08 novembre 2014

IL MURO DI BERLINO E' CROLLATO MA TANTI ALTRI MURI DEVONO CADERE



Il 9 novembre del 1989, a seguito della decisione del Governo della DDR di aprire la frontiera con l'Occidente, inizia il crollo del muro di Berlino. In attesa che tanti altri muri crollino, riprendiamo da  http://www.nazioneindiana.com/  una ricca documentazione che aiuta a capire quanto accaduto:

Muro di Berlino, materiali per la comprensione di un crollo

8 novembre 2014, a cura di Davide Orecchio

Materiali per la comprensione di un crollo:
1) Un articolo di Alessandro Leogrande (2009, da uno speciale di Rassegna) sul dissenso nell'Europa Orientale. A metà degli anni settanta, dopo la repressione della Primavera di Praga e del '68 polacco, prese forma sempre più radicalmente l'idea secondo cui non può esserci un “totalitarismo dal volto umano”. L’esperienza fondamentale del dissenso in Polonia.
2) Nel novembre del 1989, poche settimane dopo la caduta del Muro, Rassegna pubblicò questa intervista di Martina Seitz al deputato socialdemocratico, e scienziato, Peter Glotz. “Una della teste più brillanti della Spd”, secondo un giudizio pubblicato dal Corriere della Sera pochi anni dopo. Glotz avanzava previsioni che sarebbero state smentite dal processo storico: nella sua opinione le due Germanie non si dovevano riunificare e occorreva lavorare alla creazione di una forte socialdemocrazia nella DDR. Di lì a pochi mesi, in meno di un anno, Helmut Kohl avrebbe portato a casa la riunificazione. Glotz non aveva elementi sufficienti per poterlo prevedere. Non poteva immaginare un così rapido sbriciolamento del dominio sovietico sull’Europa dell’Est. E, al momento dell’intervista, Kohl non aveva ancora calato pienamente le carte del progetto di riunificazione. Proprio per questo motivo l’intervista è un documento di interesse storico. La testimonianza che ci arriva da un’epoca di confusione e prospettive incerte, sulla quale la sinistra democratica europea e tedesca non riuscì a incidere se non minimamente.
3) Una cronologia degli ultimi giorni del Muro.
Le foto sono mie. Davide Orecchio. ]
Muor di Berlino

