04 giugno 2014

SULLE DURE REPLICHE DELLA STORIA

Piazza Tienanmen

4 giugno 1989- L'esercito cinese spara sulla folla



I Gulag staliniani



Ecco i fatti  che hanno screditato l' idea del comunismo nel mondo.  Chiunque voglia riprendere oggi le idee di Marx e Gramsci deve tenere conto delle dure repliche della storia. 
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Guido Santevecchi

Gabbia dorata e 100 mila spie per «cancellare» Tienanmen

PECHINO — Il primo a finire agli arresti è stato Hu Jia, attivista che fa campagna per i malati di Aids. Gli agenti sono andati a casa sua a febbraio e gli hanno spiegato che questo è «un anno molto delicato». Questo è il venticinquesimo anniversario del massacro sulla Tienanmen; ma i poliziotti non hanno citato né la piazza né la data, il 4 giugno 1989, perché in Cina sono parole proibite. Dopo Hu sono finiti in carcere altre decine di dissidenti e avvocati dei diritti civili, qualche artista, un poeta, esponenti della comunità gay e buddisti. Poi, all’inizio di maggio, la piazza cuore del potere e della storia è stata circondata da una nuova barriera rinforzata e dorata. Sono i preparativi del governo per la ricorrenza innominabile.

Pechino sembra sospesa, stordita dal caldo asfissiante fuori stagione (42 gradi di massima) e sorpresa dall’enorme spiegamento di forze. L’ultimo segno di quasi serenità è all’angolo di Wangfujing, il viale commerciale distante un chilometro dalla Tienanmen: un bambino saltava felice in una pozzanghera e un netturbino aspettava paziente che finisse di giocare prima di spazzare via l’acqua. Ma a dieci metri c’erano tre soldati con elmetto, pistola nella fondina e mitra imbracciato che scrutavano inespressivi. Procedendo verso la piazza, furgoni e auto della polizia, agenti in postazione, dissuasori metallici agli incroci. E poi le barriere dorate, imbullonate sul marciapiedi. Sul web i pechinesi di spirito le hanno definite degne di un «tuhao», la parola che identifica i cafoni arricchiti dell’economia di mercato amanti dei gioielli d’oro. Forse al regime fa piacere che invece di parlare dell’anniversario di sangue la gente banalizzi.

Le autorità dicono che la gabbia dorata è a prova di auto, per evitare nuovi attacchi come quello uiguro di mesi fa. Ufficialmente sono solo precauzioni anti-terrorismo anche le pattuglie armate che attraversano la capitale. In parte è vero, perché dopo gli ultimi attentati sanguinosi nel lontano Xinjiang il governo teme che il terrorismo di matrice etnica e islamica colpisca anche qui: nelle stazioni della metropolitana da qualche giorno si passano al metal detector i pendolari, causando code bibliche.

Ieri i giornali di Pechino hanno annunciato che le autorità hanno mobilitato centomila cittadini per raccogliere informazioni. Dicono che è per proteggere la città dai terroristi: li pagano due yuan (25 centesimi) a soffiata. I più efficienti, quelli capaci di riferire tre sospetti al giorno, riceveranno a fine mese 200 yuan (25 euro, una bella cifra). Questi informatori volontari sono stati reclutati tra gli assistenti ai bagni pubblici, gli ambulanti, i portieri dei palazzi, gli edicolanti. Anche questo non è inedito a Pechino: circa 850 mila pensionati si prestano volentieri a controllare i loro quartieri. Ma con il pensiero alla Tienanmen il nuovo esercito popolare di spie ausiliarie accresce l’ansia.

4 giugno 1989- L'esercito cinese spara sulla folla















Diversi uffici di agenzie e giornali internazionali hanno ricevuto il consiglio di stare alla larga dalla piazza. A quattro, cinque chilometri dalla Tienanmen, il vialone Chang’an (Pace duratura) prende il nome di Fuxingmen: qui nella notte del 3 giugno 1989 passarono i camion con i soldati e i carri armati ai quali era stato ordinato di schiacciare i «contro-rivoluzionari», gli studenti che da aprile occupavano la piazza del potere chiedendo riforme democratiche. Sul Fuxingmen, sotto il viadotto di Muxidi, i ragazzi cercarono di fermarli; i soldati spararono, anche i palazzi furono colpiti.

