03 febbraio 2014

ASINI E CARROZZE. L'UTILITA' DELL'INUTILE



Si succedono appelli in difesa della cultura umanistica, dell’insegnamento della Filosofia, della Geografia, della Storia dell’Arte, della Educazione Musicale. Appelli in difesa del liceo classico (qui, qui). Il sapere non specificamente aziendalistico sta sparendo dalle nostre scuole? E la ministra Carrozza cosa dice? Leggiamo il suo Atto di indirizzo 2014 e troviamo ancora: digitalizzazione, potenziamento dell’istruzione tecnico-professionale, raccordo dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro. Inoltre: un anno in meno di scuola, e comunque una scuola per imparare a lavorare, una scuola fatta di stage e tirocini! La scuola della “alternanza scuola-lavoro” che piace tanto a Confindustria! A chi giova la diffusione di un’idea di sapere rivolto esclusivamente al profitto? A chi il potenziamento dell’analfabetismo? Poniamo il problema a partire dal libro di Nuccio Ordine L’utilità dell’inutile su cui riflette Donato Salzarulo.


L’utilità dell’inutile: un florilegio di citazioni in difesa dei saperi umanistici
di Donato Salzarulo

1. – In tempi recenti si sono moltiplicati gli appelli in difesa dei saperi umanistici, minacciati dalla religione invasiva del mercato, dalla dittatura del profitto e dal pensiero unico neoliberista.
L’ultimo, in ordine di tempo, è quello apparso sulla rivista «Il Mulino» (n. 6 del 2013) e firmato da Alberto Asor Rosa, Roberto Esposito ed Ernesto Galli Della Loggia, tre professori e intellettuali con visioni e pensieri tutt’altro che in sintonia. Per l’occasione, però, hanno ritenuto opportuno lasciar da parte le differenze e convergere sulla denuncia della pessima situazione in cui verserebbero le cosiddette “scienze umane”, afflitte e depresse da varie ragioni: dalla politica europea dell’austerità che viene tradotta dai Governi italiani in tagli lineari ai finanziamenti e investimenti alla scuola, all’università, alla ricerca, alla cultura, con ricadute significative sulle discipline umanistiche; dal prevalere di una “cultura della valutazione” più attenta agli aspetti quantitativi che qualitativi dei saperi disciplinari; dalla cronica mancanza di sbocchi lavorativi per i laureati delle facoltà umanistiche, ecc.
Sullo stesso numero della rivista è meritevole di molta attenzione il contributo di Maurizio Bettini sulla crisi del liceo classico. Il breve saggio, intitolato «I classici antenati o enciclopedia culturale?», riflette sulla presenza della cultura classica nelle scuole italiane, sull’insegnamento ancora obbligatorio del latino – anche se, ormai, in nazioni europee come la Francia, la Gran Bretagna o la Germania da tempo non lo è più – e prospetta le disastrose conseguenze di un’eventuale abolizione.
Se sui nostri banchi scolastici non si leggesse più l’Eneide, non avremmo più in comune con Pascoli, Manzoni, Ariosto, Dante, Sant’Agostino e perfino l’imperatore Augusto un libro che li ha annoverati come lettori. Si spezzerebbe un filo di continuità, un flusso ininterrotto di memoria diffuso all’interno della nostra tradizione culturale. Condanneremmo all’oblio e al silenzio un enorme patrimonio di conoscenze.
Uscendo dai confini italiani, ma prontamente tradotto nel Belpaese, è da segnalare il libro di Martha C. Nussbaum Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (Il Mulino, 2011). Docente all’Università di Chicago, l’autrice ragiona sulla crisi mondiale dell’istruzione e mette in guarda da un’istruzione pensata soltanto per il profitto e incentrata esclusivamente sui saperi tecnici.
La cultura imperniata solo sulla crescita del P.I.L, in questi tempi di crisi, è devastante. Non fa che ancorarsi alla quantità, ai test standardizzati e non tollera ciò che non è immediatamente valutabile. È necessario, al contrario, coltivare gli studi umanistici, compresi gli aspetti umanistici della scienza, impegnandosi a sviluppare un’istruzione per la democrazia. Non basta sviluppare competenze tecniche, occorre promuovere capacità socratiche e attente ai punti di vista altrui, consapevolezze e ragionamenti critici. Formare cittadini del mondo.
2. – È in questa cornice che va collocato il recente libro di Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto (Bompiani, 2013, pag. 262, € 9). La copia in mio possesso, avuta in dono a Natale, è un esemplare della sesta edizione. Da settembre e dicembre 2013, sei edizioni. Mica male.
Nell’ultimo quadrimestre dell’anno mi era capitato di vederlo più volte esposto sui banconi delle librerie. La tentazione di comprarlo era stata grande, ma chissà perché poi altri autori ed altri titoli si erano imposti. Forse diffidavo del sottotitolo: “Manifesto”. O forse diffidavo dell’ossimoro: l’utilità dell’inutile…Bella trovata! Specchietto commerciale per le allodole. “No, no… Non lo compro”.
Ma sotto Natale ecco che me ne parla mia sorella. È maestra e gliel’ha regalato un’amica. L’ha letto di un fiato. È un bel libro, dice, con tante utilissime citazioni. È un’appassionata difesa della letteratura, della poesia e dei saperi umanistici. Dovresti leggerlo… Infatti.
La tesi centrale del libro è presto detta: i saperi umanistici e quelli scientifici speculativi hanno una tale natura e qualità da apparire all’occhio del “pratico” (negoziante o uomo della strada che sia) inutili e oziosi. In realtà, risultano molto utili, ma in un senso diverso da quello attribuito di solito al concetto di utilità.
Secondo l’autore sono saperi che non producono profitti e che assicurano la crescita civile e culturale di una società. «All’interno di questo contesto – precisa l’autore – considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori.» (pag. 7-8) Come diceva il padre Dante: «Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza».
L’utilità invocata, quindi, non è quella mercantile del profitto e del guadagno, né quella pratica di chi sa sostituire una lampadina, riparare una lavatrice o costruire un computer. È un’utilità virtuosa, saggia, disinteressata.
Per dirla con le parole del libro:
«L’utilità dei saperi inutili si contrappone radicalmente all’utilità dominante che, in nome di un esclusivo interesse economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l’istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l’arte, il pensiero critico e l’orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana. Nell’universo dell’utilitarismo, infatti, un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro: perché è facile capire l’efficacia di un utensile mentre è sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l’arte.» (pag. 11)
3. – Come si fa a non essere d’accordo? Eppure, proprio su questo punto dell’utilità, c’è qualcosa che non convince. Chiedo: non si rimane così all’interno delle categorie teoriche dell’utilitarismo? In fondo, per Bentham è utile tutto ciò che produce piacere, vantaggio, bene o felicità. Anche Spinoza nel capitolo IV dell’Etica, quello che tratta “della schiavitù umana”, nella definizione I, scrive: «Per bene intenderò ciò che sappiamo con certezza esserci utile.»
J. S. Mill, al quale si deve la definizione di utilitarismo, ampliò i concetti di piacere. Ciò che lo caratterizza è la sua qualità e questa è relativa al grado di raffinatezza del sentire individuale. Insomma, se s’intende sostenere che letteratura, poesia, arte, ricerca teorica, ecc. ecc. sono utili “alla lunga” e non nell’immediato, alimentano la “cultura generale” invece che quella “professionale”, si vada pure risolutamente per questa strada. Ma non ci si impigli nella trappola dell’ossimoro. Diventa un segno prevalente di contraddizione.
