il Cielo, ma come ci si va. Anche quando ci si riferisce all’uomo non si intende una figura in generale ma l’uomo-Adamo che è diverso dall’uomo greco, romano, babilonese».
Ma “Adamo” è lo stesso che viene scacciato dall’Eden?
«Questo è il lato favolistico, irreale, la maschera. In realtà l’uomo biblico si chiama Adamo perché coltiva l’adamah, ossia è un uomo chiamato a educare la sua natura umana».
Che cosa è l’“adamah” di cui lei parla: la purezza, la predisposizione al sacro, o cosa?
«Nel linguaggio comune “adamah” è la terra fertile, la terra rossa che il Nilo riversa. Nel linguaggio biblico indica la peculiarità di quest’uomo che cerca una chiave morale per stare al mondo».
E la questione del peccato originale?
«Non esiste. Il peccato originale è un’interpretazione tarda, avanzata da Agostino. In ebraico la parola “peccato” significa più omissione di fare qualcosa di buono che offesa al Dio per aver fatto qualcosa di sbagliato. Adamo inizia il suo cammino che è polvere e deve farsi per prova ed errori. E questi ultimi non sono imputabili al peccato originale, ma dipendono dal fatto che Adamo non è un Elohim».
Lei dice “polvere”, ma Adamo nasce dalla polvere, nasce in qualche modo dal nulla.
«Torna la maschera. “Polvere” vuole dire che Adamo all’inizio è un essere inconsistente e l’Elohim soffia in lui non lo spirito, ma l’anelito di vita, cioè la volontà per fare questo percorso, questa crescita».
Quello che lei dice è fuori dal modo in cui l’Occidente ha recepito il testo sacro.
«Certo, perché la logica occidentale parte da Dio che crea il mondo. La logica ebraica parte dall’Elohim del periodo sapienziale, ma prima ancora parte da Abramo. Concretamente parte da colui che viene considerato il padre del popolo che ha il suo Elohim».
Ma dire che ogni popolo ha il suo Elohim non significa limitarne l’assoluto?
«L’obiezione avrebbe senso se traducessimo “Elohim” con “Theos”, giacché Theos è l’assoluto. Ma l’Elohim non è l’assoluto».
La sua lettura l’ha messa in urto con la Chiesa?
«Su di me è sceso un silenzio che dura da decenni».
Lei è stato docente di scienze bibliche?
«Insegnai a lungo. Fu negli anni Cinquanta che l’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli mi mandò a Roma a studiare. Lavorai con il cardinal Urbani e con il mio maestro Alonso Schökel, poi venne Luciani, la mia croce e delizia».
Avverto dell’ironia.
«Mi stroncò in maniera terribile. Era il 1970. Tenni una lezione biblica sulla secolarizzazione. E dissi che non andava intesa come una riduzione della chiesa alla condizione laica né come un allontanamento dal sacro. Ma al contrario la secolarizzazione era la realizzazione totale del progetto».
E Luciani la stroncò?
«Quando dissi: tutto questo è scritto in Apocalisse 21 ossia che tutto si concluderà, perché quando scenderà la Gerusalemme celeste non ci sarà più né Chiesa né sacerdozio e l’Elohim sarà tutto in tutti, mi portò via il microfono dicendo: sono cose pazzesche».
Era il Cardinale a dirlo.
«Era il Patriarca di Venezia e aggiunse: se avete domande da fare rivolgetevi a me, il professore non deve più parlare e non parlai più».
Ha provato a ricomporre quella frattura?
«Qualche giorno dopo andai da lui e gli dissi: mi dia lei una regola di esegesi biblica. E lui mi rispose: prenda una buona traduzione, per esempio quella della scuola di Gerusalemme: i passi facili li spiega, quelli difficili li salta. A quel punto replicai che non me la sentivo più di insegnare. Non volevo imbrogliare né lui né tanto meno chi mi ascoltava».
Su cosa sta lavorando?
«Sul bacio di Giuda».
Torna, è il caso di dire, il tema del tradimento.
«È un altro dei grandi equivoci filologici».
Fonte: Repubblica 28.12.12
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Su una nuova lettura della Genesi (di L.Lamonaca)
Pubblichiamo
volentieri una relazione pervenutaci da Luca Lamonaca sulla Genesi, (o sul
Genesi se ne parliamo come libro). Lamonaca riporta il pensiero di Carlo
Enzo pubblicato nel libro “Adamo dove sei” in cui viene proposto che il primo
libro biblico rappresenti, sinteticamente, un “codice di vita” per un uomo
nuovo.
Da
vecchi tradizionalisti noi concordiamo poco con tale interpretazione che, a
nostro avviso riduce un po’ troppo ad un livello etico-psichico un messaggio
spirituale e trascendente. Ne deriva una visione antropocentrica in cui l’uomo
diventa il senso, il fine e il termine dell’evoluzione. E qui ricadiamo nel
solito tentativo di antropomorfizzare l’opera divina per renderla, in qualche
modo, traducibile con termini umani e di… confinare l’infinito. La
interpretazione metastorica di Gianni Cappelletto nel testo sulla Genesi
ricordato da Lamonaca, è, a nostro avviso, assai più interessante anche se la
riduzione ad una “Lectio popolare” ci sembra di nuovo limitativa. Insomma se
trascuriamo il fatto che, nella parola “sapienziale” non esiste soltanto un
messaggio metafisico e metastorico ma soprattutto un insegnamento iniziatico
(di cui il testo scritto rappresenta solo un aspetto) come al solito ci
troviamo di fronte a problemi filologici su cui si può seguitare a “parlare”
per il resto dei nostri giorni trovando sempre nuove soluzioni “ad usum” della
cultura del momento.
Ma la
relazione di Lamonaca ha termini assai interessanti e non prende “posizioni”
apodittiche. Propone e fornisce un sistema semplice e assai efficaci per
analizzare i primi versetti biblici. Da leggere con attenzione.
C.L.
Chi traduce in modo
letterale è un bugiardo
ma colui che aggiunge qualcosa è un blasfemo.
Megillah della Tosefta (III, 21
ma colui che aggiunge qualcosa è un blasfemo.
Megillah della Tosefta (III, 21
La verità era uno
specchio che cadendo si ruppe.
Ciascuno ne prese un pezzo
e vedendo riflessa in esso la propria immagine
credette di possedere l’intera verità.
(Jalal al-Din Rumi)
Ciascuno ne prese un pezzo
e vedendo riflessa in esso la propria immagine
credette di possedere l’intera verità.
