09 dicembre 2013

I POLLI DI RENZI




 ROBERTO MUSACCHIO  

 I  POLLI  DI  RENZI


Renzi ha vinto. Questo dato di fatto è indubitabile, aldilà del numero degli elettori. Ha vinto riuscendo, insieme, sia  ad esprimere una reale egemonia, come si sarebbe detto un tempo, sia “spiazzando” i suoi competitor, e cioè mettendo insieme quelle che, sempre usando espressioni del nostro mondo antico,  si chiamano mossa del cavallo e capacità corsara.
L’uso della terminologia non è casuale, in questo articolo. La mia idea infatti è che quella cassetta degli attrezzi, quella della vecchia storia comunista, sia passata di mano; e non a caso. Sconfitti infatti sono gli ultimi eredi di quella che fu una gloriosa tradizione. Non c’è dubbio che nella vittoria di Renzi, per i suoi numeri quantitativi e qualitativi, la certificazione di questa sconfitta è fortissima. Ciò che rimane della classe dirigente che fu comunista è ridotta ad estrema minoranza. Una parte di essa, in forme per altro cospicue, transita nelle fila del vittorioso; che riesce a sommarla al riemergere dal minoritarismo e dal reducismo di quella che era la componente democristiana. Renzi vince ovunque, nelle terre eredi del comunismo e in quelle bianche.
Naturalmente la sua non è una mera sommatoria, anzi. Il suo consenso è cementato e gonfiato dallo spirito di rottamazione e dal cambio generazionale, dal bisogno di vittoria, dalla capacità di riplasmare i materiali messi a disposizione dalle culture in crisi e della crisi. Cavalca l’anticasta, rilancia il maggioritario e il bipolarismo senza se e senza ma, carica a testa bassa le larghe intese, anche se bisognerà vederlo alla prova dei fatti.  Punta tutto su una modernizzazione che appare datata, molto neo-blairiana, ma che si ripropone con una sua flessibilità, come quando attacca le forme più manifestamente stupide dei dogmi europei. Conquista ampiamente quello che è stato chiamato il popolo del centrosinistra, con una espressione che è stata usata in una forma quanto mai generica e politicamente approssimata.
Questa forza di fondo lo rende capace di egemonia e insieme di grande capacità di movimento. Non c’è dubbio che in questo abbia sbaragliato chi gli si è posto contro. E lo ha fatto anche attraverso scelte che hanno spiazzato. Prima di tutte quella di decidere di correre per la segreteria del partito. Frutto di una contingenza – la strada di Palazzo Chigi per ora sbarrata – trasformata in una sfida vincente. Se fin qui era valso lo schema per cui agli ex Pci andava il partito mentre gli altri erano candidabili a premier, schema che ha trovato la massima espressione nel prodismo, Renzi rompe il tabù, dà l’assalto direttamente alla casamatta e la espugna. L’effetto choccante di questo avvenimento credo sarà enorme, ancor più di quello che già oggi appare, perché viola la sacralità del santuario, del luogo ancora inteso come depositario dell’effettivo primato della politica. Quello che appare in tutta evidenza è che un’erede della Dc se ne appropria e sconfigge gli eredi del Pci non sul posizionamento, il ruolo di governo, ma sul piano della politica e di occupazione dello spazio preposto ad essa. Io non credo che questa lettura sia esaustiva della realtà e cioè che Renzi sia semplicemente un neo-democristiano, anzi. Eppure questo aspetto, e cioè quello di una vittoria sul campo della politica, di un figlio, sia pure alla lontanissima, della cultura democristiana, colpisce e rimanda ad altre epoche in cui si è manifestata questa egemonia Dc nell’interpretare la modernizzazione, a partire da De Gasperi.
Ma quando dico che Renzi non è semplicemente un neo-dc, lo dico guardando anche ad altre mosse che ha messo in campo sullo scacchiere, come quella di aprire all’ingresso del Pd, il suo Pd, nel Partito socialista europeo. Renzi mostra in questo di aver ben colto lo spazio che ha di fronte, che è diverso da quello che si sarebbe potuto trovare in altri paesi europei, ma che comunque usufruisce dei materiali che il contesto in costruzione della nuova Europa offre. Altrove il popolarismo ha condizionato i socialisti nello spirito delle larghe intese costituenti: penso ad esempio alla egemonia attuale di Merkel in Germania. Qui da noi Renzi si appropria direttamente del Pd e, se ne può esser certi, ne farà testa di ponte, e di ariete, per una nuova trasformazione del socialismo europeo verso i lidi democratici e filoamericani. Trova spazio fertile nella crisi, identitaria e politica, grave del socialismo europeo, che qualcuno semplicisticamente aveva circoscritto agli epigoni della terza via, che per altro furono politicamente vincenti a loro modo, e che in realtà si è resa più drammatica con la  costruzione dell’Europa neoliberista. Anzi, probabilmente Renzi sarà un meno fedele, e ottuso, esecutore della governance e proverà a muovere magari in direzione di una correzione anglofila, e filoamericana, dell’attuale egemonismo tedesco.
