06 dicembre 2013

R. ROSSANDA: QUANDO SI PENSAVA...



E' in libreria “Quando si pensava in grande” di Rossana Rossanda. Raccoglie 20 interviste apparse sul Manifesto dal '68 alla fine degli anni '90. Trent'anni nelle riflessioni degli esponenti di una sinistra che oggi non esiste più. Da leggere.

Benedetto Vecchi

La scommessa politica di ripartire dopo la sconfitta


La let­tura delle inter­vi­ste, ma il più delle volte sono incon­tri alla pari tra una comu­ni­sta «ere­tica» e pro­ta­go­ni­sti del movi­mento ope­raio e comu­ni­sta, costringe a ripen­sare il lungo Nove­cento, un secolo aperto dalla spe­ranza e dalla pro­spet­tiva di un cam­bia­mento radi­cale e chiuso con la scon­fitta di chi, in nome di quel cam­bia­mento, ha fatto scelte di vita all’insegna di una mili­tanza poli­tica tota­liz­zante. Non è certo un caso che Ros­sana Ros­sanda abbia pri­vi­le­giato intel­let­tuali, mili­tanti e diri­genti non ita­liani, quasi a sug­gel­lare la fine di un’anomalia ita­liana, per molto tempo carat­te­riz­zata da un dua­li­smo tra svi­luppo capi­ta­li­sta inten­sivo e il per­ma­nere di carat­te­ri­sti­che otto­cen­ten­te­sche che aveva fatto scri­vere di una «matu­rità del comu­ni­smo» pro­pe­deu­tica a sal­tare quella fase di tran­si­zione, chia­mata socia­li­smo, dal capi­ta­li­smo al «regno della libertà».

Gli ita­liani pre­senti in que­sto volume sono il sin­da­ca­li­sta con­si­lia­ri­sta Bruno Tren­tini; il diri­gente del Pci Pie­tro Ingrao che ha appena assi­stito alla liqui­da­zione del suo par­tito; il cat­to­lico inquieto Giu­seppe De Rita alle prese con una tra­sfor­ma­zione sociale ita­liana ancora da inda­gare; il segre­ta­rio della Cgil Ser­gio Cof­fe­rati atti­rato dalla pro­spet­tiva di costruire una sini­stra rifor­mi­sta con con­no­tati «socia­li­sti»; Mas­simo D’Alema, ultima incar­na­zione di quell’autonomia del poli­tico in salsa postso­cia­li­sta allora in ascesa; il segre­ta­rio di Rifon­da­zione comu­ni­sta Fau­sto Ber­ti­notti alle prese con un par­tito che non rie­sce a pren­dere una forma inno­va­tiva e distinta da quelle che l’hanno pre­ce­duta (il par­tito ope­raio a là Spd o quello leni­ni­sta). Il tono domi­nante che emerge da que­sti incon­tri, nono­stante Ros­sana Ros­sanda incalzi i suoi inter­lo­cu­tori, è di con­sta­tare che la fine del Nove­cento coin­cide con l’archiviazione dell’«ipotesi comunista».

Ma qual è l’ipotesi comu­ni­sta che emerge da que­sta lunga car­rel­lata di uomini incon­trati tra gli anni Ses­santa e la fine del Nove­cento? Super­fluo ricor­dare la distanza di Ros­sana Ros­sanda dal «socia­li­smo reale» (è stata per que­sto cac­ciata dal Pci, assieme al gruppo che darà vita al «mani­fe­sto», anche se con cri­stal­lina one­stà intel­let­tuale non omette mai di ricor­dare che quell’esperienza aveva visto coin­volti uomini e donne che, come lei, ave­vano scelto di essere comu­ni­sta. Quel che inte­ressa Ros­sana Ros­sanda era di dare forma poli­tica a un’idea di rivo­lu­zione, di tra­sfor­ma­zione radi­cale a par­tire dall’imprevisto della Sto­ria che è stato il Sessantotto.