(Jalal al-Din Rumi)
Premessa
Molte persone oggi, anche credenti, rifiutano di leggere la Bibbia e, soprattutto, i primi capitoli del libro della Genesi[1] perché li ritengono pura fantasia, privi di qualsiasi nozione scientifica, una fiaba per bambini. Il loro rifiuto dipende dal fatto che non ammettono la possibilità che, attraverso questi testi, possa giungere un messaggio che contribuisca in qualche modo a rivelarci il mistero dell’esistere, anche se in un linguaggio diverso da quello contemporaneo.
Gli studiosi biblici affermano che
il linguaggio poetico[2]
con il quale questo libro è espresso, risulta oggi incomprensibile perché
parlava agli uomini antichi ed usava il loro linguaggio; è necessario pertanto
fornirsi di un’adeguata conoscenza della lingua, delle usanze, del modo di
rapportarsi con il mondo e la realtà adoperati nei diversi tempi in cui è stato
scritto; prendere atto della necessità di un’inevitabile mediazione culturale
in grado di mostrarci l’autenticità e la possibile validità del messaggio contenuto.
Non si
tratta di affrontare il testo con una metodologia scientifica o solo
razionale, ma di fare propria la capacità di comprendere e interpretare il
“mito” (ovvero la struttura espressiva del racconto) come una possibilità di
accesso al possibile mistero.
L’analisi di
questi antichi testi evidenzia una palese contraddizione: da un lato mette in
crisi la convinzione che con l’evoluzione scientifica e tecnologica
dell’umanità tutte le forme di espressione e di conoscenza siano oggi non solo
diverse ma più efficaci di quelle del passato; dall’altro ci rende consapevoli
che la forma, il significato, la capacità espressiva e la suggestione delle
lingue degli uomini, quanto più si va indietro nel tempo, tanto più appaiono
profondi e complessi, al punto da ridurre le nostre moderne lingue occidentali
a semplici strumenti di comunicazione tecnica e di servizio.
Come è
possibile tutto ciò? Com’è possibile conciliare il miracolo dello sviluppo
tecnologico con la perdita della comprensione delle potenzialità espressive
delle lingue antiche? Ma, ancora più importante, com’è possibile che le
caratteristiche proprie delle lingue antiche lascino intuire una “conoscenza”
non solo diversa ma più profonda di quella contemporanea?[3]
Ma forse è
possibile.
Per
comprendere questo possibile, almeno nell’ambito della nostra indagine
sul Genesi, è necessario prima di tutto considerare che i capitoli iniziali del
primo libro della Bibbia non ci presentano storie vere, come le intendiamo
oggi, oppure cronache giornalistiche, ma sono narrazioni che dicono un
vero su determinati problemi e secondo l’ottica della fede di chi le
racconta; e soprattutto – anche ammesso che intendano descrivere l’origine e la
formazione dell’universo e lo svilupparsi dell’umanità - non sono scritte
con intenti scientifici[4]
o realistici, secondo la metodologia della nostra scienza moderna; si tratta
invece di narrazioni simboliche, ispirate, mitiche, compilate non solo con
l’uso della ragione, capaci di evocare quanto non si conosceva scientificamente
e di farlo sperimentare quale proposta di significato al vivere di chi
ascoltava.
In questo senso,
i racconti del libro della Genesi si accostano – nell’ambito delle opere
scritte - ai grandi poemi antichi come l’Enuma Elish (Quando in alto),
alle storie di Atrahasis e di Ghilgamesh, ai libri dei King o dei Veda, al
Libro delle Piramidi ed altri testi di altre culture e civiltà antiche che
hanno cercato di rispondere alle eterne domande dell’uomo sulla sua identità,
sulla sua origine e sul destino futuro, messi in relazione con un mondo divino,
ma percorrendo strade diverse.
Tutti questi
racconti si collocano (o partono) in un Allora o in un In principio
perché siano archetipi o modelli di riferimento per coloro che li accostano; si
presentano come un tentativo di andare al cuore, alla radice autentica del
mistero del mondo, non solo a livello temporale quanto soprattutto
esistenziale; sono racconti di origine perché fondano e spiegano il presente.
Un processo
misterioso di conoscenza portava l’uomo antico a parlare della realtà
attraverso racconti collocati fuori della storia, per spiegare la storia;
quello che gli studiosi chiamano etiologia metastorica.
Lo scopo di
questo lavoro è dunque quello di capire, approfondire, cercare significati che
le parole scritte nascondono, per ragioni diverse e complesse, anche
involontariamente.
Un punto di
partenza è quello di mettere a confronto l’interpretazione tradizionale del
Genesi con alcune nuove interpretazioni, in particolar modo quella
scritta da Carlo Enzo nel libro Adamo, dove sei? (ed. Il
Saggiatore, Milano 2002). Si tratta di uno studio suggestivo per la
complessità del tema e le particolari competenze filologiche. In questa sede ci
limiteremo tuttavia ad un semplice accenno, confrontando l’interpretazione
delle prime cinque parole che costituiscono il versetto 1 del primo capitolo
del Genesi.
In principio (Be-resh-it) crea
(bara’) Dio (El-ohim)
il cielo e la terra (eth-ha-shamaim w’eth-ha-aretz).
il cielo e la terra (eth-ha-shamaim w’eth-ha-aretz).
Questa è –
grosso modo - la traduzione italiana delle prime cinque parole della Bibbia.
Tutti le
conosciamo e tutti abbiamo sempre pensato che queste parole si riferiscono al
racconto della creazione dello spazio, del tempo e del mondo da parte di Dio.
Il libro di
Carlo Enzo, in base a precisi riferimenti linguistici e a comparazioni con
l’intero corpo letterario della Bibbia ebraica, propone invece
un’interpretazione nuova, le indica come l’inizio di un “codice di vita”
scritto in linguaggio simbolico, rivolto ad un tipo d’uomo nuovo, un giusto,
che si deve distinguere da tutti gli altri giusti (di 310 mondi diversi[5])
perché destinato alla Torah.
Per
comprendere ciò è necessario partire dalle interpretazioni tradizionali,
numerose e spesso distanti tra loro, anche per via delle traduzioni nelle
diverse lingue storiche che ci hanno tramandato il testo biblico: ebraico,
aramaico, greco, latino, italiano.
Tutte queste
traduzioni si succedono l’un l’altra nel corso della storia a partire
dall’ebraico Ma il testo ebraico originario si ispira – forse - ad altri testi,
diversi per lingua, luogo ed epoche storiche in cui sono stati redatti; questi
testi, a loro volta, sono il risultato finale (talvolta approssimativo o
sintetico) di una lunga e complessa tradizione orale durata non si sa quanto e
andata probabilmente in gran parte perduta.