1) QUANDO INIZIO’ A CADERE IL MURO DI BERLINO Alessandro Leogrande, 2009

Il Muro di Berlino è caduto ufficialmente il 9 novembre 1989. Con la riunificazione di Berlino, e della Germania, si chiude la “guerra fredda” e si apre la transizione verso la democrazia di quelle che Václav Havel aveva definito sistemi post-totalitari racchiusi nell’impero sovietico. Ma quando incomincia a cadere il Muro, veramente? Quando inizia a sgretolarsi un sistema sovranazionale, spersonalizzato, illiberale, fondato sulla menzogna e sulla “vita nella menzogna” – come diceva ancora Havel – che pareva andare avanti per autocinèsi, e quindi essere sempre lontano dal collasso definitivo? Adam Michnik, una delle più lucide figure del dissenso polacco, non ha dubbi. Intervistato da Enrico Franceschini per “il Venerdì di Repubblica”, ha detto:
“Per me ha cominciato a cadere a Danzica (nell’estate del 1980, ndr), quando la protesta degli operai di Solidarnosc sancì la fine del comunismo: erano dei proletari che protestavano contro la dittatura del proletariato.”
Ma forse si potrebbe fissare una data ancora precedente, più o meno a metà degli anni settanta. È allora infatti, dopo il riassestamento successivo alla repressione della Primavera di Praga e del ’68 polacco, che prende forma sempre più radicalmente l’idea secondo cui non può esserci un “totalitarismo dal volto umano”: non è possibile cioè alcuna riforma del sistema socialista dall’interno del suo apparato politico-burocratico. D’altra parte, il pericolo concreto dell’ennesima invasione sovietica, aveva ormai caratterizzato come velleitaria e controproducente, oltre che irrealistica in regimi polizieschi, qualsiasi ipotesi rivoluzionaria o cospirativa in senso classico. È allora quindi che matura, per dirla con le parole di Jacek Kuron (insieme a Michnik l’altra grande figura del dissenso polacco) un’idea nuova:
“La società deve cercare di darsi forme di organizzazione indipendenti dal potere, per imporre le proprie esigenze al potere stesso”. E ancora: “Si tratta di costruire un sistema nuovo senza negoziarlo con il potere, ma imponendolo; una rappresentanza sociale che si organizzi in misura da imporre un dialogo concreto al potere. (…) Rappresentanze di operai e di contadini, organizzazioni autonome delle scuole superiori, movimenti studenteschi indipendenti, una cultura indipendente, un ventaglio di associazioni d’iniziativa sociale”.
Queste frasi sono tratte da una celebre intervista rilasciata da Kuron nel 1976 a “Mondoperaio”, la rivista che forse ha dato più spazio, in Italia, all’analisi del dissenso dell’Est. Proprio in quegli anni una riflessione simile venne svolta da Václav Havel nel suo pamphlet Il potere dei senza potere: la “vita nella verità” condotta da un numero sempre maggiore di persone (in un sistema che si fonda sulla menzogna e su frasi fatte cui non crede più nessuno, ma cui tutti dicono di credere per non essere bollati come “asociali” e “sovversivi”) avrebbe portato allo sgretolamento della fondamenta del regime.
In Cecoslovacchia lo sbocco intellettuale e politico di quanto preconizzato da Havel fu Charta 77. In Polonia, invece, da sempre il ventre più molle del sistema comunista, quello che auspicava Kuron sarebbe sbocciato nella straordinaria esperienza del Kor, il Comitato di Difesa degli Operai, una alleanza radicalmente nuova tra intellettuali di sinistra laici e anti-totalitari e operai dissidenti. Nel 1976, in Polonia, il malcontento causato dal brusco aumento dei prezzi agricoli sfociò in una ondata di scioperi. La protesta si estese a macchia d’olio tra gli operai di Ursus e Radom, e il regime vi rispose con arresti e licenziamenti. Come spesso accade nelle proteste operaie, la questione salariale ed economica diventa presto radicalmente altro da sé, investendo l’insieme delle relazioni sociali e il loro controllo politico. Abbandonando l’elitarismo del dissenso culturale, il Kor nacque per sostenere i lavoratori vittime della repressione, su iniziativa di Kuron, Michnik e di altri dodici intellettuali. Lo stesso Kuron trasformò la propria casa in una “casella di contatto”, un centro di raccolta delle informazioni sulle repressioni messe in atto contro il dissenso e contro gli operai, che poi venivano trasmesse in Occidente (tramite il canale dell’emigrazione polacca) e da qui comunicate – attraverso la Bbc e Radio Europa Libera – non solo nei paesi occidentali ma anche clandestinamente nella stessa Polonia.