Il punto dove si combattè più duramente è di fronte al Blocco 27, una serie di casermoni di abitazione. I fori non ci sono più, naturalmente. Seduti su sgabelli, davanti ai portoni, sei civili con il bracciale rosso dei volontari per la sicurezza. Girando sul retro e schivando un paio di poliziotti abbiamo avvicinato alcune coppie di anziani. «Certo che abito qui, da un sacco di tempo». Che cosa ricordate... «Non c’è niente da ricordare». Uno solo, mentre si allontanava con la compagna che gli chiedeva le ha sussurrato: «Sai, qui sparavano, ma è stato molto tempo fa».

Il partito comunista ha imposto una sorta di amnesia collettiva. Louisa Lim, autrice della «Repubblica popolare dell’amnesia» ha cercato di fare un sondaggio tra gli universitari, mostrando la celebre foto del ragazzo davanti ai tank: su 100 solo 15 l’hanno riconosciuta come l’immagine simbolo della Tienanmen. Molti dicono che è tutta un’invenzione degli americani; altri che «se davvero qualcosa è successo è stato provocato dalla Cia». Un tassista chiacchierone assicura che lui era militare a quei tempi e che i soldati hanno «solo sparato a terra o in aria, se qualcuno è stato ferito sono stati di sicuro colpi di rimbalzo». E poi ci sono anche personaggi importanti, come il geniale Jack Ma di Alibaba, che hanno detto: «Quell’incidente? Una decisione crudele, ma corretta».

Gli arresti preventivi, le intimidazioni, la censura che cancella dal web cinese la data 4 giugno 1989 (aggirata da qualche ardimentoso con definizioni tipo «35 maggio» e «ultimo anno degli 80»), hanno fatto cadere l’ultima illusione di riforma politica, 25 anni dopo. Dagli arresti domiciliari Hu Jia si fa sentire: «Dicono che è primavera a Pechino, ma è sempre inverno».
Il Corriere della sera – 1 giugno 2014

Anna Zafesova

A Mosca per finire in un Gulag bastava una lettera anonima

«Anonimka», la delazione firmata da mano ignota, è stata l’arma più letale del totalitarismo comunista. Ai tempi di Stalin era un biglietto per il Gulag e, in tempi meno feroci, poteva significare il licenziamento, l’espulsione dall’università o un umiliante iter di giustificazioni e indagini.
In un sistema repressivo basato sullo spionaggio sfuggire al controllo era quasi impossibile, in Urss ci voleva un lasciapassare anche per entrare in biblioteca. Per chi era già stato presa di mira dai servizi come dissidente c’era tutto il pacchetto completo offerto dal Kgb, dai pedinamenti alle intercettazioni telefoniche, e alcuni dissidenti hanno scoperto solo anni dopo che nell’appartamento accanto era stata allestita una vera centrale d’ascolto, come nel film «Le vite degli altri». Ma anche per i comuni cittadini sovietici finire nella rete della delazione era questione di un attimo. Bastava una barzelletta politica, un’esclamazione di scontento, un brontolio sui (molteplici) guai della vita di tutti i giorni, e se nei dintorni c’era un orecchio indiscreto partiva l’«anonimka».