La Bibbia
ebraica,[6]
come oggi la conosciamo, fu fissata dagli Ebrei di Palestina agli inizi
dell’era cristiana.[7]
E’ dunque essenziale conoscere i criteri con cui sono state scritte e poi
tradotte le parole che costituiscono questo libro; e magari sapere anche da chi
e quando.
Ma
ritornando a quanto di scritto ci ha lasciato la tradizione, dobbiamo
chiederci: con quali criteri sono state realizzate le diverse traduzioni
della Bibbia e, nel caso che stiamo esaminando, di queste prime cinque parole
del Genesi? E, in linea generale, come leggere questo testo?[8]
E soprattutto: l’interpretazione della dottrina contenuta in questo libro (e in
particolare in Genesi 1-3) è in grado di dimostrare che essa è ancora valida
per un abitante di questo pianeta oppure, come tante altre, ha fatto il suo
tempo, fa parte delle tante dottrine religiose sul mondo e sull’uomo?
L’interpretazione
tradizionale
Secondo
l’interpretazione tradizionale, le prime cinque parole del Genesi costituiscono
l’inizio del racconto di creazione del mondo, attribuito alla fonte
sacerdotale (P), che intende fornire una classificazione logica ed
esauriente degli esseri, creati in una settimana che si conclude col sabato (shabbat,
cioè cessò).[9]
L’interpretazione
ufficiale della Chiesa[10]
ci è data dal testo della Bibbia detta della CEI, del 1971, la cui versione
italiana è stata curata da un gruppo di biblisti sotto la direzione di F.
Vattioni. Il testo è accompagnato da una guida, la celebre Bible de Jerusalem,
del 1984, opera dei migliori esegeti cattolici francesi. La traduzione è stata
fatta a partire dai testi originali ebraico, aramaico e greco. Per l’ebraico si
è seguito il testo Masoretico ™.
L’interpretazione
della CEI afferma che le parole iniziali del Genesi aprono il racconto della
creazione degli esseri viventi da parte di Dio, secondo un ordine crescente di
dignità, fino all’uomo, immagine di Dio e re della creazione. Il testo utilizza
una scienza ancora in fasce. Non bisogna ingegnarsi a stabilire concordanze
tra questo quadro e la nostra scienza moderna, ma piuttosto leggervi, sotto una
forma che porta l’impronta della sua epoca, un insegnamento rivelato, con
valore permanente, su Dio, unico, trascendente, anteriore al mondo, creatore
[…]. Il testo afferma che ci fu un inizio del mondo: la creazione non è un mito
atemporale: essa è integrata nella storia, di cui è l’inizio assoluto (vedi
Allegato 1).
Il racconto
del Genesi 1 - 2, che culmina in Adamo creato direttamente da Dio, per la
Chiesa sarebbe la prefigurazione del nuovo Adamo, Gesù Cristo, Figlio di
Dio, attraverso il quale ha inizio l’umanità nuova; e attraverso il quale si
aprono per l’umanità cieli nuovi e terre nuove.
Nuove proposte esegetiche
Dopo il Concilio Vaticano II si allargarono in certo qual modo le maglie dell’interpretazione biblica e frotte di esegeti e studiosi si gettarono a capofitto nello studio di ciò che, fino allora, era considerato un pericoloso tabù. Le conseguenze sono state spesso nefaste e confuse e non pochi studiosi di genio hanno finito col rasentare l’eterodossia o abbandonare l’abito sacerdotale!
Nuove proposte esegetiche
Dopo il Concilio Vaticano II si allargarono in certo qual modo le maglie dell’interpretazione biblica e frotte di esegeti e studiosi si gettarono a capofitto nello studio di ciò che, fino allora, era considerato un pericoloso tabù. Le conseguenze sono state spesso nefaste e confuse e non pochi studiosi di genio hanno finito col rasentare l’eterodossia o abbandonare l’abito sacerdotale!
Dopo
l’entusiasmo iniziale, gli studiosi oggi procedono con armi esegetiche più
obiettive e prudenti ma con risultati spesso di grande valore.
Molti hanno
cominciato a leggere la Bibbia (e Genesi in particolare) con maggiore
attenzione alla lingua originale, l’ebraico, al contesto storico e narrativo
(il mondo semitico del II/I millennio a. C.), senza preclusioni o preconcetti
religiosi.
Secondo
l’esegetica moderna, con un’attenta lettura letterale, le prime cinque
parole della Genesi potrebbero essere interpretate in questo modo:
A partire da
quel momento (bereshit) dà inizio (bara’) la pluralità di Dio (El-hoim)
all’universo (ai cieli e alla terra) [ordinato (aggiunta del r.)].
Bereshit corrisponderebbe infatti
all’espressione da quel momento in poi e quindi indicherebbe non un
inizio ma una continuazione.
Bara’ è verbo che indica mettere
ordine ad una cosa, cominciare una cosa nuova; è singolare ed è
sempre associato all’azione di Dio; e quindi non significa creare da nulla ma mettere
ordine, far sì che una cosa assuma un aspetto nuovo rispetto a quello
precedente.
El-hoim indicherebbe non Dio ma la divinità
propria di ogni popolo del medioriente; è costituito da El o Il
con la desinenza plurale hoim: sarebbe cioè il complesso degli dei semiti e/o
la potenza di El in tutti i suoi aspetti. El significherebbe Lui, il
Signore, l’Essere supremo, indicato con un pronome dimostrativo
corrispondente al latino Il-est (egli è) = Ille; in arabo è Al-lah.
Il nome dell’El di Israele sarà Ja-whè, ovvero: Io sono – chi è,
rivelato a Mosé da El sul monte Oreb.[11]
Il cieli e
la terra,
rappresentano infine l’universo nella sua totalità. Si tratterebbe di
un’espressione tipicamente semitica che semplificava i concetti complessi con
l’opposizione di due termini: se cielo e Terra indica il complesso
dell’universo, l’albero del bene e del male indica la conoscenza del tutto,
l’uomo e la donna indicano l’umanità intera e così via.
Fatto salvo
il senso religioso e sacro dato dalla Chiesa al testo biblico, gli esegeti sono
dunque propensi ad interpretare il racconto della creazione, proposto in Genesi
1 - 2, come un momento di inizio per l’umanità in cui la forza creatrice di Dio
mette ordine all’universo e ne finalizza il senso, rappresentato dalla nascita
della vita, di cui l’uomo sarebbe il punto di arrivo in quanto ne diventa la
coscienza consapevole. Attraverso l’uomo si realizzerebbero i cieli nuovi e
le terre nuove.
