08 novembre 2014

CONTRO SPRECHI E CORRUZIONE



L’Italia degli sprechi, delle consulenze false e inutili, degli appalti truccati, delle truffe alla Comunità europea, della corruzione. Un sistema generalizzato, dai grandi enti ai piccoli comuni, di gestire i fondi pubblici. E qualcuno ancora si stupisce che in Europa diffidino di noi.

Fiorenza Sarzanini

Tangenti e sprechi. Sei miliardi di euro sottratti ai cittadini



Ci sono i medici e gli operatori sanitari, i funzionari ministeriali e i lavoratori di primo livello, e anche i manager e gli impiegati. Negli elenchi compaiono tutti i dipendenti pubblici «infedeli», colpevoli di reati e di illeciti amministrativi, chiamati a risarcire i danni allo Stato.

Le ruberie e gli abusi

Sono oltre 13.300 persone che in meno di due anni hanno provocato una voragine nella casse dell’Erario di ben 5 miliardi e 700 milioni di euro. I dati dei controlli effettuati dalla Guardia di Finanza e dalla Corte dei conti dal 1 gennaio 2013 al 30 settembre scorso, fotografano l’Italia degli sprechi sanitari, delle consulenze false e inutili, degli appalti truccati e delle truffe alla Comunità europea. Ma forniscono, soprattutto, l’immagine di un Paese ancora segnato dalla corruzione. Perché è vero che molti di questi dipendenti pagano per omissioni e abusi, ma sono migliaia quelli che hanno intascato mazzette per sbloccare una pratica, pilotare una gara, sottrarre beni al pubblico per incrementare la propria attività privata.

Obiettivo degli accertamenti affidati agli specialisti del Terzo Reparto che si occupano di tutela della Spesa, è quello di verificare «l’impiego e l’utilizzo delle risorse pubbliche a seguito delle quali possono configurarsi ipotesi di responsabilità amministrativa per danno erariale». E dunque «possono essere chiamati a rispondere di tale particolare forma di responsabilità gli amministratori e i dipendenti pubblici che, nell’esercizio delle proprie funzioni, hanno determinato lo sperpero o la cattiva gestione della "cosa pubblica" attraverso comportamenti dolosi o determinati da colpa grave».

Un’attività che il comandante generale della Fiamme Gialle, Saverio Capolupo, ha voluto inserire tra gli «obiettivi strategici perché consente di combattere ogni forma di frode o spreco nell’utilizzo delle risorse della collettività».

I numeri e il «buco» della malasanità

Nei primi nove mesi del 2014 gli interventi sono stati incrementati del 24 per cento rispetto all’anno precedente consentendo di segnalare ben 7.368 persone e chiedere danni per 2 miliardi e 248 milioni di euro. Queste cifre altissime si sommano a quelle dello scorso anno: 5.987 dipendenti portati di fronte al giudice contabile e chiamati a risarcire tre miliardi e 541 milioni di euro. Il totale fa ben comprendere quale sia l’interesse di finanzieri e Corte dei conti a proseguire su questa strada e cercare in questo modo di far recuperare all’Erario ben cinque miliardi e 789 milioni di euro. 
 
Proprio per individuare i settori maggiormente penalizzati dagli abusi di chi dovrebbe invece lavorare per tenere i conti in regola, si è deciso di scorporare i risultati relativi ai controlli compiuti. E si è evidenziato come la maggiore sofferenza riguardi la spesa sanitaria, con 1.176 dipendenti segnalati e un danno pari a un miliardo e 200 milioni di euro.

La Calabria rimane una delle Regioni dove più alto è il numero di episodi di malagestione, ma anche nel resto d’Italia si moltiplicano i bilanci in rosso causati dagli illeciti commessi dai dirigenti. I casi accertati sono nella maggior parte eclatanti, però fa impressione scoprire che ci sono medici disposti a rischiare il posto di lavoro anche per poche migliaia di euro.

È accaduto a un dottore dell’ospedale di Ivrea sorpreso ad effettuare visite private mentre aveva già timbrato il cartellino e risultava presente nella struttura pubblica. Guadagno calcolato tra il 2009 e il 2013: 110 mila euro (poco più di 27 mila euro all’anno) che gli sono costati la denuncia per truffa e il deferimento alla magistratura contabile. Comportamento analogo quello del direttore sanitario dalla Asl di Spoleto: mentre risultava in servizio, andava presso la Onlus che aveva fondato senza però comunicarlo alla sua struttura e così percepiva l’indennità di esclusiva da 23 mila euro l’anno.

I doppi pagamenti di Napoli

Tutt’altra entità di danno allo Stato ha provocato quello che è accaduto presso la Asl di Napoli 1 Centro. Gli investigatori del nucleo Tributario hanno scoperto che dal 2000 al 2012 tutti i fornitori sono stati pagati due volte, con un esborso non dovuto pari a 32 milioni di euro.
La Corte dei conti ha contestato gli ammanchi ai quindici amministratori che nel corso di questi dodici anni sono stati incaricati di gestire la contabilità della struttura. Non solo. Durante le perquisizioni sono state trovate in un archivio abbandonato documenti da contabilizzare — e dunque da controllare — per 560 milioni di euro.

«L’azienda sanitaria — annotano gli investigatori nella loro relazione di servizio — ha stipulato contratti con una società di revisione che ha effettuato un vaglio delle carte mai esaminate per un valore di circa 233 milioni di euro, rilevando ulteriori doppi pagamenti per 17 milioni di euro». Soldi che certamente potevamo essere utilizzati in maniera diversa, per migliorare le condizioni degli ospedali partenopei.

Le case popolari di Asti

Le ruberie dalle casse pubbliche certamente sono rese possibili anche da un sistema di controllo che appare totalmente inefficace. Per dieci anni nessuno ha verificato quanto accadeva all’Agenzia territoriale per la casa di Asti, dove il direttore Pierino Santoro è riuscito a portarsi via ben 9 milioni di euro grazie all’uso personale delle carte di credito dell’Ente e i prelevamenti in contanti. 

Le indagini hanno accertato «la contabilizzazione di falsi mandati di pagamento, imputati a generiche “spese tecniche” mai sostenute, ai sistematici prelievi sul conto corrente postale intestato all’Agenzia dove gli ignari inquilini versavano i canoni di locazione». Con la carta di credito il direttore acquistava «abbigliamento e gioielli», mentre il resto delle risorse lo ha reinvestito in «auto di lusso, immobili a Torino e Asti, moto di serie limitata, polizze assicurative». Santoro ha patteggiato una condanna per peculato, adesso la Corte dei conti ha avviato il giudizio per il recupero del denaro.


Il Corriere della Sera – 2 novembre 2014

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