10 gennaio 2014

LA DEREGULATION GENERA MOSTRI: lo dimostrano tutte le ricostruzioni avvenute dopo i terremoti.





 

«L’utilizzo di pro­ce­dure nego­ziate senza bando ha avuto una forte acce­le­ra­zione, tanto che que­sto tipo di pro­ce­dura è diven­tata quella più fre­quen­te­mente uti­liz­zata. E que­sto anche in rela­zione alle modi­fi­che appor­tate dal decreto legge 70/2011». Que­sta frase è con­te­nuta nella rela­zione dell’Autorità sui con­tratti pub­blici con­se­gnata al Par­la­mento nel 2012 e met­teva il dito nel feno­meno distor­sivo pro­dotto dalla legi­sla­zione vigente. L'appello all'emergenza e il ricorso sistematico alla discrezionalità sono gli strumenti essenziali per consentire corruzione e criminalità. 
Il caso esemplare de l'Aquila.


Paolo Berdini - La deregulation genera mostri

Nel pieno rispetto della legge i comuni pos­sono infatti affi­dare a trat­ta­tiva pri­vata appalti pub­blici fino ad un importo di 500 mila euro. Afferma ancora l’Autorità che quasi la metà (48,1%) dei con­tratti di importo supe­riore ai 150 mila euro è stata affi­data senza la pub­bli­ca­zione del bando per un valore com­ples­sivo di 3,6 miliardi di euro. Nes­suno ha dun­que il diritto di mera­vi­gliarsi di quanto è avve­nuto a L’Aquila: era tutto scritto e biso­gnava sol­tanto rico­struire le regole.
Nell’area del ter­re­moto abruz­zese, ci sono poi due ulte­riori argo­menti che non lasciano scampo a chi tende a deru­bri­care l’accaduto come un «nor­male» caso di diso­ne­stà. Il primo riguarda la macro­sco­pica ano­ma­lia rap­pre­sen­tata dalle pro­ce­dure emer­gen­ziali che, come noto, sono basate sulla filo­so­fia delle deroga alle regole ordi­na­rie. Con la scusa del ter­re­moto, nel cra­tere abruz­zese si sono potuti affi­dare appalti pub­blici attra­verso una discre­zio­na­lità ancora mag­giore di quella che per­met­tono le pur gene­rose leggi ordi­na­rie. Sem­pre i dati for­niti dall’Autorità sugli appalti pub­blici ci dicono che nel 2011 le ordi­nanze di pro­te­zione civile in tutta Ita­lia sono state 72 per un importo di 1,98 miliardi di spesa: la cul­tura emer­gen­ziale come schermo della discre­zione.



Ma è il secondo argo­mento a non lasciare scampo alla mera­vi­glia degli ammi­ni­stra­tori. Lo scorso anno, il depu­tato euro­peo Søren Søn­der­gaard, mem­bro della com­mis­sione di con­trollo del bilan­cio di Bru­xel­les, ha reso pub­blica la sua rela­zione di inda­gine sulle opere ese­guite nel cra­tere del ter­re­moto: appalti sospetti, norme vio­late, fondi comu­ni­tari spesi male. E poi, mate­riali sca­denti, Case e Map (i com­plessi anti­si­mici soste­ni­bili ed eco­com­pa­ti­bili e i moduli abi­ta­tivi prov­vi­sori di Ber­lu­sconi) troppo care. Un capi­tolo era anche dedi­cato alle infil­tra­zioni della cri­mi­na­lità orga­niz­zata nei lavori della rico­stru­zione, met­tendo in par­ti­co­lare in luce il ruolo abnorme dei sub appal­ta­tori. Un feno­meno impo­nente, come denun­ciava anche il set­ti­ma­nale Edi­li­zia e ter­ri­to­rio del Sole 24 Ore del 26 otto­bre 2009: «Su 1072 imprese, 910 lavo­rano in subap­palto». Il sin­daco Cia­lente non aveva gra­dito le denun­cie del com­mis­sa­rio euro­peo ed aveva repli­cato affer­mando: «Vor­rei tanto fare un con­fronto pub­blico con que­sto signore, vedere che dati ha. La sua rela­zione ha fatto molti danni, essendo con­fusa, piena di impre­ci­sioni e anche offen­siva. Non è vero che ci sono infiltrazioni».
Di fronte ad un sistema poli­tico inef­fi­ciente sono state come al solito la magi­stra­tura e le forze dell’ordine a svol­gere un ruolo pre­zioso. Lo scan­dalo dell’Aquila potrà ser­vire se si avrà il corag­gio di affron­tare tre nodi fon­da­men­tali. Le regole di appalto, come abbiamo visto, non esi­stono più e i soldi pub­blici ven­gono spesi con asso­luta discre­zione dal mondo della poli­tica: è ora di rico­struirle. Il ruolo di guida delle pub­bli­che ammi­ni­stra­zioni nelle città è stato in que­sti anni demo­niz­zato a par­tire dalla fami­ge­rata pro­po­sta di legge Lupi (attuale mini­stro) che arri­vava ad equi­pa­rare pub­blico e pri­vato. Di fronte al disa­stro pro­vo­cato dalla can­cel­la­zione dell’urbanistica è ora di inver­tire la ten­denza. L’Aquila, del resto, ne è l’esempio più tra­gico. Tra quat­tro mesi ricorre il quinto anni­ver­sa­rio dal sisma e il cen­tro sto­rico è un deserto umano pro­prio per­ché si è rinun­ciato ad una rigo­rosa pro­gram­ma­zione pub­blica. E infine occorre capo­vol­gere il bilan­cio dello Stato. Nella legge di sta­bi­lità non solo sono stati tolti i finan­zia­menti per la rico­stru­zione de L’Aquila e man­te­nuti quelli sulle grandi opere ma si con­ti­nua nella demo­li­zione delle regole. Secondo la cul­tura pre­va­lente nella com­pa­gine gover­na­tiva, i mali dell’Italia sono da ricer­carsi nell’eccesso di regole – pro­blema che pure esi­ste — e non nel gigan­te­sco sistema della discre­zio­na­lità che carat­te­rizza la pub­blica ammi­ni­stra­zione. E dove c’è discre­zio­na­lità non ci si può mera­vi­gliare che trion­fino cor­ru­zione e malaffare.
Il manifesto, 9 gennaio 2013
 

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