Proposta di
interpretazione etiologica metastorica
* L’interpretazione di Gianni Cappelletto
* L’interpretazione di Gianni Cappelletto
Un’interpretazione
equilibrata e attenta dei primi capitoli del libro della Genesi è quella del
biblista Gianni Cappelletto[12]
che propone un percorso di lettura come una Lectio divina popolare.
Egli
attribuisce la compilazione di questa prima parte della Bibbia al momento
dell’esilio babilonese. L’autore (o gli autori) del testo scritto si preoccupa
infatti non tanto di rispondere alle domande su come è avvenuta la creazione,
da quando esiste, da dove e quando ha avuto inizio l’universo, quanto piuttosto
di interrogarsi sul senso della sua realtà, della sua condizione di esiliato a
Babilonia, sul significato della sua esistenza alla luce dell’atto di fede nel
Signore Liberatore e Creatore. La condizione di schiavitù in cui viveva a
Babilonia si accende di speranza al ricordo che chi scrive fa parte del popolo
che Dio ha già liberato dalla schiavitù, quando era in Egitto, e lo ha guidato
progressivamente verso la terra promessa, stabilendo con lui un’alleanza.
L’autore biblico, attraverso la riflessione sulla tradizione religiosa del suo
popolo, confrontata con i miti religiosi della civiltà babilonese, desidera
esprimere la propria fede in forma di lode a colui che ha creato tutti gli
esseri e tutte le persone mediante la forza della sua parola, capace di
realizzare quanto dice (Dio disse… e fu). Se Dio ci ha liberati
dall’Egitto, anche ora saprà fare altrettanto, perché è Signore non solo della
storia ma anche del creato, capace di separare le acque superiori ed inferiori
perché appaia la terra asciutta su cui l’umanità possa vivere libera. Nessuna
subordinazione quindi del suo Elohim semita rispetto agli dei di Babilonia.
Nel testo di
Genesi 1, 1-2,4a l’autore raccoglie e sintetizza la mitologia mesopotamica[13]
che ha conosciuto, vivendo in esilio, sul Dio Creatore e sul senso delle realtà
create; la rielabora con la storia del suo popolo, adoperando uno stile
narrativo ricco di ripetizioni, espressioni, immagini peculiari. Tutto il
racconto si snoda attraverso l’intreccio di due schemi: quello temporale di
sette giorni (sei volte “e fu sera e fu mattina”), quello operativo
dell’agire (10 volte si adopera il verbo fare), quello del parlare di
Dio (10 volte si usa l’espressione Dio disse).
Dio che ha
creato il suo popolo come popolo dell’alleanza (con i dieci comandamenti)
nel racconto del Genesi dà vita all’universo con dieci parole. La
liberazione dalla schiavitù d’Egitto sfocia in un atto creativo che, al Sinai,
costituisce il popolo ebraico come famiglia di Dio; la creazione del
mondo in Genesi è vista come liberazione della vita dal caos iniziale perché
sia possibile all’umanità – la grande famiglia di Dio – vivere sulla
terra.
Per l’autore
del Genesi si tratta dunque di un’interpretazione della vicenda del suo esilio
utilizzata per ricostruire una storia più antica, sconosciuta ma intuita per
analogia, confrontando le vicende della storia del suo popolo e i miti della
Mesopotamia antica.
Riguardo
alle prime cinque parole in esame, anche Cappelletto afferma che l’autore
biblico non intende parlare di un’azione creatrice di Dio dal nulla, concezione
entrata nella mentalità ebraica solo in età ellenistica; l’autore biblico
desidera affermare che all’inizio di tutto (non solo temporale ma soprattutto
esistenziale) c’è Dio e la sua azione creatrice; non vuole dimostrare l’origine
ontologica dell’esistenza della terra: essa c’era già e da qui inizia il suo
sguardo sull’azione di Dio: non il mondo e neppure gli esseri viventi sono
l’inizio. L’universo (indicato con l’espressione cielo e terra) è il
luogo dove Dio sta per mettere ordine attraverso la sua azione
creatrice.
Lo spirito
di Dio aleggiava sulle acque primordiali. Allora Dio crea.
Il verbo
bara’, creare, viene utilizzato 49 volte nella Sacra Scrittura e ha sempre Dio
come agente. Esso non indica tanto il modo di originare le cose quanto il
risultato dell’opera di Dio. Etimologicamente significa fare tagliando,
separando, dar inizio a qualcosa di inedito, novità assoluta rispetto a
quanto già esiste. Si tratta di compiere un’azione sorprendente che suscita
gioia e un senso di ordine e di bellezza. Nel primo versetto del Genesi bara’
descrive il passaggio da un universo caotico a un mondo ordinato, buono e
bello, nel quale è possibile la vita degli esseri viventi. Dio entra così in
azione nel cosmo mettendo ordine nelle sue tre parti principali (secondo la
concezione tipica del mondo semitico di allora): il cielo, le acque, la terra.
L ’unità e l’armonia della realtà è data da due principi: quello della
differenza “secondo la propria specie”(differenza di vita, dunque, di tempo e
di spazio) e quello di essere “a sua immagine e somiglianza” (dipendenza della
creatura dal proprio Creatore).
* L’interpretazione di Carlo Enzo
Per prima cosa Carlo Enzo chiarisce che l’interpretazione che vuole dare a Genesi 1 – 4 non è un commentario, cioè una spiegazione, bensì un midrash, un’investigazione su ciò che il Tanakh (cioè la raccolta dei testi biblici) dice su questo testo, cioè su Bereshit. Solo attraverso la chiave di lettura di tutto il linguaggio biblico è possibile intendere il significato di questo libro (Genesi) e delle sue parole, delle cose narrate, degli eventi descritti, l’uso sacro, quello che, alla maniera dei geroglifici, mira a rivelare ai figli di Israele (e a nascondere agli occhi degli altri) la Da’aT, cioè la conoscenza di YHWH a loro destinata, al fine di divenire un popolo di santi.
* L’interpretazione di Carlo Enzo
Per prima cosa Carlo Enzo chiarisce che l’interpretazione che vuole dare a Genesi 1 – 4 non è un commentario, cioè una spiegazione, bensì un midrash, un’investigazione su ciò che il Tanakh (cioè la raccolta dei testi biblici) dice su questo testo, cioè su Bereshit. Solo attraverso la chiave di lettura di tutto il linguaggio biblico è possibile intendere il significato di questo libro (Genesi) e delle sue parole, delle cose narrate, degli eventi descritti, l’uso sacro, quello che, alla maniera dei geroglifici, mira a rivelare ai figli di Israele (e a nascondere agli occhi degli altri) la Da’aT, cioè la conoscenza di YHWH a loro destinata, al fine di divenire un popolo di santi.