I saperi umanistici non sono utili a ricavare profitti?… Dubito. Da almeno due secoli esiste un’industria letteraria o culturale. Qualcuno preferisce chiamarla “industria della coscienza”. Certo non si può usare Madame Bovary come un coltello, ma un valore d’uso ce l’avrà. Se non ricordo male, il “riuso” è una categoria letteraria. Banalmente un testo si può saccheggiare anche per rispondere a bisogni immediati del fruitore. I libri presuppongono altri libri. La scrittura è spesso riscrittura. Nuccio Ordine dimostra ampiamente quest’assunto. Il suo libro è per tre quarti un florilegio di citazioni.
A cosa possono servire i saperi umanistici? A renderci migliori? Ad assicurarci una crescita civile e culturale? A farci diventare virtuosi?… Ma è giusto porre le questioni prevalentemente in questi termini?… I saperi umanistici sono un “lusso superfluo”? Un pericoloso ostacolo nei confronti della dittatura del profitto? Rappresentano speculazioni oziose?…
Io non direi così. E neppure ricorrerei a simili paragoni. Chi comprende più facilmente il valore d’uso d’un martello, d’un coltello o d’una chiave inglese probabilmente non ascolterà le sinfonie di Beethoven né leggerà l’Ulysses o apprezzerà i quadri di Kandinsky, ma sicuramente ascolterà canzoni, vedrà film (magari Anna Karenina o Cime tempestose), leggerà Cronaca vera o Intimità e avrà qualche bel paesaggio appeso alle pareti di casa. Si chiama cultura di massa il liquido amniotico in cui siamo immersi. Questa cultura di massa non vampirizza forse il paradigma del pensiero letterario? Non usa, in modo cento volte semplificato, la forma mentis letteraria?…
Quando mi è capitato, certe volte, di colloquiare con ragazzi refrattari alla scuola (anche per responsabilità di docenti che avrebbero dovuto fare nella loro vita un altro mestiere), la domanda-chiave che ero solito rivolgere era questa: immaginiamo per un attimo che la scuola scompaia, che non vi siano più discipline da studiare, libri da leggere, riassunti da fare, i bisogni umani da cui sono nate queste attività scompaiono?… Scompare il bisogno di conoscere, capire, raccontare, riflettere, ragionare, amare, essere accettati, riconosciuti, ecc. ecc.?… I saperi umanistici non si difendono, pensando che la cultura sia un “lusso”, un “ornamento, un segno distintivo, un hobby. Si darebbe ragione a Tremonti, quando sostiene che con la cultura non si mangia.
Nuccio Ordine col suo Manifesto intende giustamente difendere quelle istituzioni (scuole, università, centri di ricerca, laboratori, musei, biblioteche, archivi) e quelle discipline (umanistiche e scientifiche) il cui valore dovrebbe coincidere «con il sapere in sé, indipendentemente dalla capacità di produrre guadagni immediati o benefici pratici» (pag. 8). Saperi che hanno una «natura gratuita e disinteressata» (pag. 7). Bene. Lo studio della Divina Commedia produce un “sapere in sé”? Non produce anche una serie di “conoscenze pratiche” (nel senso kantiano della “ragion pratica”) su ciò che Dante pensa dell’uomo? Sulla possibilità di smarrire la “diritta via” (quella che lui riteneva tale), di abbandonarsi alla lussuria piuttosto che all’ira o ai peccati di gola?…
Più che gratuiti e disinteressati questi saperi corrispondono ad un preciso paradigma del pensiero, ad un altro modo di acquistare conoscenze sulle intenzioni e i comportamenti degli esseri umani. Un romanzo ben fatto è cento volte più efficace di un manuale di psicologia. La mente, come dice Bruner, ha più dimensioni e non si nutre solo di logica, statistica e protocolli operativi. È anche discorsiva e narrativa. È interessata alle storie. A partire da quelle che le offre la vita quotidiana e la cronaca. Quanta cattiva letteratura fa la TV ogni giorno? E i giornali? E la Rete?
L’autore insiste: «Abbiamo bisogno dell’inutile come abbiamo bisogno per vivere delle funzioni vitali essenziali». Indubbiamente. Se ci capita di osservare un bambino che sta correndo per casa a cavallo di una scopa, diremmo che stia facendo un’attività inutile?… E due bambini che giocano al papà e alla mamma? Quello che pedagogisti e psicologi dell’educazione chiamano “gioco simbolico” è un’attività inutile?… Cosa vi è d’inutile in un racconto? Non si racconta forse la passeggiata con le amiche, la gita, l’uscita al parco giochi, la noia o la novità di una giornata di lavoro? Forse che una famiglia, al ritorno di un viaggio, non ha fotografie da far vedere, filmini, appunti da leggere?… Proprio perché queste attività sono così essenziali al nostro vivere, mi guarderei bene dal definirle inutili.
L’autore cita Ionesco:
«La poesia, il bisogno di immaginare, di creare è fondamentale quanto quello di respirare. Respirare è vivere e non evadere dalla vita.» (pag. 20).
Poi cita Mario Vargas Llosa: un
«mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri né ideali né disobbedienza, un mondo di automi privati di ciò che rende umano un essere umano: la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri, modellati dall’argilla dei nostri sogni.» (pag. 21).
Mettersi nei panni degli altri, uscire da se stessi, neuroni-specchio, empatia, gioco simbolico. Come si fa a definire inutile tutto ciò? Come si fa a pensare che sia possibile eliminare la letteratura dal momento che siamo fatti così?…
Più avanti, nella prima parte, impegnandosi in una breve riflessione su Il Mercante di Venezia, l’autore richiama “l’ermeneutica di Sileno”. Scrive:
«Fondata sul topos del Socrate-Sileno descritto da Alcibiade nel Simposio, questa immagine diventa uno strumento ermeneutico per spiegare il funzionamento dei testi e del mondo: bisogna necessariamente oltrepassare la scorza per trovare, dietro l’apparenza, la vera essenza delle cose. L’involucro, insomma, non conta. Un precetto che vale per giudicare non solo le parole, ma anche le cose e gli uomini.» (pag. 57).
La letteratura, stando proprio a quest’esempio riportato da Nuccio Ordine, non è allora soltanto attività disinteressata, gratuita, inutile. Offre modelli di mondo, immagini che possono diventare “strumenti ermenutici”, precetti per giudicare. Ragione pratica.
4. – In tutto il libro, l’autore è impegnato in una denuncia della politica dell’austerità e dei suoi effetti devastanti su tutti i piani. Pensieri e parole contro “il farmaco della dura austerità” (pag. 8-9-10), appaiono condivisibili. Così come condivisibile è la seconda parte sulle Università-aziende e sugli studenti-clienti. Il tono è un po’ da indignazione morale, ma ci sta. È accettabile.
Nuccio Ordine sostiene di aver raccolto e collezionato tutte le citazioni in tanti anni d’insegnamento e di ricerca. Professore ordinario di Letteratura italiana conosce, quindi, la scuola e l’università. Da qui la sua denuncia accorata di come lo Stato abbia avviato nell’ultimo decennio una politica di disimpegno economico e di tagli finanziari nei confronti del mondo dell’istruzione e della ricerca di base. I punti che più gli stanno a cuore possono essere così riassunti:
  • Licealizzazione dell’Università e suo inevitabile scadimento.
