06 febbraio 2014

FILOSOFIA E VITA QUOTIDIANA nel pensiero di Nicla Vassallo.





Cogito, ergo sum”, diceva Cartesio. E questa frase basta a farci capire la sostanziale non libertà del vivere nell'attuale società informatica. Perchè nell'assoluta mancanza di pensiero di un mondo che vive alla velocità di un tweet sta un radicale rifiuto della vita come insieme di atti consapevoli e dunque di scelte libere. Da qui l'importanza della filosofia - non tanto come pensiero astratto, ma come elemento di vita quotidiana e di agire anche collettivo - rivendicata con passione da Nicla Vassallo.
 

Ernesto Milanesi

La ricerca della verità oltre il potere dei "sapienti"

Intervista. La filosofia nella polis mediatica. Parla la studiosa italiana Nicla Vassallo

Rime­dio alle trap­pole della sedu­zione media­tica, «per­ché con la reto­rica delle ideo­lo­gie si fini­sce per pen­sare in modo inde­gno». Disci­plina che per­mette a tutti la libertà «di ana­liz­zare a fondo il pre­sente gra­zie ad uno sguardo pulito e cri­tico». È la filo­so­fia secondo Nicla Vas­sallo, cinquant'anni, pro­fes­sore ordi­na­rio di Filo­so­fia teo­re­tica all'Università di Genova. Spe­cia­liz­za­tasi al King's Col­lege Lon­don, si è dedi­cata alla ricerca nei set­tori dell'epistemologia, della filo­so­fia della cono­scenza, della meta­fi­sica e dei gen­der stu­dies. Nel 2011 ha vinto il pre­mio di filo­so­fia Viag­gio a Sira­cusa. Ha pub­bli­cato e curato oltre un cen­ti­naio di saggi e volumi, fra cui Filo­so­fia delle donne (con Pie­ranna Gara­vaso, Laterza, 2007), Per sen­tito dire (Fel­tri­nelli, 2011), Rea­son and ratio­na­lity (Ontos Ver­lag, 2012).

«È sem­pre con­ve­niente dare per morta la filo­so­fia, in una società, in cui cono­scenza e ragione ven­gono sot­to­va­lu­tate, se non addi­rit­tura minate — sostiene Vas­sallo — Dov'è finito l'amore per la sapienza e il sapere? Dove sono finite le buone argo­men­ta­zioni? In luo­ghi inac­ces­si­bili a più, abi­tati da poche élite intel­let­tuali, che rifiu­tano l'imbarbarimento. Oggi, a danno della nostra cit­ta­di­nanza e uma­nità, insulti e vol­ga­rità domi­nano, men­tre ven­gono disprez­zate la libertà di pen­siero e d'espressione, libertà che non equi­val­gono a 'penso ciò che voglio' e 'dico ciò che voglio', bensì a 'penso sulla base di buone ragioni' e sem­pre 'sulla base di buone ragioni mi esprimo'. Come rea­gire? Con la buona filo­so­fia per ana­liz­zare il pre­sente gra­zie a con­cetti chiari, per far emer­gere i nostri errori, per uscire dalle trap­pole in cui si è precipitati».



Riflet­tere con filo­so­fia rap­pre­senta anche un anti­doto alle «ideo­lo­gie» della poli­tica sem­pre più flebile?

Nel nostro paese, e non solo, manca la dimen­sione della polis, dimen­sione essen­ziale per la poli­tica one­sta. Basti osser­vare i con­te­nuti sten­tati dei com­por­ta­menti e del lin­guag­gio della mag­gio­ranza dei nostri cosid­detti rap­pre­sen­tanti, sog­gio­gati dalla mania del potere indi­vi­dua­li­sta e dispo­tico. Quando si fa poli­tica nella con­vin­zione che occorra stre­gare i cit­ta­dini con ideo­lo­gie fab­bri­cate ad hoc, quando pure valori fal­sati ven­gono impie­gati per cat­tu­rare con­sensi, il risul­tato non può non con­si­stere in una dure­vole cor­ru­zione delle menti. O, meglio, in un'allucinazione di cui si è al con­tempo pro­ta­go­ni­sti e vit­time. La filo­so­fia, pur­ché – ripeto — buona filo­so­fia, costi­tui­sce un ottimo anti­doto, se non fosse altro nel rimar­care il signi­fi­cato della verità.

Ha appena pub­bli­cato con la casa edi­trice Mime­sis «Orlando in ordine sparso», rac­colta di versi che spa­zia in un arco di tempo che va dal 1983 al 2013. Per­ché la poe­sia? È l'altra fac­cia della meda­glia del «lavoro» filosofico?