Decisiva fu l’esperienza del Kor per la creazione del movimento operaio polacco, prima della nascita di Solidarnosc. Fu il Kor a lanciare lo slogan “Non incendiate i Comitati, create i vostri comitati”, sottolineando l’impostazione nonviolenta e improntata all’autodeterminazione dal basso della propria azione. Nel 1977, dopo l’amnistia degli scioperanti, il Kor si trasformò in Kss, Comitato di Autodifesa sociale, continuando la propria azione sotterranea. Prova ne è che, sul finire degli anni settanta, il giornale divulgato clandestinamente nelle fabbriche, “Robotnik” (L’operaio), aveva raggiunto la tiratura di 30 mila copie! Una dittatura del proletariato che si trasforma in dittatura sul proletariato (per usare le parole di Fejtö) non teme niente di più che la disaffezione degli operai, e la loro organizzazione al di fuori delle strutture d’apparato ideate per loro. La dissoluzione del regime polacco era appena cominciata. E Kuron, per tornare ancora una volta all’intervista di “Mondoperaio”, l’aveva capito perfettamente: “A prescindere dal nostro futuro come Comitato, il movimento di solidarietà tra operai e intellettuali si svilupperà, e permetterà di assolvere ai compiti propri degli intellettuali verso gli operai: l’elaborazione di un programma politico e l’educazione autonoma degli operai stessi nel senso più vasto.”
Quanto è avvenuto dopo, nell’estate del 1980, non ci sarebbe stato senza il Kor, e senza la stretta alleanza tra il Kor-Kss e il Comitato unitario di sciopero di Danzica di Lech Walesa da cui sarebbe poi sorto Solidarnosc. E non ci sarebbe stato, nella seconda metà degli anni ottanta, dopo il noto colpo di Jaruzelski, un “sistema nuovo” dalle spalle larghe, in grado di condurre le trattative della “Tavola rotonda” per una transizione senza spargimenti di sangue. Tra gli anni sessanta e la metà degli ottanta, Michnik e soprattutto Kuron sono costantemente entrati e usciti dal carcere: a volte per poche settimane, altre per alcuni anni. Nonostante questo, alla fine il filo spinato è stato spezzato, e lo stesso Kuron è diventato ministro del lavoro e delle politiche sociali. Prima di morire nel 2004, si è impegnato a lungo per sostenere la democratizzazione dell’Ucraina, per promuovere lì un lavoro di base “come da noi”, e per favorire (lui che era nato a Leopoli nel 1934) l’instaurarsi di relazioni diverse tra Polonia e Ucraina, paesi a lungo divisi, a cominciare dalla creazione di una commissione parlamentare per il riconoscimento dei diritti della minoranza ucraina. La rivoluzione arancione sarebbe scoppiata dopo la sua morte.
Sarebbe errato però pensare che non ci siano state rivolte operaie nei paesi dell’Est, prima degli anni settanta. Benché bollate come sobillate da agenti provocatori e forze reazionarie, furono rivolte operaie quella di Berlino Est nel 1953 e quella di Budapest nel 1956. E lo fu anche quella di Poznan, sempre nel ’56, quando Albert Camus scrisse, contro tutti coloro che pretendevano l’ubbidienza incondizionata nei confronti di Mosca e la fuga dalla realtà, parole che in questo contesto pesano come pietre:
“Si è esclusa da sola dal movimento operaio e dal suo onore quella gente che, di fronte allo spettacolo di lavoratori che procedono spalla a spalla davanti ai carri armati per esigere pane e libertà, reagiscono trattando questi martiri da fascisti o dolendosi virtuosamente del fatto che essi non hanno avuto la pazienza di morire di fame in silenzio in attesa che il regime decida, come si dice, di liberalizzarsi.”
Come può, si chiedeva ancora Camus, il sangue operaio portare la felicità?