  • Riduzione progressiva dei programmi «con la trasformazione delle lezioni in un gioco interattivo superficiale, basato anche su proiezioni di slides e somministrazioni di questionari a risposta multipla» (pag. 112)
  • Problema dei fuori corso. Siccome le università che laureano il maggior numero di studenti negli anni previsti dalla legge ricevono appositi finanziamenti, questo meccanismo incentivante rischia di trasformarle in macchine sforna-laureati, in barba a quelle che possono essere le loro reali competenze.
  • Gli studenti-clienti. Propagandato come “privatizzazione”, il discorso si sta affermando anche dalle parti nostre, ma vale soprattutto per il sistema emericano. Chi paga rette salate per frequentare scuole medie, college e istituti superiori (da 35-40.000 fino a 60.000 dollari l’anno) ed è spesso costretto a ricorrere a prestiti d’onore, al termine degli studi, si aspetta un’occupazione per poter ripagare i propri debiti. Se vi è maggiore possibilità di carriera nelle discipline “professionalizzanti”, non c’è da meravigliarsi che, a parità d’investimento, vengano scelti quei corsi di studio con sbocchi lavorativi più probabili e certi.
Le humanae litterae assicureranno pure una bella formazione culturale, promuoveranno la conoscenza in sé, il sapere gratuito e disinteressato, ma se uno studente deve spendere 240.000 dollari per restare disoccupato, preferirà spenderli per trovare un’occupazione. E non lo convinceranno le pagine appassionate dei Pensieri diversi di Montesquieu né il discorso pronunciato da Victor Hugo nell’Assemblea costituente il 10 novembre del 1948, così attuale che, a parere di Nuccio Ordine, «sembra formulato ieri» (pag. 119).
«Lo studio è innanzitutto acquisizione di conoscenze che, libere da ogni vincolo utilitaristico, ci fanno crescere e ci rendono più autonomi. È proprio l’esperienza dell’apparentemente inutile e l’acquisizione di un bene non immediatamente quantificabile si rivelano investimenti i cui profitti vedranno la luce nella longue durée» (pag. 117).
Tutto vero. Ma questa durata quanto deve essere lunga? Nel lungo periodo, come diceva Keynes, siamo tutti morti.
  • Trasformazione di istituti secondari e atenei in aziende. Il compito di presidi e rettori diventa quello di «produrre diplomati e laureati da immettere nel mondo del mercato» (pag. 115)
  • Trasformazione del lavoro degli insegnanti in modesti burocrati al servizio della gestione commerciale delle aziende universitarie. «Passano le loro giornate a riempire dossier, a fare calcoli, a produrre rapporti per (talvolta inutili) statistiche, a cercare di far quadrare i conti di bilanci sempre più magri, a rispondere a questionari, a preparare progetti per ottenere miseri sostegni, a interpretare circolari ministeriali confuse e contraddittorie.» (pag. 115)
In sintesi, concordo con molti punti toccati dall’autore nel suo Manifesto-denuncia. La mia impressione generale, però, è che non si vada alle radici delle trasformazioni sociali e politiche in corso.
«Ora mi preme sottolineare la vitale importanza di quei valori che non si possono pesare e misurare con strumenti tarati per valutare la quantitas e non la qualitas. E, nello stesso tempo, rivendicare il carattere fondamentale di quegli investimenti che producono ritorni non immediati e, soprattutto, non monetizzabili.» (pag. 16).
È un problema indubbiamente di mancati o ridotti investimenti, di cosiddette riforme clamorosamente fallite e dell’avanzare di una cultura della valutazione di carattere poliziesco, il cui valore “scientifico” è quanto mai discutibile. Infatti, così com’è, appare rozzo, approssimativo e del tutto subalterno alla dittatura della valorizzazione economica del sapere.
Qui forse bisognerebbe andare più a fondo. Non prendersela solo con la cultura del possesso, l’egoismo, l’avidità, la voglia di accumulare ricchezza. Bisognerebbe sottolineare il ruolo ideologico svolto da concetti come “merito”, “capitale umano”, “efficacia”, “efficienza; evidenziare come l’economia abbia modificato il concetto d’istruzione pubblica che non ha più come punto di riferimento il diritto, la società, l’uguaglianza, ma l’individuo che valorizza il suo “capitale umano e investe in istruzione, l’individuo che diventa imprenditore di se stesso, l’Io S.p.A di Sloterdijk che deve stare sempre sul mercato.
«Lo sguardo puntato sull’obiettivo da raggiungere non permette più di cogliere la gioia dei piccoli gesti quotidiani e di scoprire la bellezza che pulsa nelle nostre vite: in un tramonto, in un cielo stellato, nella tenerezza di un bacio, in un fiore che sboccia, in una farfalla che vola, nel sorriso di un bambino. Perché, spesso, la grandezza si percepisce meglio proprio nelle cose più semplici.» (pag. 18).
Come accoglierebbe un precario questi scorci di lirismo?…
5. – Ho già detto del libro composto per tre quarti di citazioni. Limitandosi soltanto alle pagine introduttive, ecco gli autori che s’incontrano: Rousseau (pag. 11-12), Diderot (pag. 12), Baudelaire (pag. 12), Flaubert (pag. 12), Hölderlin (pag. 12-13), Ionesco (pag. 18), Kakuzo Okakura sul rituale del tè e sul piacere di raccogliere un fiore da regalare alla propria compagna (pag. 18-19), Rainer Maria Rilke sugli artisti che maturano come alberi (pag. 19), Edmond Rostand sul resistere anche quando si sa che è vano, Pierre Lecomte du Noüy sul fatto che solo l’uomo “compie atti inutili” (pag. 21), Miguel Beasayag e Gérard Schmit (pag. 21), Mario Vargas Llosa (pag. 21), Oscar Wilde sul superfluo che è tutto, forse alludendo «proprio alla superfluità del suo stesso mestiere di scrittore.» (pag. 21). Citazione di Ionesco sull’opera d’arte che “chiede di nascere” come un bambino. “Egli nasce per nascere. Anche l’opera d’arte nasce per nascere, s’impone al suo autore, chiede di esistere senza tener conto o senza domandarsi se è richiesta o no dalla società” (pag. 22) L’opera d’arte non coincide con la sua “funzione sociale”. Un paradosso della storia: la barbarie e il fanatismo si esercitano anche contro le biblioteche e le opere d’arte: dal rogo dei manoscritti pagani ai nazisti. Quindi: citazione di Croce sugli “spiriti barbarici” e di Borges (pag. 24 e 25). La verità è che l’uomo diventa sempre più povero proprio mentre crede di arricchirsi. Lo si evince da una citazione di Cicerone (pag. 25). Citazione di pseudo-Longino sui falsi idoli della brama di ricchezze e di denaro. (pag 25-26). Citazione di Giordano Bruno sulla distruzione di saggezza e giustizia dovuta all’amore per il denaro. (pag. 26-27) Citazione di una conferenza del 1928 di John Maynard Keynes sul superamento dei mali necessari (avarizia, usura, avidità) e sulla necessità di anteporre il buono all’utile. (pag.27-28) Citazione di Georges Bataille sulla necessità di pensare un’economia attenta alle dimensione dell’antiutilitarismo. (pag. 28). Per la prima volta viene citato “il capitalismo”. Che non ha come fine il miglioramento del livello di vita. Citazione di George Steiner: l’alta cultura non ha rappresentato un’efficace barriera alla barbarie. (pag. 29). E’ vero, però… Citazione di Italo Calvino sulla necessità di riconoscere ciò che non è inferno e di farlo durare (pag. 30). Citazione di Rob Riemen: la cultura, come l’amore non ha il potere di costringere (pag. 31).