Nessuno ha mai saputo quanti fossero i soldati dell’armata dei delatori. C’erano quelli che lo facevano d’ufficio: gli uscieri, le ferocissime guardiane all’entrata di uffici e convitti, gli addetti condominiali, gli spazzini, i tassisti, le burbere «dezhurnaya» piazzate a ogni piano negli alberghi al solo scopo di monitorare le entrate, le uscite e soprattutto le compagnie degli ospiti. Ma da quelli non c’era da aspettarsi d’altro e si cercava di stare attenti.
Poi c’era la rete di informatori prezzolati, reclutati dal Kgb con lusinghe o ricatti per riferire sui propri colleghi e amici, soprattutto in ambienti di intellettuali. I più pericolosi però erano i volontari, quelli che scrivevano delazioni per passione, battitori liberi mossi da zelo ideologico o da interesse, e che spesso firmavano anche le loro denunce per poterne beneficiare. Si poteva venire denunciati dal vicino che così poteva ambire alla stanza che si liberava, dal collega che puntava alla scrivania della vittima, dalla fidanzata tradita, dall’amico invidioso.

L’«anonimka» non aveva bisogno di venire provata e poteva venire inviata al Kgb, alla polizia, al sindacato, alla cellula di partito, al superiore, che erano obbligati a procedere: cestinare una denuncia poteva rivelarsi molto pericoloso se il delatore l’avesse mandata a più indirizzi. Con l’apertura, molto parziale, degli archivi alcune vittime delle delazioni hanno scoperto di essere state spedite in Siberia dal migliore amico, da un commilitone come era successo ad Alexandr Solzhenitsyn, o addirittura dai parenti. E una volta tra le mani della polizia segreta, si diventava delatori a propria volta, per salvarsi la vita, per paura, sotto tortura.

La paura dell’orecchio indiscreto veniva assorbita fin da bambini, e la capacità di dire le cose giuste pensandone altre diventava quasi automatica già a scuola. Rilassarsi poteva essere mortale, il delatore poteva essere dovunque, a raccogliere le confidenze davanti a un bicchiere di vodka, e nulla era prezioso come un amico che segnalava agli altri un sospetto spione, di solito battendo con le nocche sul tavolo per indicare che quello è uno «stukach», «uno che bussa». Alla porta innominabile che tutti avevano paura di varcare.

Le «anonimke» furono abolite soltanto da Gorbaciov alla fine degli Anni 80: d’ora in poi una denuncia doveva essere formale e firmata. Ma le liste interminabili di quelli che rovinavano le vite degli altri sono sempre rimaste un segreto sepolto negli archivi.
La Stampa – 1 giugno 2014

2 commenti:

  1. Ripropongo di seguito alcuni commenti perventi tramite facebook:

    Catilina: 'CHIUNQUE'' DOVREBBE VIVERE IN COMUNISMO, PUOI PARLARE........
    4 giugno alle ore 20.21 ·

    Francesco Virga: Cara Catalina, non ho ben capito cosa vuoi dire...
    4 giugno alle ore 21.52 ·

    Francesca Albergamo: Forse vuole dire che chiunque abbia vissuto in paese comunista può parlarne, credo, perché è una frase già sentita da persone dell'est.
    4 giugno alle ore 22.02 ·

    Francesco Virga: Ma quei paesi anche se si chiamavano "comunisti" non lo erano per nulla! Secondo Marx " il libero sviluppo di ogni individuo" doveva costituire la base del libero sviluppo di tutti!
    4 giugno alle ore 22.16

    Francesca Albergamo: naturalmente Francesco, non si discute, il pensiero di Marx, ma l' interpetazione che gli è stata data in nome del comunismo, in quei paesi.
    4 giugno alle ore 22.20 ·

    Ester de Miro : Il comunismo è una bella sceneggiatura, dalla quale purtroppo sono stati realizzati brutti film...
    Ieri alle 0.00 ·
    Francesco Virga: Quest' ultima battuta mi piace tanto. Grazie Ester!

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  2. Gli stessi articoli giornalistici del Corsera e de LA STAMPA sono stati così commentati da Giorgio Amico:

    "due articoli che spiegano meglio di mille volumi perchè debba essere abbandonato definitivamente ogni riferimento all'esperienza del comunismo “reale”. Prima nella sinistra di alternativa si farà questo passo, prima si uscirà dalle rovine e gli orrori del Novecento. Siamo per l'utopia contro il gulag, per questo non possiamo più dirci comunisti pur restando fermamente convinti che un altro mondo è possibile."

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