08 dicembre 2013

BLUE JASMINE. IL RITORNO DEL GRANDE WOODY ALLEN



Dopo una serie di filmetti insignificanti, tra lo spot pubblicitario e la promozione turistica di città europee, Woody Allen ci offre di nuovo un saggio di grandissimo cinema con una straordinaria Cate Blanchett. Da vedere.

Giulia D'Agnolo Vallan

L’eroina di Woody. Una vita senza redenzione


Film attua­lis­simo e feroce, il nuovo Woody Allen, Blue Jasmine, è un’inaspettata non– com­me­dia che nasconde die­tro a una pre­messa più volte visi­tata dal cinema hol­ly­woo­diano clas­sico (per esem­pio nel capo­la­voro di Pre­ston Stur­ges, I dimen­ti­cati) uno dei per­so­naggi più irre­di­mi­bili che la satira alle­niana abbia mai archi­tet­tato. Nata Jea­nette e cre­sciuta in una fami­glia adot­tiva, Jasmine (Cate Blan­chett) ha più o meno ricon­fi­gu­rato il suo opaco Dna middle class in quello sfa­vil­lante di una socia­lite di Park Ave­nue, gra­zie alle nozze con un Master of the uni­verse di Wall Street (Alec Baldwyn).

Ric­chis­simo e sol­le­cito nei suoi con­fronti, lui la tra­di­sce rego­lar­mente con l’amica, la trai­ner o la col­lega di turno. Lei ignora le tre­sche, o fa finta di non vedere nulla. La loro è un’esistenza beata tra appar­ta­menti e monu­men­tali ville agli Hamp­tons. Infatti, i veri pro­blemi emer­gono solo quando, come Gor­don Gekko e Ber­nie Madoff, il sim­pa­tico marito si rivela un truf­fa­tore di pro­por­zioni colos­sali. Sola con il suo mega-set di Vuit­ton e a mala­pena i soldi per com­prarsi un biglietto aereo (di prima classe natu­ral­mente), Jasmine lascia l’Upper East Side alla volta di San Fran­ci­sco dove sua sorella Gin­ger (adot­tiva anche lei, ma fisi­ca­mente meno ido­nea a un re-styling wasp – il film di Allen esi­bi­sce alle­gra­mente un radi­cale dar­wi­ni­smo) si man­tiene lavo­rando alla cassa di un super­mer­cato e, già lascia­tasi alle spalle un matri­mo­nio con il sim­pa­tico costrut­tore cafone Andrew Dice Clay, pro­getta di con­vi­vere con un altro coatto di nome Chili (Bobby Can­na­vale). Inor­ri­dita dai gusti infe­riori della sorella, Jasmine la istiga a mirare «più in alto», e così la pove­retta (grande, nel ruolo, l’attrice Sally Haw­kins) si fa abbin­do­lare in una sto­ria con un gau­dente signore spo­sato inter­pre­tato con sor­riso da Lupo Eze­chiele dallo straor­di­na­rio comico tele­vi­sivo Louis C.K.


Nel trian­golo tra le sorelle e il fidan­zato, Allen strizza l’occhio a Ten­nes­see Wil­liams. Non gua­sta che Cate Blan­chett sia stata un’applauditissima Blan­che Dubois in una pro­du­zione di Un tram chia­mato desi­de­rio messa in scena a Broo­klyn qual­che anno fa. Ma il rimando è pura­mente di super­fi­cie: il film è privo delle ten­sioni psi­co­ses­suali della piece di Wil­liams e Jasmine non è mai tragico/patetica come Blan­che. È però immu­ta­bile, come scol­pita nel gra­nito – inca­pace di rispon­dere al tele­fono dello stu­dio medico dove l’assumono per pietà, di trat­tare uma­na­mente i clienti, di diver­tirsi, di capire la gioia altrui e, alla fine, per­sino di farsi spo­sare da un gio­vane poli­tico ram­pante oppor­tu­ni­sti­ca­mente inte­res­sato al suo pedi­gree di moglie d’alto bordo. Il per­so­nag­gio arti­fi­ciale e vuoto che ha inven­tato per se stessa, le impe­di­sce infatti di ri-farsi una vita diversa dai valori di quella da cui è stata espulsa.

Ten­nes­see Wil­liams morfa in Dostoe­v­sky. E, die­tro al volto ari­sto­cra­tico, geli­da­mente lumi­noso e stra­nito, di Blan­chett (stra­grande favo­rita agli Oscar di quest’anno) e alle dolci brezze della San Fran­ci­sco Bay, emer­gono i neri cupis­simi di Cri­mini e misfatti. Il ritorno in Ame­rica di Woody Allen è segnato da un for­tis­simo scarto tonale rispetto alle più ariose, pro­du­zioni rea­liz­zate durante il gran tour euro­peo degli ultimi anni.

Ric­chis­simi e non pos­sono coe­si­stere secondo que­sta para­bola made in Woody: siamo deci­sa­mente nella New York (e nel mondo) di Michael Bloom­berg. Il rac­conto di due città di Bill De Bla­sio non è ancora nem­meno all’orizzonte. E in Blue Jasmine non c’è un’astronave scas­sata con cui i pove­racci pos­sono par­tire alla con­qui­sta di Ely­sium. Così Allen regala alla sua indo­mita «eroina» – per­ver­sa­mente arte­fice, si sco­prirà, della sua stessa cata­strofe– un finale impla­ca­bile, di tri­stezza ter­ri­bile. Oltre il punto di non ritorno.

(Da: Il Manifesto del 5 dicembre 2013)

Nessun commento:

Posta un commento