Quale lo scopo di tutte queste citazioni? Ovviamente sostenere la tesi. Corroborarla. Ma è un’illusione. Oltre che stancare, il ricorso continuo al principio d’autorità non elimina le eventuali falle del ragionamento. E poi, mi si permetta di dirlo: questo non è un modo corretto di dialogare con gli autori. Non dire nulla sull’articolazione dei loro pensieri, sulle loro poetiche, sulle loro condizioni di vita. Perché si dedicavano alle “lettere”? Come vivevano? Come si procuravano i mezzi di sussistenza?
Non si può spaziare da Cicerone a Vargas Llosa come se l’attività letteraria si svolgesse in condizioni sociali e storiche immutate. Dall’uno all’altro c’è un abisso. Per esempio: la possibilità di dedicarsi a questi saperi “gratuiti e disinteressati”, a questi “lussi”, a queste “speculazioni oziose” era un tempo privilegio delle classi nobili. Non dimentichiamo che scuola deriva da scholé e, se non ricordo male, significa “ozio”. Negozio, in fondo, è il contrario di ozio. Si può sostenere, senza rischiare di essere presi a pomodori, che i nostri giovani disoccupati (e laureati) di oggi, essendo senza lavoro, potrebbero liberamente dedicarsi agli ozi umanistici?…
«Soprattutto nei momenti di crisi economica […], bisogna capire che proprio quelle attività che non servono a nulla potrebbero aiutarci a evadere dalla prigione, a salvarci dall’asfissia, a trasformare una vita piatta, una non-vita, in una vita fluida e dinamica, orientata dalla curiositas per lo spirito e per le umane cose» (pag. 20).
Siete disoccupati?… Disperati?… Non avete e non avrete un lavoro?… Per questa società siete inutili?… Ebbene, non vi disperate, potete impiegare virtuosamente il vostro tempo occupandovi di humanae litterae. Il rischio è della letteratura come oppio, religione.
Il limite di fondo di questo strabordante citazionismo è dato dall’impossibilità di collocare la citazione in contesti più ampi. Così, sempre per fare un esempio, la poetica dell’arte per l’arte era anche un tentativo di opporsi all’industria letteraria nascente… Ma la mercificazione letteraria, l’industria della cultura, la colonizzazione delle coscienze sono orizzonti che l’autore sembra proprio non prendere in considerazione. Invece, bisognerebbe prendere alla lettera Oscar Wilde che cita Mrs Erlynne: «Nella vita moderna il superfluo è tutto», alludendo forse «proprio alla superfluità del suo stesso mestiere di scrittore.» (pag. 21). E’ possibile che gli scrittori, come li abbiamo conosciuti, diventino superflui. Si può rispondere ai “bisogni letterari” (raccontare, offrire modelli, mettersi nei panni degli altri, educazione sentimentale, riconoscimento, ecc.) con altri media… Oggi quanta conoscenza viene prodotta e posta gratuitamente in Rete? Sul Corriere della Sera del 20 gennaio 2014 a pag. 29, leggo il seguente titolo: «Scrittori a meno di mille dollari. A rischio la qualità dell’editoria.» Livia Manera, riferisce i risultati di una ricerca della Digital Books World Conference secondo cui
«il 77% degli autori auto-pubblicati e il 53,9% di quelli pubblicati tradizionalmente guadagnano oggi meno di 1.000 dollari l’anno, vale a dire di 740 euro. Solo il 2% supera i 100 mila dollari l’anno. Questo significa che la situazione di chi svolge un lavoro intellettuale o d’informazione riflette in modo addirittura peggiorativo il divario tra ricchezza e povertà che negli ultimi anni è diventato sempre acuto nella società contemporanea
Scrive l’autore:
«È nelle pieghe di quelle attività considerate superflue, infatti, che possiamo percepire lo stimolo a pensare un mondo migliore, a coltivare l’utopia di poter attenuare, se non cancellare, le diffuse ingiustizie e le penose disuguaglianze che pesano (o dovrebbero pesare ) come un macigno sulle nostre coscienze.» (pag. 20).
Speriamo.
6. – Il libro di Nuccio Ordine ha avuto un buon successo di vendita. Il che può forse voler dire che c’è una domanda culturale e sociale di battaglia contro l’homo oeconomicus, la logica del mercato, la dittatura del profitto
Tante sono le persone stanche di veder disprezzati valori come la dignità, l’eguaglianza sociale, la solidarietà, il rispetto per gli esseri umani. Tanti sono stanchi di parole d’ordine come “arricchitevi!”, “pensa agli affari tuoi!”, “padroni in casa propria!”, e così via. Solo che questa battaglia non si esaurisce, acquistando il libro e versando individualmente l’obolo di 9 euro per leggerlo. C’è altro da fare. C’è da riprendere in mano le fila del proprio destino, della propria vita. Quello di mettere in comune le conoscenze è una strada. Perché è vero che l’attività di reciproco insegnamento/apprendimento non impoverisce.
«Posso insegnare a un allievo la teoria della relatività o leggere assieme a lui una pagina di Montaigne dando vita a un miracoloso processo virtuoso in cui si arricchisce nello stesso tempo, chi dona e chi riceve.» (pag. 17).
7. – Il libro contiene, in appendice, il saggio di Abraham Flexner del 1937, poi ripubblicato nel 1939. Titolo: L’utilità del sapere inutile.
«Ci presenta un affascinante racconto della storia di alcune grandi scoperte per mostrare come proprio le ricerche scientifiche teoriche considerate più inutili, perché prive di qualsiasi scopo pratico, hanno inaspettatamente favorito applicazioni, dalle telecomunicazioni all’elettricità, rivelatesi poi fondamentali per l’umanità.» (pag. 14)
Nuccio Ordine è contro qualsiasi sterile polemica e contrapposizione tra “saperi umanistici e saperi scientifici”; è per la “necessaria unità dei saperi” (pag. 15) e in questa direzione cita la “nouvelle alliance” di Ilya Prigogine; unità dei saperi minacciata dalla “parcellizzazione dalla ultraspecializzazione delle conoscenze” (pag. 15).
«Flexner ci mostra egregiamente che la scienza ha molto da insegnarci sull’utilità dell’inutile. E che, assieme agli umanisti, anche gli scienziati hanno giocato e giocano un ruolo importantissimo nella battaglia contro la dittatura del profitto, per difendere la libertà e la gratuità della conoscenza e della ricerca» (pag. 15).
Va bene la battaglia contro la dittatura del profitto. Ma forse sarebbe opportuno precisare cosa è scienza oggi, cosa significa fare ricerca nelle condizioni presenti. Si ha l’impressione che l’autore abbia in testa uno scienziato-artigiano che probabilmente non esiste più. Qui non si dice quale sia la condizione vera dei ricercatori costretti a lavorare a mille euro al mese. D’altro canto, non si dice neanche quale sia la condizione dei cosiddetti “letterati”.
Differenza tra una “scienza puramente speculativa e disinteressata e una scienza applicata”… Se non ho capito male, in un libro recente che ho letto sulla scienza (cfr. Gilberto Corbellini Scienza, Bollati Boringhieri, 2013) la differenza tra l’una e l’altra è molto discutibile. La scienza ha un metodo (basato su “congetture e falsificazioni”) che si applica nei vari campi di ricerca. Chi lavora sulle cellule staminali non è meno speculativo di chi cerca il bosone.