Tutto, allora, diven­tava pos­si­bile. Tutto però diven­tava dif­fi­cile. Era la faci­lità dif­fi­cile a farsi annun­ciata da Ber­tolt Bre­cht. Il par­tito non è la forma orga­niz­za­tiva che può inter­cet­tare que­gli «strani stu­denti» che hanno preso la parola nelle metro­poli euro­pee e sta­tu­ni­tensi. Al suo posto, tut­ta­via, non ha preso piede nes­sun valido sosti­tu­tivo. Anche la classe ope­raia è cam­biata. Non vuole solo più sala­rio, ma chiede di eser­ci­tare il suo potere den­tro la fab­brica e nella società. Per una comu­ni­sta come Ros­sana Ros­sanda que­sto signi­fica fare i conti con la cri­tica dell’economia poli­tica mar­xiana, senza però andare oltre Marx. Non a caso, viene ricor­dato un sag­gio, a suo modo pro­gram­ma­tico, dal titolo «Da Marx a Marx». E pro­gram­ma­tico è l’incontro con Louis Althus­ser, dove il filo­sofo fran­cese, quasi in un mono­logo, evi­den­zia il fatto che l’opera mar­xiana più che aperta è «finita», inten­dendo con ciò che è va inte­grata lad­dove necessita.



Ma se il Ses­san­totto è lo spar­tiac­que per una rin­no­vata teo­ria della rivo­lu­zione, le pagine di que­sto libro sono attra­ver­sate dalla scon­fitta di tale scom­messa poli­tica. È que­sta la parte più pro­ble­ma­tica, almeno per chi scrive, del volume. Certo il movi­mento ope­raio esce scon­fitto dal lungo Nove­cento, ma ciò non signi­fica che non sia pos­si­bile ripren­dere le fila di una prassi teo­rica e poli­tica che «imma­gi­nava» un altro tipo di tra­sfor­ma­zione radi­cale. La caduta del Muro di Ber­lino e l’implosione del socia­li­smo reale sono entrambi uno spar­tiac­que, anche se la con­tro­ri­vo­lu­zione neo­li­be­rale si era già dispie­gata a livello pla­ne­ta­rio. Da que­sto punto vista, l’Ottantanove è la rati­fica di un pas­sag­gio di fase. In altri ter­mini, il movi­mento ope­raio era già stato scon­fitto. E con esso il Ses­san­totto. Il nodo da scio­gliere allora non è quello della scon­fitta, ma dal dove e dal come ripar­tire. Fuori dai denti: pre­con­di­zione di tutto è inno­vare pro­prio quella cri­tica dell’economia poli­tica a cui Ros­sana Ros­sanda ha più volte invi­tato a tornare.

Il mondo uscito dall’Ottantanove non è però un deserto da attra­ver­sare, né una realtà a volte feroce che ha biso­gno di una buona ammi­ni­stra­zione della cosa pub­blica (come emerge nelle parole di Giu­seppe De Rita e Mas­simo D’Alema), ma un modo di pro­du­zione che ha visto ridi­se­gnare i rap­porti sociali di pro­du­zione sem­pre all’insegna del lavoro sala­riato. Mutate sono le figure del lavoro vivo, mutati sono i rap­porti tra stato e eco­no­mia, mutate sono infine le sog­get­ti­vità poli­ti­che. Anche qui, a scanso di equi­voci: la scom­parsa della sini­stra non è da salu­tare come una vit­to­ria, bensì un prin­ci­pio di realtà da cui par­tire che dovrebbe met­tere al riparo dal riflesso pavlo­viano di guar­dare agli attuali par­titi eredi della sini­stra poli­tica nove­cen­te­sca — sia ita­liana che euro­pea — come un con­te­sto in grado di poter garan­tire un timido rifor­mi­smo che con­tenga gli «spi­riti ani­mali» del capi­ta­li­smo. Sem­mai sono parte inte­grante di un sistema poli­tico fun­zio­nale al sistema di potere attuale.

Ovvia­mente, la cita­zione del sor­gere e dell’eclissi dei movi­menti sociali, le insor­genze sociali, financo le rivolte può essere facil­mente deriso se messo a para­gone con il lungo Nove­cento. Ma que­sta è la realtà in cui vivere e agire poli­ti­ca­mente. Altre strade con­du­cono in vicoli cie­chi o nell’aderire al domi­nante spi­rito del tempo.

Il volume di Ros­sana Ros­sanda si chiude su que­sti nodi. È com­pito di un altro ordine del discorso scio­glierli. A lei il merito di con­ti­nuare a scavare.


(Da: Il Manifesto del 4 dicembre 2013)

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