Renzi dunque vince. E perdono gli altri e in particolare gli eredi di una certa cultura politica che, come dicevo, Renzi ha saputo riattrezzare per sé, mentre loro l’hanno in realtà ridotta a una sorta di bignami che ne ha ucciso gli elementi vivi. Qui c’è la lunga parabola della storia del Pci, che si dovrebbe finalmente ripensare. Come sia sopravvissuta l’idea che una cassetta degli attrezzi, dall’egemonia alla doppiezza, potesse sopravvivere rompendo in radice con la sua ragion d’essere e cioè il cambio radicale della società, si sarebbe detto un tempo, la Rivoluzione. Ora, io sono convinto tra l’altro che non tutti gli attrezzi di quella cassetta fossero di pari valore d’uso, per non dire morale. La doppiezza ad esempio non mi ha mai convinto. Ma non c’è dubbio che porla al servizio di una politica che andava nella direzione opposta, e cioè verso l’edificazione dell’Europa liberista, con la rottura del vecchio compromesso sociale, è stata una operazione suicida. E’ valsa ad esempio nei paesi dell’Est per le vecchie nomenclature riciclate. Ma qui porta agli esiti attuali. In questi anni gli eredi della vecchia cassetta degli attrezzi l’hanno usata per maneggiare pensieri opposti a quelli che l’avevano forgiata. Dal maggioritario, alla centralità governista, passando per meritocrazia, privatizzazioni, liberalizzazioni e arrivando all’austerità. Sempre continuando a pensarsi però “eredi di..”.
La cosa ancora più grave è che hanno pensato che quell’essere eredi avrebbe mantenuto la connessione sentimentale, o il governo, del “loro” popolo. Che in realtà nel frattempo diventava qualcosa del tutto diverso, impastandosi con le culture della crisi. Qualcosa che Gramsci avrebbe saputo analizzare e interpretare con quello che chiamava spirito di scissione, per indicare il bisogno di confrontarsi seriamente, e non populisticamente, con le culture di massa. Ma che anche un fine analitico della italianità come Manzoni avrebbe saputo leggere meglio. Meglio cioè di quello che hanno fatto i competitor di Renzi, i suoi polli, per giocare con una metafora manzoniana. Quelli che lo hanno contrastato da dentro il Pd e quelli che, in particolare negli ultimi anni, hanno provato a condizionare il Pd abbracciandolo in nome della vecchia cassetta degli attrezzi. Entrambi, da dentro e da fuori, naturalmente con elementi diversi, hanno assunto sempre più quel quadro di riferimento culturale, dal maggioritario alla centralità del governo, che li ha messi fuori gioco a fronte della superiorità strategica e tattica di Renzi.
Naturalmente anche coloro che hanno provato a stare fuori dalla gabbia dei polli non si sono salvati dall’essere spennati quasi fino all’ultima piuma. Sconfitto il tentativo di resistenza che fu proprio degli anni seguiti allo scioglimento del Pci e che hanno avviato l’attuale fase non si è riusciti a replicare in forme e modi adeguati alla bisogna.
Oggi, però, la esigenza si ripropone, in tutta evidenza. Pensare di restare nella gabbia di Renzi pensando di avere nella cassetta degli attrezzi una qualche chiave per uscirne mi pare insensato. Per uscire da quella gabbia però occorre con tutta evidenza una nuova cassetta degli attrezzi che nasce da una critica radicale della consunzione della vecchia ma anche del dotarsi di qualche nuovo arnese. Come ad esempio quelli che vengono da quei movimenti, ma anche da quelle culture politiche, che hanno provato ad attrezzarsi in questa nuova fase. Comunque se anche i polli di Renzi, lo dico con affetto, provassero a parlarsi invece che continuare a litigare, non sarebbe male.

9 dicembre 2013

dal  sito   http://www.democraziakmzero.org/

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