8. – Nuccio Ordine è consapevole dei limiti del suo libro:
«Le pagine che seguono non hanno nessuna pretesa di formare un testo organico. Riflettono la frammentarietà che le ha ispirate. Perciò anche il sottotitolo – Manifesto – potrebbe sembrare sproporzionato e ambizioso se non fosse giustificato dallo spirito militante che ha costantemente animato questo mio lavoro. Ho voluto solo raccogliere all’interno di un contenitore aperto, citazioni e pensieri collezionati in tanti anni di insegnamento e di ricerca. E l’ho fatto nella più totale libertà, senza alcun vincolo e con la coscienza di aver solo abbozzato un ritratto incompleto e parziale. E come spesso accade nei florilegi e nelle antologie, le assenze finiscono per essere più significative delle presenze.» (pag. 13).
L’autore mette le mani avanti. Non bisogna, quindi, attendersi nessun testo organico. Spirito militante, sì. Volontà morale di mettere sotto accusa la dittatura del profitto, il farmaco fallimentare della dura austerità, l’egoismo e l’avidità, il desiderio smodato d’oro e argento, l’invasione della cultura aziendalistica in ogni piega del sociale con l’intento di ridurre scuole, musei, biblioteche ad aziende, imprese da valutare…
«Consapevole di questi limiti, ho suddiviso il mio saggio in tre parti: la prima dedicata al tema dell’utile inutilità della letteratura; la seconda consacrata agli effetti disastrosi prodotti dalla logica del profitto nel campo dell’insegnamento, della ricerca e delle attività culturali in generale; nella terza parte, utilizzando qualche brillante esempio, ho riletto alcuni classici che, nel corso dei secoli, hanno mostrato la carica illusoria del possedere e i suoi effetti devastanti sulla dignitas hominis, sull’amore e sulla verità.» (pag. 13-14)
Brevi riflessioni, saggio, antologia di citazioni, manifesto… Cos’è questo libro? Quale il genere di scrittura?… Tutto quanto è stato detto. Nulla di organico, tutto nella più totale libertà.
9. – Conclusione: credo che
«sia meglio continuare a batterci pensando che i classici e l’insegnamento, che la coltivazione del superfluo e di ciò che non produce profitto, possano comunque aiutarci a resistere, a tenere accesa la speranza, a intravedere quel raggio di luce che ci permetta di percorrere un cammino dignitoso.» (pag. 30)
Forse i tanti che hanno comprato il libro cercavano proprio questo raggio di luce. Nulla di più.
* * *
CONFRONTI
Maria Chiara Carrozza
Dobbiamo riportare nella scuola la cultura del lavoro gli studenti devono confrontarsi con un problema pratico, devono mescolare scuola e lavoro, perché serve a sviluppare la personalità, le proprie capacità. Non dobbiamo aver paura di vedere la scuola come il luogo dove si prepara il lavoro.
Leonardo da Vinci
Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada.
Federico Cingano e Piero Cipollone
Gli economisti pensano all’istruzione come a un investimento in un bene molto speciale: il capitale umano. Come per tutti i tipi di investimento, ci interressa valutarne il rendimento. Non si tratta di un’operazione semplice perché l’istruzione è un fattore determinante di molti esiti individuali e aggregati, rilevanti per la valutazione, ma spesso non immediatamente o ovviamente misurabili.
Antonio Gramsci
Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi.
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MATERIALI
Un appello

L’Umanesimo a rischio

di Roberto Esposito, Ernesto Galli della Loggia, Asor Rosa
Uno dei prodromi, e insieme degli esiti, della regressione che ci minaccia è la crisi verticale che investe l’intero retaggio culturale del paese di cui la tradizione umanistica è parte fondante. Gettando alle ortiche la quale è di fatto tutto il passato italiano che viene accompagnato alla porta. E’ qualcosa che si respira da tempo nei mass media, nelle mode da questi accreditate, nell’editoria di consumo, nel discorso pubblico. E che si manifesta nel modo più evidente nel campo della formazione delle giovani generazioni, dove da anni si sta affermando un secco ripudio, un radicale rigetto, di tutto quanto, in qualunque modo, abbia a che fare con l’ambito degli studi umanistici e, più in generale, con la prospettiva culturale che da quegli studi prende vita e che a sua volta quegli studi alimenta…
Ci sembra inaudito che da decenni manchi qualsiasi discussione pubblica appena impegnativa sulle forme, i contenuti e i fini che l’istruzione stessa dovrebbe avere. Dedicata a capire a che cosa essa debba veramente servire. In questo silenzio sulla sostanza della cosa si sono fatti strada una miriade di provvedimenti parziali, tutti mossi però da una medesima ispirazione: da una parte l’idea che il futuro dell’insegnamento – e del suo protagonista, l’insegnante – stia in una crescente tecnicizzazione (da cui la massiccia divulgazione di modellistica pedagogica, l’uso sempre più diffuso di test e quiz, e poi di computer, lavagne luminose, internet); dall’altro la tesi complementare che l’istruzione, sia primaria che secondaria, debba avere sempre di più un carattere scientifico-tecnologico, a scapito dei contenuti “umanistici” tradizionali…
Mettere al bando nell’apparato scolastico il sapere umanistico – come anche da noi si sta facendo – per privilegiare il sapere fondato sulle scienze naturali, significa mettere al bando interi territori e dimensioni dello spirito e della conoscenza umani
Vocaboli come ‘prodotto’, ‘impatto’, ‘rendicontazione’ sono estremamente indicativi della matrice produttivistica di una logica modellata su quella del mercato. Il riferimento dell’intero paradigma della valutazione è quello del marketing aziendale, appena filtrato dalla retorica del merito, naturalmente inteso come prestazione in vista di un utile…
La crisi del sapere umanistico – in particolare letterario, filosofico, storico – si traduce nella crisi del politico, e quindi della politica in senso proprio, perché in Italia il politico è stato costituito alle sue radici proprio da quel sapere. (continua qui)
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Utile/inutile
Conversazione con Nuccio Ordine
di Teresa Caligiure
Il libro nasce dall’esperienza di un professore che, dopo la sciagurata riforma del tre più due, si pone il problema di persuadere i propri studenti a frequentare l’università, non per ottenere una laurea o un diploma, ma innanzitutto per diventare migliori. Sentivo l’esigenza di spiegare ai miei allievi il valore primario di una ricerca intellettuale gratuita, che non sia unicamente finalizzata ad un’utilità immediata, poiché solo dopo un percorso di formazione umana si può diventare dei bravi professionisti
Il mio saggio non è diretto contro il profitto in assoluto, ma contro il profitto elevato a ragione di vita. Il dramma dell’attuale società è quello di considerare l’utile come fine e non come mezzo, ritenendo valido tutto ciò che produce guadagno e inutile ciò che non ne procura. Di conseguenza anche i saperi vengono classificati sulla base di tale parametro. Ma la musica, l’arte, la letteratura, un museo o una biblioteca, secondo tale ottica, quali introiti producono, se escludiamo le vendite dei biglietti di ingresso?