Midrash, dalla
radice DaRaSh (che significa ricercare), è la spiegazione del testo
sacro fornita dagli antichi maestri dei testi biblici; la spiegazione (o meglio
interpretazione) era fornita attraverso gli stessi libri biblici.[14]
Questa investigazione non può essere
fatta senza la conoscenza della lingua (e della “forma” in cui questa lingua è
stata scritta), che non è semplicemente la lingua ebraica, ma la lingua ebraica
propria di questo Libro sacro (vedi allegato 2).
Genesi 1-4 è come la struttura
originaria della storia di Israele, il luogo dello svelamento del suo disegno,
quello in cui tutta la storia di questo popolo trova il suo senso, il suo
linguaggio, la sua finalità.
Presso i popoli che hanno inventato
il pensiero metafisico, il concetto di creazione è soprattutto quello di un Dio
che realizza in essere un universo partendo dal nulla. Presso i popoli
mesopotamici, invece, creare indica l’azione che chiama all’apparire
le modalità di esistenza mai apparse prima. Creare un mondo e un uomo è
inventare per un popolo una modalità di esistenza nuova rispetto a quelle che
già ci sono. Ovvero: tra gli Elohim mesopotamici che hanno creato uomini e
mondi diversi, l’Elohim di Israele – YHWH – ha dato una nuova modalità di
esistenza, una diversa qualità di vita al suo popolo. Gli Elohim sono gli Dei
dei popoli mesopotamici, un dio per ciascun popolo; sono Enti pensati dai
popoli al di sopra degli uomini; che abitano sopra i cieli di ciascun popolo e
che hanno i desideri, i pensieri, i sentimenti, i progetti, le scelte, le
decisioni, che ciascun popolo sente, produce, esprime durante lo svolgimento e
in funzione del suo esistere.
In Genesi 1-4, pertanto, non si
intende parlare dell’azione del Dio dell’essere, che fa apparire dal niente
l’universo come si mostra agli occhi di coloro che lo abitano, bensì si intende
parlare dell’invenzione, in una zona della Terra, di cieli
nuovi e di terra nuova, di nuovi regni dei giusti e di nuove comunità che li
generano, di un mondo nuovo come nuovo modo di vivere! Si tratta di una
creazione non dall’assenza di ogni esistenza ma dall’assenza di quella forma di
esistenza o di modo di vivere; mentre esistono altri universi e altri mondi e
altri modi di vivere. In definitiva, in Genesi 1-4 al verbo creare è dato
il significato di progettare, nell’ente che è questa piccola Terra, un nuovo
modo di esserci per l’uomo, un mondo mai visto prima, migliore di tutti gli
altri che già esistono, un mondo esclusivo per il popolo dell’Elohim YHWH.
Attraverso questa chiave
interpretativa Carlo Enzo analizza le prime cinque parole che ci interessano:
Be-resh-it (in principio) bara’ (crea) El-ohim
(Dio)
BeRe’ShiT: è la prima parola di tutta la Bibbia nella redazione
attuale. E’ usata in assoluto, ovvero non è detto di che cosa principia
in quanto lo dà per scontato, suppone che chi legge sappia del principio di che
cosa si tratta. Cosa poteva pensare un Israelita di quel tempo? Certamente non
avrebbe pensato che si intendesse In principio del cosmo in quanto
sapeva bene il significato del termine cieli e terra, ovvero mondo
proprio di un Dio e di un popolo. BeRe’ShiT, nella Bibbia, si usa
sempre per indicare l’inizio di un regno, il punto di partenza di una nuova
monarchia. E’ quindi da intendersi come “come prima cosa”, ovvero come primo
inizio della generazione dell’aDaM riguardo al progetto del suo nuovo mondo.
BaRa’: voce
verbale che appartiene alla riflessione della letteratura post-esilica. Il
verbo si riferisce alle azioni degli Elohim per le opere dei cieli e della
terra. Non è mai seguito da espressioni che indichino la materia di cui El si
serve, poiché le opere riguardano il “mondo adamico”. E’ un’azione che non ha
nulla a che fare con l’origine del cosmo ma che, nel pianeta su cui si svolge
l’azione dell’uomo, inizia e accompagna l’origine di un “mondo di divenienti
adamo”.
‘eLoHiM: plurale
grammaticale di eLoHa, nome comune, designa tutto quanto è ritenuto
divino, cioè potente e vero presso un popolo. Può essere soggetto sia di un
verbo plurale che singolare. Può indicare sia YHWH che il Dio o gli Dei di
altri popoli. Non può essere tradotto con Deus, ovvero Dio, perché il volume di
senso che un tale sostantivo veicola per un uomo dell’Occidente gli è estraneo
(ovvero l’essere assoluto, che esiste di per sé, che non esiste in virtù di ciò
che esiste già, che non ha un rapporto necessario con l’esistente, ma ne è
indipendente, quindi assoluto). In greco è tradotto impropriamente theòs, in
latino Deus, nel Targum palestinese “figlio di YHWH”. In questo primo versetto
del Genesi designa tutta la Divinità dei popoli che nella Bibbia hanno “cieli e
terra” e un aDaM.
‘eT
Ha-ShaMa-YiM We’eT Ha’-aReTs: l’espressione indica l’insieme non di due “luoghi”
ma delle due dimensioni, delle due condizioni di esistenza proprie del
mondo dell’aDaM, con tutto ciò che ciascuna contiene. Non designa pertanto le
cose che formano il cielo astronomico e la Terra come pianeta; è quanto genera
l’aDaM con il suo buon operare; e non comprende gli inferi (She’ol) opera
dell’aDaM malvagio (altra condizione d’esistenza e non luogo
geografico).
ShaMa-YiM è il nome che l’Elohim dà
allo scudo che separa le acque che sono in alto dalle acque che rimangono in
basso. E’ il luogo in cui appaiono il luminare maggiore e minore, Dio e la sua
RuaCh (spirito), il re e la regina, il padre e la madre, il forte e il debole,
i giusti e i potenti. E’ il luogo in cui l’aDaM è destinato a salire per
diventare stella e dar vita a quel “regno dei cieli” che è sinonimo di “regno
dei giusti”.
aReTs : è il nome che l’Elohim dà
all’asciutto; è la totalità degli elementi che costituiscono il “mondo” degli
Elohim, il “sicuro” dentro al quale crescerà l’aDaM e sul quale potranno
“salire” tutti i viventi. Il termine, da solo, indica anche nazione, popolo,
comunità. Sulla eReTs, l’aDaM coltiva la sostanza adamica e custodisce la
conoscenza del suo Elohim.