Filo­so­fia e poe­sia devono rima­nere atti­vità distinte. Men­tre in filo­so­fia occorre chie­dersi «cos'è la verità?» e «cos'è la cono­scenza?», que­ste domande non appar­ten­gono al poe­tare. Per di più, in poe­sia è pos­si­bile espri­mere la pro­pria sog­get­ti­vità; la filo­so­fia aspira invece all'oggettività, senza cadere in quei rovi­nosi rela­ti­vi­smi, che hanno obnu­bi­lato i diritti e doveri di troppi. Se la vita del poeta emerge spesso nei suoi versi, il filo­sofo deve invece igno­rare l'autobiografia, la pro­pria sto­ria per­so­nale, la pro­pria appar­te­nenza ses­suale, di genere, di classe sociale, poli­tica, reli­giosa, e così via. Detto ciò, Orlando in ordine sparso rimane un omag­gio all'«Orlando» di Vir­gi­nia Woolf, ove, tra l'altro, viene sot­to­li­neato il pro­blema dell'identità per­so­nale, pro­blema che la filo­so­fia affronta da sem­pre, insieme a quello, insi­sto, della cono­scenza: ari­sto­te­li­ca­mente par­lando, quando non aspi­riamo a cono­scere, ces­siamo di appar­te­nere agli esseri umani.

Dal Festi­val di Modena alle «lezioni» fuori dal recinto acca­de­mico: la filo­so­fia ritorna ad appas­sio­nare le nuove generazioni?

Nono­stante la loro mol­ti­pli­ca­zione e, a tratti, bana­liz­za­zione, alcuni luo­ghi garan­ti­scono un alto livello della divul­ga­zione. Que­sto per­ché lì le lezioni magi­strali ven­gono affi­date a intel­let­tuali retti, con un'importante pre­pa­ra­zione spe­cia­li­stica, senza cui la buona divul­ga­zione sarebbe impossibile.
Le nuove gene­ra­zioni accor­rono, con la loro sete di cono­scenza, sete tra­dita non solo dai tanti social net­work, ma anche da decenni di disin­for­ma­zione, inco­scienza, oscu­ran­ti­smo che i gio­vani intel­li­genti ora rifiu­tano con riso­lu­tezza. Evi­tano così i pseudo-intellettuali dilet­tanti, nar­cisi che indot­tri­nano, che par­lano senza sapere, in modo incom­pren­si­bile. La buona filo­so­fia appas­siona quei gio­vani che mirano a pen­sare in modo vir­tuoso, senza ideo­lo­gie, filo­so­fie ideo­lo­gi­ste e popu­li­ste incluse. Con le ideo­lo­gie di qual­siasi matrice si pensa in modo indegno.



Lei man­tiene anche un punto di vista dif­fe­rente rispetto alla filo­so­fia fem­mi­ni­sta ita­liana. Perché?

Per­ché è filo­so­fia, per l'appunto, ideo­lo­gica nell'assumere che esi­stano dif­fe­renze signi­fi­ca­tive tra i due sessi (fem­mina e maschio) e tra i due generi (donna e uomo). Tocca alla scienza, non alla filo­so­fia, sta­bi­lire la realtà e por­tata di que­ste dif­fe­renze, bio­lo­gi­che e cogni­tive, sem­pre che i sessi e i generi siano solo due. Per di più, l'idea che si dia un'essenza fem­mi­nile e un'essenza maschile non pro­duce alcun­ché di posi­tivo: un pre­giu­di­zio genera solo altri pre­giu­dizi por­ta­tori di inci­viltà. Così il nostro paese con­ti­nuerà a rima­nere maschi­li­sta, come atte­sta il Glo­bal Gen­der Gap 2012 che lo clas­si­fica all'80/mo posto, pre­ce­duto per esem­pio da Cipro, Perù, Botswana, Bru­nei, Hon­du­ras, Repub­blica Ceca, Kenya, Repub­blica Slo­vacca e dalla Cina al 69/mo posto.

Senza poi ram­men­tare il fatto che decre­tare l'esistenza di due sessi e due generi tra loro dif­fe­renti crea il «giu­sto» humus per aval­lare l'assoluta, ben­ché assurda, com­ple­men­ta­rietà tra donna/femmina e maschio/uomo, per fomen­tare, quindi, ete­ro­ses­si­smo e omo­fo­bia, e negare senza ragione il diritto ai matri­moni same-sex. E, infine, la ric­chezza dell'identità per­so­nale ne esce distrutta. Ognuno di noi è unico; nes­suno si riduce insi­pi­da­mente a una femmina/donna o a un maschio/uomo. Ha per­duto il pro­prio sé chi si ostina a pen­sare e agire solo da femmina/donna o da maschio/uomo.


il manifesto | 04 Febbraio 2014 

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