La logica del profitto scalfisce il valore culturale e identitario dei popoli. Se chiudessimo un archivio di Stato, che custodisce la memoria e l’identità di una nazione, solo perché non produce guadagno, smarriremmo il senso della nostra vita e della nostra storia. L’essenza della cultura si fonda esclusivamente sulla gratuità, per cui gestire le scuole e le università come se fossero aziende è profondamente sbagliato.
I grandi momenti di scoperta che hanno mutato radicalmente il modo di vivere dell’umanità – afferma Flexner – sono stati determinati da ricerche scientifiche considerate inutili e prive di scopo pratico proprio da chi le esercitava. Marconi non avrebbe potuto mai “inventare” la radio senza le precedenti equazioni teoriche di Maxwell ed Hertz, che pertanto con i loro studi, inconsapevolmente, hanno permesso una grande scoperta. Se qualcuno avesse chiesto ai due scienziati a cosa servissero le loro ricerche, probabilmente essi avrebbero risposto: – a niente! (continua qui)
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Elogio dei saperi inutili
colloquio con Nuccio Ordine di Maria Mantello
Con i soldi si può comprare ogni cosa: dai giudici ai parlamentari, dal successo ai grandi appalti. Ma il sapere non si può comprare. Neanche il più potente magnate potrebbe diventar colto staccando un assegno in bianco. Il sapere è frutto di una conquista personale, di uno sforzo eccezionale che nessuno può fare al nostro posto. Lo ricorda Socrate ad Agatone: il sapere non si versa da una coppa piena a una coppa vuota. Così come il sapere è in grado di distruggere la logica dominante del mercato: in ogni scambio commerciale c’è una perdita e un acquisto. Se compro un orologio prendo l’orologio e perdo i soldi. Chi mi vende l’orologio prende i soldi e perde l’orologio. Nella trasmissione del sapere invece si crea un circolo virtuoso che permette a chi dona e a chi riceve di arricchirsi: posso insegnare ai miei allievi il teorema di Euclide senza perderlo e, nello stesso tempo, trarre profitto dai miei studenti mentre insegno. Perciò è un crimine uccidere l’insegnamento e tutto ciò che è cultura. Senza coltivare l’inutile l’umanità diventerà sempre più corrotta e disumana, inseguendo l’infelicità e la violenza. (continua qui)
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I due saperi, rivali o alleati. Un dibattito
di Antonio Carioti
«Vorrei ricordare — osserva Esposito — che l’attuale ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, e il suo predecessore, Francesco Profumo, sono docenti di materie scientifiche, quindi il monopolio dell’umanesimo al governo non esiste più. Riconosco comunque che la tradizione culturale italiana è stata spesso interpretata in modo mediocre dalle classi dirigenti.
Aggiungo che tuttavia negli Stati Uniti, dove ha sempre prevalso il sapere scientifico, oggi si riscopre l’importanza della visione umanistica e proprio la filosofia italiana è molto apprezzata. Ma quella espressa nel nostro appello sul “Mulino” non è una posizione di difesa identitaria: semmai abbiamo voluto sottolineare una innegabile specificità italiana, cioè il ricchissimo patrimonio artistico e culturale che ci deriva dal passato. È una risorsa immensa, di cui altri Paesi non dispongono. Ma come si può valorizzarla, se si emarginano gli studi umanistici?». (continua qui)
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Quanto è utile l’utilità dell’inutile? A proposito del libro di Nuccio Ordine
di Francesco Coniglione
Il fatto che l’Autore contrapponga sempre (in ogni età, in ogni luogo) profitto e cultura, interiorità ed esteriorità, spirito e materia e così via, finisce per annacquare l’importanza della cultura umanistica in una atemporale e sempre esistita diatriba tra coloro che privilegiano la cultura e i beni immateriali e chi invece è dedito alla sensualità, alla ricchezza e al potere: un topos letterario che fa perdere la specificità di tempi, storie, contesti, e fa illanguidire tale contrapposizione in un generico contrasto tra utile e bello, tra ricchezza materiale e ricchezza dello spirito, tra avere ed essere.
Si perde così la specificità dell’età contemporanea, che non è caratterizzata da queste contrapposizioni – sempre esistite, come dimostrano i numerosi esempi di Ordine –, bensì dalla sua capacità di sottoporre alla logica del profitto e della valorizzazione commerciale ogni espressione artistica, ogni tipo di cultura, ivi compresa quella umanistica. Cioè per la sua capacità di rendere l’inutile, utile. Sfugge insomma al discorso fatto dall’autore la nuova dimensione che ha assunto l’economia della conoscenza, nella quale non sembra più possibile sottrarre alla logica del profitto neppure quei beni che per la loro sublimità sembravano destinati a pochi spiriti eletti. (continua qui)
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La cultura si mangia?
La cultura non si mangia?
di Miriam Zampanella
Bisogna che frasi come “Di cultura non si mangia” comincino a risuonare false e cariche di tutto quell’odioso e ottuso anacronismo che oggi accompagna espressioni come “Le donne devono stare in casa a fare i mestieri” o “I siciliani son tutti mafiosi“. Il ministero della Cultura dovrebbe essere per noi ciò che è il Ministero del petrolio in Arabia
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Con la cultura si mangia ovunque tranne che in Italia
di Manlio Lilli
«Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia», disse Giulio Tremonti quando era ancora ministro dell’Economia. Eppure nel resto del mondo la situazione è ben diversa. Dai paesi emergenti, come Cina o Qatar, dove il mercato dell’arte è florido, all’Europa del Louvre o il Prado di Madrid. E l’Italia? Non riesce a fare sistema, nonostante lo sterminato patrimonio che amministriamo. (continua qui)
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Con la cultura si mangia
di Bruno Arpaia e Pietro Greco
Fra trent’anni. Da un lato avremo il mondo della conoscenza: con Paesi come la Corea del Sud, il Giappone, la Russia, il Canada in cui tre persone in età da lavoro su cinque avranno una laurea. E in cui i principali fattori di sviluppo economico saranno la ricerca e le industrie creative. In questo mondo ci saranno una serie di altri Paesi – dagli Stati Uniti alla Cina, dal Sudafrica al Brasile – che tenderanno a raggiungere in un modo o nell’altro performance analoghe.
Dall’altro avremo gli «esclusi dalla conoscenza». Paesi dove il numero di laureati in età da lavoro supererà appena il 10 per cento. In cui i beni e i servizi prodotti saranno sempre meno e sempre meno importanti. Paesi che dovranno sperare di sopravvivere continuando a comprimere stipendi e welfare. È questo il futuro dell’Italia che stiamo costruendo.
Il nostro Paese ha scelto, in un periodo preciso (l’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso), con persone precise, di seguire una strada verso lo sviluppo diversa da tutti gli altri. Per alcuni questa strada ha le sembianze di un vero e proprio modello alternativo a quello degli altri Paesi di antica (e anche nuova) industrializzazione: un «modello di sviluppo senza ricerca». Un modello di sviluppo senza conoscenza
In soldoni, mezzo secolo fa l’Italia è diventata un grande Paese industriale (secondo, in Europa, solo alla Germania), ritagliandosi una nicchia isolata nell’ambito dei prodotti a bassa innovazione tecnologica. Nella scelta di questo peculiare modello l’Italia ha puntato essenzialmente su due fattori: il basso costo del lavoro rispetto a quello delle economie concorrenti e la periodica svalutazione, cosiddetta competitiva, della sua moneta, la lira.