(Il Mese di Rassegna, novembre 2009)
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Alexanderplatz

2) L’ILLUSIONE SOCIALDEMOCRATICA
Peter Glotz, 1989



Riunifìcazione delle due Germanie, atteggiamenti della sinistra, nuovi assetti europei: ecco l’analisi di un testimone-protagonista. A Peter Glotz, deputato e teorico di maggior prestigio della socialdemocrazia tedesca, abbiamo chiesto di commentare gli avvenimenti che in questi giorni hanno cambiato il volto della Germania.
Lei ha assistito da vicino al crollo di un simbolo che ha segnato un’epoca di divisioni e di sofferenze. Quali sono i suoi sentimenti di tedesco occidentale e di socialdemocratico?
Glotz: II muro è stato una costruzione terrificante e capisco bene le dimostrazioni di giubilo che hanno accompagnato la sua demolizione. Bisogna sempre lottare per la libertà e per la libera circolazione attraverso le frontiere, in una nuova Europa. Naturalmente la Spd appoggia il movimento democratico all’interno della Rdt, e giudica decisamente positive le conquiste di libertà che esso ha ottenuto. Abbiamo subito instaurato buoni rapporti con il neonato partito socialdemocratico.
Quali saranno le ripercussioni degli avvenimenti odierni sul processo di integrazione europea?
Glotz: Lungi dal rallentare, dovremo al contrario rendere più spedito il processo di integrazione della Comunità, come ha sostenuto Jacques Delors. Un’Europa più forte avrà un effetto trascinante sui paesi del centro Europa e dell’Est. Occorre però che non soltanto la Rdt, ma anche altri Stati come l’Ungheria e la Polonia ricevano energici aiuti. Questi aiuti non dovranno essere avviati dalla sola Repubblica Federale, ma dall’intera Comunità europea. Sarà necessario spingere tutti i paesi più lontani dalla Mitteleuropa, come la Spagna, l’Italia, il Portogallo e la Grecia, a fornire aiuti economici sistematici. Non si tratta solo di impegnare i bilanci dei singoli Stati o della Comunità, ma anche di stimolare gli investimenti privati: ciò significa che i paesi dell’Est dovranno introdurre elementi di economia di mercato. La costruzione di un’Europa più forte dovrebbe essere un compito prioritario per la sinistra europea. Certo, Occhetto e Delors sono europeisti convinti e sono molto contento che Neil Kinnock riesca passo passo a vincere le posizioni antieuropee nel partito laburista. Esistono però ancora incertezze, esitazioni, egoismo. La sinistra europea non è una forza unitaria, monolitica.
Secondo lei gli avvenimenti odierni costringeranno la sinistra a discutere e a modificare certe convinzioni legate al passato?
Glotz: Personalmente non vedo alcun motivo per modificare le mie convinzioni. Quel che ha fatto bancarotta è non solo lo stalinismo, ma anche il marxismo-leninismo e io non vi ho mai aderito. Il socialismo democratico è sempre stato un’altra cosa. D’altra parte mi sembra che altri partiti, penso all’ex Partito comunista ungherese o al Partito comunista italiano, sentano una forte attrattiva per quella variante del socialismo democratico che è Bad Godesberg. Quando osservo la politica di Michel Rocard, di Ingmar Karlsson, di Felipe Gonzalez o di Oskar Lafontaine ho l’impressione che le loro scelte siano ragionevoli, del tutto capaci di soddisfare le maggioranze. A questo punto mi è indifferente definire tutto ciò socialdemocrazia o socialismo democratico. Certo, molta gente che ha vissuto per lungo tempo sotto il peso del marxismo-leninismo per qualche anno non vorrà più sentir parlare di socialismo. La capisco. Ma non vedo perché dovrebbe farmi cambiare idea.
Quali saranno le ripercussioni degli odierni avvenimenti nella vita dei tedeschi dell’Est e dell’Ovest?
Glotz: Ora la gente avrà la possibilità di traslocare da Magdeburgo a Hannover, di andare all’opera da Dresda ad Amburgo, o di andare in vacanza a Kabeuz o Travemùnde, insomma di fare le cose più naturali. Vi saranno persone che attraverseranno la frontiera per lavorare qui da noi e altre che verranno per rimanerci; vi saranno ripercussioni in campo monetario perché questa gente porta i soldi e li cambia. Avremo bisogno di più linee telefoniche, di reti stradali e ferroviarie completamente differenti. E qualcuno dovrà investire: certo, alle sovvenzioni e alle spese infrastrutturali dovrà provvedere lo Stato, ma i rapporti economici si potranno sviluppare solo attraverso l’industria privata. Dovremo però stare attenti a non rendere troppo irrequieti, con tutti questi movimenti, i nostri vicini e amici occidentali.
Si riferisce all’ipotesi di una riunificazione delle due Germanie?
Glotz: Questa ipotesi non è affatto realistica né augurabile. Rdt e Rft non sono mai state unite. Semmai si potrebbe pensare a una formazione del tutto nuova, ma anche questa in fondo non è una prospettiva concreta. Per fare un esempio, la Repubblica Federale fa parte — e continuerà a farne parte in futuro – della Comunità europea e della Nato. E non riesco a immaginare che l’Unione Sovietica possa accettare il passaggio della Rdt alla Nato. Tuttavia resto aperto a idee come quella di una confederazione, per cui la Repubblica Federale e la Rdt potranno concludere una serie di contratti relativi alla cooperazione economica. Ma anche questo dovrà essere concordato con gli altri Stati della Comunità, per restare in armonia con gli impegni assunti in ambito europeo. L’unione potrebbe diventare possibile nel contesto di una nuova Europa: ma ciò comporta la crescita dell’Europa occidentale e orientale, processo che sarà certamente lungo.
Queste posizioni sono condivise da tutto lo schieramento politico nella Rft?
Glotz: Il governo è sorpreso dalla situazione nuova quanto lo è l’opposizione e il resto del mondo. Nessuno ha ricette pronte nel cassetto. Tuttavia nella Cdu-Csu si trovano molte persone ragionevoli che pensano in maniera simile a quella appena illustrata. Certo, esistono alcuni pazzi, ma si tratta di una minoranza, che speculano sul fatto che la Rdt dichiari fallimento, sostenendo che dovrà semplicemente unirsi alla Repubblica Federale, per fare, come dire, più massa. Ad esempio è quello che sostengono i Republikaner. Da parte mia non posso che mettere in guardia contro una prospettiva catastrofica di questo genere.
E nella Rdt cosa pensano secondo lei?
Glotz: Le organizzazioni politiche sono impegnate a sviluppare l’identità della Rdt e a cercare un modello di socialismo democratico che non sia semplicemente quello della Repubblica Federale. Il mio sospetto è che la maggioranza dei cittadini consideri astratta questa prospettiva e che vi siano bisogni molto più concreti e urgenti: per questo vorrebbero semplicemente copiare le strutture della Repubblica Federale.
Quale sarà l’atteggiamento delle grandi potenze rispetto al futuro assetto europeo?
Glotz: La posizione dell’Unione Sovietica è molto chiara: non immischiarsi nei processi interni della Rdt. I soldati sovietici restano nelle caserme di quel paese, ma non escono appunto da lì. Per motivi di sicurezza Gorbaciov vuole certamente mantenere la Rdt nella propria anticamera, e non vuole che diventi quella degli Stati Uniti. Anche per questo è contrario alla riunificazione, ma non ai processi di democratizzazione. Gli Stati Uniti non si sono espressi in maniera univoca: essi sono in genere molto attenti e questo, attualmente, vale per tutti i palcoscenici nel mondo. A loro basta vedere indebolito il potenziale avversario, l’Unione Sovietica. Tirano un sospiro di sollievo, si mettono comodi, non sbagliano nulla ma neppure fanno qualcosa di veramente giusto. In questo momento, non riesco a individuare, negli Stati Uniti, un’idea dell’Europa veramente politica: forse esiste nei meandri dell’amministrazione, e non è ancora visibile dall’esterno…
(Rassegna Sindacale, n. 43, novembre 1989)
Link su Peter Glotz
Wikipedia Germania
Wikipedia in inglese
Corriere della Sera