Conclusione
Confrontando
le diverse proposte di interpretazione, mi sembra di poter concludere che le
prime cinque parole che danno inizio al racconto biblico del Genesi ci vogliono
parlare non tanto della creazione dell’universo ex nihilo[16]
quanto della “creazione di un nuovo universo”, diverso da quelli esistenti
prima, espressione di una vita in evoluzione di cui l’uomo è il punto
momentaneo di arrivo, e la vita è un’esigenza stessa della creazione; e
nell’uomo, soltanto nell’uomo, nel progresso libero e indefinito della sua
coscienza, questa esigenza di creazione si afferma. L’uomo esprime il
significato e l’essenza più profonda della vita, costituisce il “termine” e il
“fine” dell’evoluzione stessa. Questa sarebbe allora la nuova creazione.
Arrivati
alla fine di questa relazione non possiamo che riproporci la domanda iniziale:
vale ancora
la pena metterci di fronte a questo antico testo, vale la pena sobbarcarci di
questa improba fatica linguistica, storica, antropologica, culturale per
interpretare la dottrina contenuta in questo libro (e in particolare in Genesi
1-3)? E’ un messaggio ancora valido per un abitante di questo pianeta oppure,
come tante altre dottrine, ha fatto il suo tempo, fa parte delle tante
rivelazioni sul mondo e sull’uomo che non hanno più alcun impatto con le nostre
urgenze quotidiane?
Potremmo
rispondere prendendo in prestito le parole di Romano Madera, nell’introduzione
al libro di Carlo Enzo:
“Solo
continuando a tornare su queste pagine, avvicinandole con nuove parole, le
rivelazioni o i miti originari possono continuare a vivere per noi e intessere,
con noi, la storia presente...”.
Lo dimostra
quali possibili nuove interpretazioni possono scaturire già dall’analisi
documentata e approfondita della lingua in cui il racconto biblico è stato
scritto. Come ha scritto A. Rosmini[17],
dalla Sacra Scrittura noi impariamo che Dio fu il primo a nominare le diverse
realtà create, applicando a ciascuna un proprio nome, affinché ognuna fosse
interamente conoscibile dall’uomo. Col crearle le aveva rese percettibili
all’uomo, ma col nominarle le aveva rese conoscibili. Così Dio, nella prima
istituzione del linguaggio umano, lo ordinò a due scopi e lo stabilì quasi
mediatore tra i due grandi ordini delle cose visibili e di quelle invisibili;
in questo modo il primo scopo del linguaggio fu di rendere intelligibile
l’universo sensibile; il secondo scopo fu quello che il linguaggio fosse il
mezzo attraverso il quale l’uomo trapassasse oltre i confini dell’universo
sensibile. E da qui, prendendo il volo, pervenisse a conoscere cose maggiori,
che non cadevano sotto i suoi sensi ma che erano per lui sommamente importanti,
fine ultimo di tutto il senso della sua esistenza e della sua compiuta
felicità.
“Non è qui
in questione” – continua Romano Madera – “il rapporto fede-scienza, non si
vuole in alcun modo accennare alle polemiche fra creazionisti ed evoluzionisti;
non si vuole in alcun modo confutare o discutere o contrapporre qualsiasi
indagine e concezione scientifica: né la teoria del big bang né la sua
confutazione, né le possibili nuove scoperte sulla massa del neutrino e sulle
sue implicazioni cosmologiche. Nulla di tutto ciò può in alcun modo toccare il
senso dell’affermazione di fede che ci fa riconoscere come creature di Dio in
un mondo di creature di Dio” .
Un’altra
conclusione mi sembra altresì opportuna, questa volta tratta dalle parole di H.
Bergson, nel suo studio sull’evoluzione creatrice precedentemente
citato:
“Come il più
piccolo granello di polvere è solidale con tutto il nostro sistema solare, ed è
trascinato con esso in quel movimento indiviso di discesa che è la materialità
stessa; così tutti gli esseri organici, dal più umile al più elevato, dalle
prime origini della vita sino ad oggi, e in tutti i luoghi come in tutti i
tempi, non fanno che manifestare in modo sensibile un impulso unico, inverso al
movimento della materia e, in se stesso, indivisibile. Tutti gli esseri viventi
sono congiunti insieme, e tutti cedono alla medesima formidabile spinta.
L’animale ha il suo punto di appoggio nella pianta, l’uomo nell’animalità, e,
l’umanità intera - nello spazio e nel tempo - è come un immenso
esercito che galoppa al fianco di ciascuno di noi, avanti e dietro a noi, in
una carica travolgente, capace di rovesciare tutte le resistenze e di superare
moltissimi ostacoli, forse anche la morte”.
Allegato I
Genesi 1 è il luogo privilegiato della dottrina cosmologica e antropologica
delle Chiese cristiane, che il Catechismo della Chiesa Cattolica così sintetizza:
La prima parola della Bibbia è Bereshit.
Cosa significa in ebraico? Ovvero, quale senso ha per un ebreo di oggi e
quale senso poteva avere per un ebreo dell’età di Cristo, per un ebreo dell’età
di Davide ( 1000 a . C.) o per un ebreo dell’età di Mosè ( 1250 a . C)?.
in greco è reso con
εν αρχη
ce ne accorgiamo, se procediamo all’indietro, da alcuni particolari:
in principio in italiano vuol dire letteralmente
“dentro il principio” (in questo caso del tempo), cioè “nel momento
dell’inizio” ed esprime un’idea di stato;
in principium in latino non vuol dire “dentro il
principio”, quanto “nel percorso del principio, da un punto del principio in
poi”, essendo un evidente complemento di moto (in accusativo) e non di stato
(in ablativo) come in italiano;
in greco l’espressione è resa da εν con il dativo αρχη ed
esprime nuovamente l’idea di stato in luogo;
in ebraico la labiale iniziale ב (beth) di ראשית
ב
(be-resh-it) costituisce una sorta di articolo mediativo o integrale che
esprime non solo uno stato ma anche un movimento, analogo alle preposizioni in,
nel, con, grazie al, ecc. e potrebbe tornare allora l’idea di
movimento.
Riassumendo:
ebraico = idea di stato o moto
greco = idea di stato
latino = idea di
moto
italiano = idea di stato
E’ evidente che se l’intendiamo come stato, suggerisce l’idea di un
inizio ex nihilo; se lo consideriamo come moto, è da intendersi
come continuazione di un processo già iniziato.
