02 ottobre 2013

LA SCULTURA DI ARTURO MARTINI



Germano Beringheli - La scultura di Arturo Martini innovatore dall'anima classica

Dovessi definire sinteticamente la scultura di Arturo Martini (Treviso 1889-Milano 1947) la riassumerei con due aggettivi specifici e accorpati, in uso quando l'espressione artistica era ancora determinata dalla realtà e dall'estetica: la direi, infatti e tout court, figurativa e naturalistica.

Per formazione dell'artista, anzitutto, da autodidatta ben consapevole della necessità di imparare il mestiere e informato, anche, dell'incontro con culture distinte e polivalenti: quella iniziale del pittore veneziano Gino Rossi (influenzata dalle esperienze dei simbolisti e dei nabis francesi) e la matura dello scultore tedesco di Monaco Adolf von Hildebrand sulla sua adesione ai principi della puro-visibilità.

Aspetti, perciò, percettivi e razionali in chi aveva esercitato, nella propria città natale, una prima esperienza d'amore artigianale per la materia e, in particolare, per la creta. Cognizione ideologica, dunque, e pratica, apprese in una fabbrica di ceramica e approfondite guardando alcuni bozzetti del Canova veduti nella vicina Possagno. In seguito Martini aveva frequentato, per gli insegnamenti fondamentali, gli studi di Carlini a Treviso e di Nono a Venezia e poi, nell'ottica delle avanguardie europee, ne aveva sublimato i principi con penetrante lucidità e stile estremamente incisivo come ne scrisse, nel 1966, Guido Perocco paragonando la ricerca continua del veneto, esternata fra realtà e fantasia, con quella pittoresca, di origini etrusche ed egizie e di dilatazione neoclassica, dell'architetto Giovanni Battista Piranesi (pur esso, guarda caso, nato in provincia di Treviso).
 
 
 
 
 
Importante per la riuscita della sua scultura fu, per di più, la coesistenza con i protagonisti della scena estetica internazionale del tempo, per cui - mischiando i modi antichi del Laurana e le forme moderne di Brancusi con gli ordini etruschi e romani - gli furono, certo, di grande aiuto i viaggi, assieme a Gino Rossi, a Parigi dove, attraverso Modigliani e Boccioni, seppe dei contributi stilistici di Cézanne, degli sviluppi delle ricerche dinamiche del Futurismo e di quelle post cubiste sulla luce.

Se la scultura solenne e monumentale di Martini, fu tratta dalla fisicità della natura, del paesaggio e dell'architettura (figure comprese e si pensi, particolarmente, a Il figliolo prodigo, del 1926, o a L'attesa, del 1930 e alle tante committenze posteriori), vale affermare come e quanto il contenuto plastico delle sue terrecotte giganti, quali Il benefattore o delle minori, colorate, abbia la stessa espressività, plastica e simbolica dovuta alla sintesi metafisica delle forme e al mito primitivo propugnato da Valori Plastici



Non a caso, infatti, Arturo Martini - che negli anni '40 era pervenuto alle soglie dell'astrazione e, conseguentemente, nel 1945, alla pessimistica consapevolezza dello scritto La scultura lingua morta - visse, per molti anni, a Vado Ligure, dove si era sposato e aveva comperato una casa con l'importo di un primo premio a una Biennale di Venezia. Fu perciò, oltre che il più importante scultore europeo del Novecento, un grande ceramista e tanti suoi lavori - sculture e terrecotte, realizzate anche presso le manifatture La fenice di Albissola e Ilca di Nervi - valorizzano collezioni pubbliche e private. A Savona l'amicizia di Manlio Trucco e di Giuseppe Mazzotti, assieme alla stima dei Barile e del genovese Mario Labò, gli consentirono, infatti, un ulteriore e personale accrescimento per la forma artistica della terracotta, già coltivata in gioventù.

Il Museo di Vado Ligure, Savona e la sua Cassa di Risparmio e la città di Acqui Terme ospitano sue tante e importantissime opere. In realtà, con la terracotta e la pietra, Martini riportò consapevolmente il linguaggio plastico alle forme dell'espressione primaria.



(Da: La Repubblica del 15 settembre 2013)

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