Per due o tre decenni – quando eravamo «i più poveri tra i ricchi» – il modello ha funzionato. L’Italia poteva vantare la maggiore crescita economica al mondo, seconda solo a quella del Giappone. Ma negli anni Ottanta il modello ha iniziato a mostrare tutti i suoi limiti… le due antiche leve che garantivano il successo al «modello di sviluppo senza ricerca» non potevano essere più utilizzate. (continua qui)
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Perché gli studi umanistici oggi
Perché se muore il liceo classico muore il paese
di Giorgio Israel
Da un lato un boom di iscritti ai test d’ingresso al Politecnico di Milano e una propensione per le lauree di ingegneria o direttamente correlate a una professione definita; dall’altro, un declino delle iscrizioni ai licei, in particolar modo al liceo classico. Alcuni commenti salutano questi dati come espressione di una tendenza positiva verso la “laurea utile”, verso una preparazione corrispondente alle figure richieste dalle aziende.
A noi sembra invece che la valutazione vada divisa: ottima è la prima tendenza, perché la rivalutazione delle professioni ingegneristiche e tecnologiche, anche a livello della formazione professionale, è essenziale per un paese in via di declino industriale; pessima è la seconda tendenza per motivi che dovrebbe essere superfluo dire. Come può un paese che possiede più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del mondo non preoccuparsi di coltivare un ceto di persone di altissima competenza capace di valorizzare quel patrimonio che, se non altro, ha un enorme potenziale economico?
Si badi bene: non si tratta solo della necessità di formare un esercito di archeologi, di restauratori, di persone all’altezza di gestire musei e l’immenso, quando degradato e depredato, patrimonio librario del paese. Si tratta di non disperdere la memoria dell’identità storico-culturale italiana. Come è possibile pensare che il patrimonio culturale del paese possa essere preservato se quasi nessuno conosce più neanche i nomi degli architetti, dei pittori, dei letterati, degli scienziati che l’hanno costruito e finisce col considerarlo un irriconoscibile ciarpame? Il disprezzo dell’umanesimo (anche sul fronte della cultura scientifica!) è la via per il sicuro declino…
Tutte le grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base. Un grande ingegnere come Leonardo da Vinci ammoniva:
«Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada».
Oggi questo è più vero di ieri…
È comprensibile che le imprese abbiano fretta e desiderino un sistema dell’istruzione funzionale alle formazione di addetti. Ma ciò può portare solo al disastro… in un paese che non solo possiede gran parte del patrimonio culturale e artistico mondiale, ma ha una grande tradizione: aver saputo sintetizzare con successo, dal periodo postunitario, visione umanistica, scientifica e tecnologica. (continua qui)
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Perché gli studi umanistici oggi
di Pierluigi Pellini
Di fronte a tagli finanziari, soppressione di dipartimenti universitari, perdita vertiginosa di prestigio sociale, sembra essere ormai del tutto inefficace quella risposta che per secoli, dall’Umanesimo in poi, ha garantito legittimità agli studi filosofici e filologici: studiando l’uomo ci aiutano a vivere (per citare Spinoza) «una vita propriamente umana».
Non per profitto stabilisce una facile equazione fra democrazia liberale da un lato e studi filosofico-artistico-letterari dall’altro… Gli studi umanistici sarebbero indispensabili per la formazione di cittadini dotati di spirito critico, tolleranti e solidali. Dovrebbero perciò essere obbligatori, come spesso accade negli Stati Uniti, per gli studenti dei primi anni di tutte le facoltà. (Da noi una proposta simile non è mai stata presa in seria considerazione… Anziché difendere retoricamente facoltà di Lettere troppo spesso sovradimensionate, che condannano migliaia di studenti alla frustrazione e alla disoccupazione, forse sarebbe tempo di imitare, per una volta, un aspetto non macchiettisticamente economicista del sistema universitario statunitense)… (continua qui)
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LA SETTIMANA SCOLASTICA
La gestione allegra della scuola italiana: conti sbagliati, illegalità, infrazioni, sovrapposizioni
La brutta storia del precariato in Italia
Assunzioni, già in ritardo. Il Ministero ha inviato all’Aran l’atto di indirizzo relativo al piano triennale di assunzioni che per l’a.s. 2014/15 prevede l’assuzione di 12.625 docenti e 4.317 Ata, oltre a 1.604 docenti di sostegno. Sui numeri proposti, il Ministero dell’Economia dovrà rilasciare il benestare.
Ricordiamo che per l’intero triennio il piano prevede 64.338 nomine per il personale docente (di cui 22.237 per il sostegno) e 17.717 di personale ATA. E la tabella di marcia registra già 4 mesi di ritardo. Si attende inoltre la realizzazione del piano di 26.000 immissioni in ruolo previste dal Decreto Istruzione, delle quali dovrebbe partire la prima tranche, quella delle 4.447 immissioni; la seconda ne prevede 13.342 ed altre 8.895 sono previste per il 2015-2016.
Facciamo due conti: costa più un precario. Cifre comunque insufficienti, visto che i precari della scuola sono in aumento, il che comporta per l’amministrazione una spesa maggiore di quella che avrebbe stabilizzando i precari: ogni anno la bellezza di 264 milioni di euro in più. Costa più un precario di un docente di ruolo.
Sul precariato infrazione dell’Italia. Nemmeno possiamo non ricordare che a luglio-settembre 2014 è attesa dall’Unione Europea una sentenza che potrebbe porre fine a decenni di precariato per il sistema scolastico italiano. L’Italia infatti commette una grave infrazione del diritto comunitario stipulando reiterati contratti a termine “successivi” di lunga durata senza trasformarli in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, pur essendoci una legge ad hoc (cioè il decreto legislativo 368 del 2001, in particolare l’articolo 5) nata proprio per recepire le indicazioni della normativa comunitaria.
Lavoro di ruolo, stipendio da precario. E la disinvoltura della ministra Carrozza prosegue con una nuova proposta, sempre in barba a ogni diritto: nessun aumento salariale per i primi anni ai nuovi assunti nella scuola, che dovrebbero continuare a lavorare con stipendi da precari.
Petizione: ferie e scatti per i precari. Nel frattempo Daniela Sarti e Libero Tassella lanciano una petizione a favore dei precari della scuola per il ripristino della monetizzazione ferie non godute, la regolarizzazione degli stipendi supplenti temporanei e l’adeguamento degli scatti stipendiali del personale precario.
Tfa, pas, concorso… a voi la scelta. Il sistema di reclutamento non accenna frattanto a semplificarsi: Tfa (un secondo ciclo dovrebbe prendere il via), Pas (in via di partire, tra difficoltà e ritardi) e concorso (un nuovo concorso a cattedre dovrebbe essere bandito a breve) continuano a viaggiare paralleli, con i problemi di traduzione in punteggio dei percorsi diversi.
Dare e togliere, soprattutto togliere, a tutti: docenti, Ata, dirigenti, Mof
Docenti: scatti contro Mof. Intanto sulla questione degli scatti di anzianità non si è ancora trovata la soluzione definitiva. L’unica possibilità prospettata dal Miur è la decurtazione del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (Mof), che rappresenta un pezzo del salario accessorio del personale e l’unica fonte certa per sostenere l’ampliamento dell’offerta formativa delle scuole. Insoddisfatti dei risultati dell’incontro con il Miur sindacati.