Quanto poi al sostantivo che costituisce l’espressione ראשית
ב ,
anche esso assume sfumature diverse di significato da lingua a lingua, a
confermare quanto già detto per la preposizione iniziale.
ראש (rash) significa testa, capo, causa
agente e quindi potenza in essere che si esprime nel divenire.
La traduzione greca è αρχη = sommità, causa prima, origine, capo.
In latino: principium deriva da prin – capio =
prendo per cominciare, derivato di princeps composto da pris
e mo e seguito da cap (che prende il primo posto).
Ma non si tratta solo di etimologia: a renderne più complessa la lettura e
l’interpretazione, bisognerebbe tener presente la triplice modalità di lettura
suggerita dallo studioso Fabre d’Olivet nel suo lavoro “La lingua ebraica
restituita” [19]. Costui, a pag. 46,
afferma, a proposito della parola ראשית ב :
“… questa parola, nel posto in cui si trova, offre tre sensi distinti di
lettura e interpretazione: uno proprio, l’altro figurato e il terzo
geroglifico”
Era il metodo dei sacerdoti egizi. La stessa parola assumeva, a secondo
delle loro intenzioni, uno dei tre sensi, quelli che Eraclito definisce parlante,
significante, occultante. I primi due erano oratori, il terzo non
esisteva che per gli occhi e non si usava che scrivendo. Le nostre lingue
moderne sono del tutto inidonee a far sentire questo modo.
Dopo aver dato il senso proprio e figurato della parola, lo studioso prova
a darci quello geroglifico:
“La parola ראש sulla quale si eleva il
modificativo ראשית
ב ,
significa sì la testa, ma solo in senso restrittivo e particolare. In
senso più lato e generale essa significa il principio. Ora, cos’è un
principio? Dirò in che modo lo avevano concepito i primi autori della parola ראש . Essi
avevano concepito una sorta di potenza assoluta, per mezzo della quale ogni
essere relativo è costituito come tale e avevano espresso la loro idea
attraverso il segno potenziale א (aleph) e il segno relativo ש
(shin) riuniti. Nella scrittura geroglifica esso veniva rappresentato
da un punto al centro di un cerchio סּ . Il punto centrale, che dispiega la
circonferenza, era l’immagine del principio.
La scrittura letterale rendeva il punto con א e
il cerchio con ס o ש . La
lettera ס
(samek) rappresentava il cerchio sensibile, la lettera ש
rappresentava il cerchio intelligibile (che veniva rappresentato alato o
contornato di fiamme). Un principio così concepito era, in senso universale,
applicabile a tutte le cose, tanto fisiche che metafisiche; ma in senso più
restrittivo veniva applicato al fuoco elementare; e, secondo che la parola
radicale אש
venisse assunta in senso proprio o figurato, stava a significare il fuoco
sensibile o intelligibile, il fuoco della materia o dello spirito. Prendendo
quindi questa stessa parola אש e facendola reggere dal segno
del movimento proprio e determinante ר (resh), si otteneva un
composto ראש , cioè, in linguaggio geroglifico, ogni
principio dotato di movimento proprio e determinante, di forza innata, buona o
cattiva. Questa lettera ר si potrebbe rappresentare, in scrittura
sacra, con l’immagine di un serpente, in piedi oppure secante il cerchio. Nel linguaggio
ordinario si vedeva in ראש un capo, una guida, la testa di
ogni essere o cosa; nel linguaggio figurato si intendeva il primo
motore, un principio agente, un genio buono o cattivo, una volontà retta o
perversa, un demone ecc.; nel linguaggio geroglifico si segnalava il Principio
primo universale, di cui non era consentito divulgare la conoscenza”.
L’esempio proposto, pur se in modo approssimativo e confuso, rende
evidente la difficoltà di interpretare un testo antico senza l’adeguata
conoscenza linguistica; e per il testo biblico questo è tanto più vero visto
che il testo greco appare molto lontano da quello ebraico, giacché la lingua
ebraica, quando il testo greco fu redatto, era stata sostituita dall’aramaico e
non era più usata come lingua comune da almeno trecento anni.
AA. VV. La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 1988
Bibbia ebraica, a cura di Rav Dario Disegni
Carlo Enzo, Abramo dove sei?, Saggiatore, Milano 2002
Genesi 1 – 11, a cura di Gianni Cappelletto, Edizioni Messaggero, Padova 2000
Fabre-d’Olivet, La lingua ebraica restituita, a cura del collettivo officina
Munk E., La voix de la Torah, Genèse, Ed. Colbo
Testa E., Introduzione – Storia primitiva, Marietti, 1969
Soggin, J. A., Genesi 1- 11, Marietti 1991
Westermann C., Genesi, Commentario, Piemme, 1990
Enrico Bergson, L’evoluzione creatrice, Signorelli, Roma, 1980
Massimo Baldacci, Prima della Bibbia, Mondatori, 2000
Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, 1985
Jhon L. McKenzie, Dizionario biblico, Cittadella editrice, 1981
Bibbia ebraica, a cura di Rav Dario Disegni
Carlo Enzo, Abramo dove sei?, Saggiatore, Milano 2002
Genesi 1 – 11, a cura di Gianni Cappelletto, Edizioni Messaggero, Padova 2000
Fabre-d’Olivet, La lingua ebraica restituita, a cura del collettivo officina
Munk E., La voix de la Torah, Genèse, Ed. Colbo
Testa E., Introduzione – Storia primitiva, Marietti, 1969
Soggin, J. A., Genesi 1- 11, Marietti 1991
Westermann C., Genesi, Commentario, Piemme, 1990
Enrico Bergson, L’evoluzione creatrice, Signorelli, Roma, 1980
Massimo Baldacci, Prima della Bibbia, Mondatori, 2000
Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, 1985
Jhon L. McKenzie, Dizionario biblico, Cittadella editrice, 1981
[1] Intendiamo la parola al femminile perché
tale è il genere in italiano e tale in greco. Quando si dice il Genesi si
intende Il libro della Genesi. Pertanto non si può dire Il libro del
Genesi.
[2] Sono infatti dei versi con un ritmo cadenzato e ripetitivo, dal tono solenne, tipico delle celebrazioni cultuali; una sorta di poema liturgico, vero inno al Principio che dà inizio al mondo in cui viviamo.
[2] Sono infatti dei versi con un ritmo cadenzato e ripetitivo, dal tono solenne, tipico delle celebrazioni cultuali; una sorta di poema liturgico, vero inno al Principio che dà inizio al mondo in cui viviamo.