Ata: il Mef rivuole i soldi. Fra le questioni aperte, c’è quella delle posizioni economiche del personale Ata, per cui gli scatti hanno già prodotto aumenti stipendiali, che, per effetto del blocco degli automatismi economici, gli Ata rischiano di dovere restituire. Se questo dovesse avvenire, come il Ministero dell’Economia pare intenzionato a fare, la Flc Cgil minaccia sciopero, lo stesso Cisl, Uil, Snals, Gilda. L’Anief pronta a fare ricorso.
Decurtazione anche per i dirigenti. In mobilitazione anche i dirigenti scolastici, che sciopereranno il 14 febbraio, anche essi contro la decurtazione della retribuzione e la violazione dei contratti integrativi regionali sottoscritti per il 2012/13, nonché contro le sperequazioni retributive interne.
Scippate anche le scuole. C’è stato un avanzo di 217 milioni di euro nel fondo di istituto del 2012/2013. Lo scorso anno, infatti, le scuole riuscirono a conoscere l’entità complessiva delle risorse disponibili solo a fine marzo, mentre a gennaio il Miur aveva comunicato solo le cifre erogate in acconto: da qui l’avanzo.
Il risparmio dello scorso anno dovrebbe rimanere nella disponibilità delle singole scuole (cioè se la scuola X ha avanzato 10.000 euro dovrebbe poter riutilizzare questa somma aggiungendola agli stanziamenti del 2013/2014); ma è probabile che le cose stiano andando un po’ diversamente e che gli avanzi siano già stati “incamerati” dal Miur per pagare gli scatti stipendiali. Come commenta Reginaldo Palermo:
Come spesso accade la mancanza di regole certe e trasparenti finisce per penalizzare chi ha gestito correttamente l’intera operazione e per premiare chi al contrario ha distribuito un po’ “a pioggia” tutte le risorse disponibili pur di non avanzarle.
Le questioni delle questioni: edilizia, digitale, ricerca

La questione delle questioni: la sicurezza degli edifici. Se ne torna a parlare dopo che Matteo Renzi ha detto che per l’edilizia scolastica servono 5 miliardi.
La situazione è questa. Secondo i dati resi pubblici dal Miur, il 4% degli edifici è stato costruito prima del 1900 (il 44% in un periodo che va dal 1961 al 1980). Solo il 17,7% degli edifici è in possesso del certificato di prevenzione incendi. Il 33% non possiede un impianto idrico antincendio; il 50% non ha una scala interna di sicurezza; il 40% non ha la dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico. Ancora più serio è l’allarme sismico, quasi il 40% degli edifici è in zone ad alto rischio.
Secondo il rapporto 2013 di CittadinanzAttiva in una scuola su sette ci sono lesioni strutturali evidenti, il 20% delle aule presenta distacchi di intonaco: muffe, infiltrazioni e umidità sono stati rilevati in quasi un terzo dei bagni (31%) e in un’aula e palestra su quattro. Il 39% delle scuole presenta uno stato di manutenzione inadeguato, in aumento rispetto al 2012 quando erano il 21%. Più della metà delle scuole non possiede il certificato di agibilità statica, oltre 6 su 10 non hanno quello di agibilità igienico sanitaria, altrettante non hanno quello di prevenzione incendi. Solo un quarto delle scuole è in regola con tutte le certificazioni. Temperature e aerazione non sono adeguate nella gran parte delle aule (il 51% è senza tapparelle o persiane e il 28% ha le finestre rotte). Il 10% delle sedie e dei banchi è rotto e in oltre un terzo dei casi (39%) gli arredi non sono a norma.
La rivoluzione digitale con 5 euro a studente. I dati forniti da AudiWeb dimostrano una grande diffusione dell’uso dei nuovi media con un accesso a internet da PC del 98% degli insegnanti; stesso tasso anche tra gli studenti di scuole medie e superiori, 98%. Ma la dotazione delle scuole è scarsa, come gli stanziamenti.
A 15 anni dal mitico slogan di Luigi Berlinguer (“Un computer su ogni banco”), a 12 anni dalle “tre I” di Moratti e Berlusconi, a un anno dall’annuncio di Profumo (“Un tablet a ogni studente“), malgrado l’Atto di indirizzo 2014 e le dichiarazioni della ministra in carica (“l’educazione digitale è un tema trasversale“), l’indagine Eurispes ci dice che le scuole italiane sono poco o per nulla dotate di strumentazione tecnologica e hanno 15 anni di ritardo su altri Paesi europei: d’altra parte cosa si pretende con la spesa di 5 euro a studente?
La ricerca. Il 31 gennaio la ministra Carrozza ha presentato al Consiglio dei ministri il Piano Nazionale della Ricerca, affermando che così ci avviciniamo al più grande programma di ricerca europeo, Horizon 2020, nella scelta dei temi, nelle procedure e nei tempi: la durata estesa da tre a sette anni, con un investimento complessivo di 6,3 miliardi di euro.
Intanto i ricercatori di Roars denunciano che i criteri di valutazione dell’Anvur porteranno a una diminuzione molto netta dei dottorati di ricerca, come d’altra parte era nelle intenzioni dei dirigenti dell’Agenzia di valutazione istituita dall’ex ministra Gelmini.
Questioni in alto mare: Quota 96, inidonei, Itp

Quota 96 invecchia senza andare in pensione. E’ irrisolta a due anni di distanza la questione dei docenti di Quota 96, ovvero di quelli che hanno maturato – nell’a.s. 2011/2012 – i requisiti per andare in pensione vigenti prima della riforma Fornero, la quale non riconosceva che l’anno lavorativo per i docenti finisce al 31 agosto e non al 31 dicembre.
Adesso è stato approvato all’unanimità dalla VII Commissione della Camera dei deputati (Cultura, scienza e istruzione) il testo di legge che nasce dall’unione delle proposte di Manuela Ghizzoni (PD) e di Maria Marzana (M5S) e cerca di trovare una soluzione attraverso la correzione della tempistica, tenendo conto dell’anno scolastico e non dell’anno solare. Ma ancora permangono incertezze sulle norme in attesa di un chiarimento dell’Inps.
Gli inidonei: ammalati e mazziati. Il 30 gennaio al Ministero nuovo incontro per un aggiornamento sulla situazione dei docenti inidonei e gli ITP in esubero. Per i primi sono stati forniti dati parziali sui docenti che hanno fatto richiesta di nuova visita collegiale e di passaggio ai ruoli ATA. Per i secondi si attende una nota per l’immissione su altra classe.
Sono state acquisite al sistema complessivamente 3.292 domande, 981 docenti hanno chiesto di essere sottoposti a nuova visita collegiale, 128 hanno chiesto il passaggio nel profilo di Assistente amministrativo, 6 nel profilo di Assistente tecnico e 1.500 hanno optato per la mobilità intercompartimentale.
Una docente inidonea assegnata nei ruoli Ata lo dice in una lettera pubblicata da Orizzonte Scuola: “Mi trovo ridotta alla depressione“.
Il programma della ministra: contro la dispersione, meno scuola più azienda
Meno scuola. Sul taglio di un anno della scuola secondaria superiore, benedetto da Fondazione Agnelli, Confindustria e Miur, segnaliamo l’intervento di Marina Boscaino, che, a proposito degli obiettivi che dovrebbe avere il progetto governativo “(Avvicinare scuola superiore e mondo del lavoro, qualificare la scuola, contrastare la dispersione scolastica“), afferma
Rimane misterioso il rapporto tra lotta alla dispersione, valorizzazione della scuola e taglio di un anno di frequenza. Non altrettanto il risparmio che le casse statali ricaverebbero dall’operazione.

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