[3] Cfr. Enrico Bergson,
L’evoluzione creatrice, Signorelli, Roma, 1980. In questo testo il filosofo
parla dell’uomo come culmine dell’evoluzione; il suo modo di conoscere
(attraverso l’intelligenza, attraverso la ragione, attraverso l’intuizione)
si esprime con modalità e intensità diverse lungo la linea dell’evoluzione
della vita.
[6] In ebraico è chiamata Tanakh, parola costituita dalle iniziali
dei libri che la compongono:
T = Torah, cioè Legge. Corrisponde al Pentateuco.
N = Nebh’im, cioè Profeti
T = Torah, cioè Legge. Corrisponde al Pentateuco.
N = Nebh’im, cioè Profeti
K =
Ketubh’im, cioè Agiografi
[7] Questo testo palestinese tuttavia non ci è
pervenuto, ma è probabile che si rifacesse a redazioni precedenti tra le quali,
le più importanti furono, in ordine, quella del primo regno (IX /VIII a. C.),
quella post esilica (VI /V a. C.), infine quella di Esdra, redatta tra il 400 e
il 300 a . C. L’attuale versione ebraica del testo biblico parte da quella
masoretica (TM), fissata nei secoli VIII e IX della nostra era dai rabbini
ebrei. Il testo latino della nostra Bibbia, detto Vulgata, è stato scritto da
San Girolamo nel IV secolo e si rifà a quello greco promulgato in età
ellenistica per gli ebrei della diaspora e chiamato dei Settanta (non dal
numero degli scrittori, che erano cinque, ma dal consiglio del Sinedrio che
l’aveva approvato).
[8] Alcuni studiosi
suggeriscono una metodologia che prevede tre momenti centrali:
- lettura del testo: analisi della struttura narrativa (lettura sincronica) con la ricerca di eventuali tradizioni teologiche (lettura diacronica);
- interpretazione: per far emergere i significati culturali e religiosi del testo;
- applicazione dei significati emersi alla vita di ogni giorno, cercando di prolungare nell’oggi i significati del testo mediante l’analogia delle situazioni
- lettura del testo: analisi della struttura narrativa (lettura sincronica) con la ricerca di eventuali tradizioni teologiche (lettura diacronica);
- interpretazione: per far emergere i significati culturali e religiosi del testo;
- applicazione dei significati emersi alla vita di ogni giorno, cercando di prolungare nell’oggi i significati del testo mediante l’analogia delle situazioni
[9] Il primo testo scritto della Bibbia
ebraica, che chiameremo da ora in poi del Tanakh, secondo la tradizione (Graf e
Welhausen) parte da quattro documenti posteriori all’epoca di Mosé (XIII secolo
a. C.):
- Tradizione Jahvista (J), redatta nel IX secolo a. C. in Giuda
- Tradizione Eloista (E), redatta nell’VIII secolo a. C. in Israele
- Tradizione Deuteronomista (JED), redatta dopo il re Giosia (640- 609 a . C.)
- Tradizione Sacerdotale (P), redatta dopo l’esilio babilonese ( 537 a . C.)
Dopo il 722
a . C. J ed E furono fusi in un unico testo.
Oggi si
ritiene che tutte queste tradizioni risalgano a fonti orali molto più antiche e
sono considerate cristallizzazioni di correnti di tradizioni che hanno origini
non conosciute e che sono continuate a sgorgare per centinaia di anni.
La
sovrapposizione delle diverse tradizioni è ancora rintracciabile nelle
redazioni definitive; vi sono infatti:
2 racconti di creazione
2 genealogie di Caino
2 racconti del diluvio
2 testi del decalogo
4 calendari liturgici e così via.
2 racconti di creazione
2 genealogie di Caino
2 racconti del diluvio
2 testi del decalogo
4 calendari liturgici e così via.
[10] Secondo il Catechismo
della Chiesa Cattolica, ed. 1992, al punto 115 e seguenti si afferma che la
Sacra Scrittura va letta secondo diversi sensi: letterale, spirituale,
allegorico, morale, anagogico. E’ compito degli studiosi contribuire alla più profonda
intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, per contribuire a
maturare il giudizio della Chiesa (ma nuovamente sottoposto, in ultima istanza,
al suo giudizio).
[11] L’espressione proclamata con forza da YHWH fu “Ehyeh asher ehyeh”, tradizionalmente tradotta con “Io sono colui che sono”. Interessante ci appare – tra le tante shakespeariane astruserie - l’interpretazione di Harold Bloom (Gesù e Jahvè, Rizzoli, 2006): “Io sarò presente ogni qualvolta e ovunque sarò presente”.
[11] L’espressione proclamata con forza da YHWH fu “Ehyeh asher ehyeh”, tradizionalmente tradotta con “Io sono colui che sono”. Interessante ci appare – tra le tante shakespeariane astruserie - l’interpretazione di Harold Bloom (Gesù e Jahvè, Rizzoli, 2006): “Io sarò presente ogni qualvolta e ovunque sarò presente”.
[13] Nelle prime sette
tavolette d’argilla dell’Enuma Elish, conservate nel British Museum, sono
descritte la creazione dei cieli e della terra e di tutto ciò che vi è
in essa, compreso l’uomo (nelle prime sei tavolette), e la lode al dio Marduk
(settima tavoletta) che nel settimo giorno si riposò (cessò ogni suo lavoro).
[15] E’ il nome dell’uomo e
del mondo (aDaMaH) di Genesi. Non va confuso con l’uomo di altri mondi, con
l’uomo sinonimo di specie umana o con il maschio della specie umana.
‘aDaM è l’uomo degli Elohim e di YHWH, quello che si sono scelti e al quale
hanno affidato l’elaborazione del loro progetto del mondo.
‘aDaMaH è la sostanza adamica (il corrispondente femminile di ‘aDaM) che
una ‘eReTs o un ‘aDaM devono venerare, servire, coltivare per raggiungere la
dimensione di nazione o di uomo che piace a Dio.
[16] “Il mito non conosce
alcuna creazione dal nulla […]. Il mito presuppone sempre un caos dai cui
elementi prende forma l’opera della creazione” . Creazione dal nulla e
auto-limitazione di Dio, in G. Scholem, Concetti fondamentali
dell’ebraismo, Marietti, Genova 1896.
[18] Secondo il
Fabre-d’Olivet la scrittura ebraica ha tre diversi modi di essere letta: due
sono sonori ed uno visivo; i primi due hanno significato letterale e figurale,
il terzo ha significato geroglifico.
[19] Fabre d’Olivet, La
lingua ebraica restituita, Parigi 1825. Traduzione italiana a cura di
Maria Luisa Mazzini, Arché, Milano, 1980
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