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Porta di Brandeburgo Berlino

3) CRONOLOGIA DEL CROLLO

9 novembre 1989
9.00. Il Politbüro della Sed incarica quattro funzionari del ministero dell’Interno e della Stasi di riscrivere il progetto di legge sulla libertà di viaggio ed espatrio. Si concorda sulla necessità di abolire ogni restrizione, in futuro, sul varco dei confini tra DDR e Stati confinanti.
15.00. Il progetto di legge è pronto.
16.00. Egon Krenz presenta il progetto di legge al comitato centrale della Sed e convoca una conferenza stampa.
18.00. Durante la conferenza stampa in diretta televisiva internazionale il portavoce della Sed, Günter Schabowski, annuncia la legge sulla libertà di espatrio. Il corrispondente dell’agenzia Ansa da Berlino Est, Riccardo Ehrman, gli chiede quando entrerà in vigore. Schabowski risponde: “Da subito!”
19.05. L’Associated Press lancia la notizia: “La DDR apre le frontiere”.
19.41. Lancio della Dpa: “La frontiera della DDR… è aperta”.
20.15. I primi berlinesi dell’Est iniziano a varcare il confine a Bornholmer Strasse. Nel giro di un’ora passano da 80 a mille persone.
22.28. La tv della DDR prova ad arrestare il flusso, annunciando che non si può varcare il confine senza autorizzazione documentata. Migliaia di persone si accalcano davanti alla dogana di Bornholmer Strasse. La folla preme contro le transenne, aggira i controlli doganali, corre verso il Muro ed entra a Berlino Ovest.
01.00-02.00. Migliaia di berlinesi dell’Est e dell’Ovest scavalcano il Muro, passeggiano davanti alla Porta di Brandeburgo e nella Pariser Platz, ballano sul Muro, iniziano a distruggere il Muro con martelli e scalpelli.
6 novembre 1989.
La Sed rende pubblico il progetto di legge sulla libertà di viaggio. Sarà limitata a soli 30 giorni all’anno, e condizionata da non meglio specificate motivazioni. Nelle strade le proteste aumentano. Tra l’8 e il 9 novembre 1989 oltre 40 mila tedeschi dell’Est entrano nella Germania Ovest passando per la Cecoslovacchia. Si apre una tre giorni di riunioni per il comitato centrale della Sed, inaugurata dalle dimissioni del Politbüro. Il Cancelliere della Germania Ovest, Helmut Kohl, prende la parola al Bundetsag e promette aiuti economici alla DDR se la Sed  convocherà libere elezioni.
4 novembre 1989.
Berlino. Mezzo milione di persone manifestano ad Alexanderplatz per la libertà di opinione, di informazione e di associazione. Dai palazzi del potere, assediati, i membri della Sed osservano. Truppe di “volontari” si schierano a difesa del palazzo assieme alla polizia di Stato e agli uomini della Stasi. Günter Schabowski, il membro del Politbüro più aperto al dialogo, prende la parola nella piazza ma viene fischiato. Migliaia di persone manifestano in tutto il paese. E a migliaia varcano i confini verso la Cecoslovacchia.
26-30 ottobre 1989.
Il ministero per la Sicurezza della DDR (la Stasi) calcola 145 manifestazioni in quattro giorni nelle città principali della Germania Est. Hanno partecipato oltre 540 mila persone. Il 27 ottobre il consiglio di Stato concede l’amnistia a tutti gli espatriati e a chi ha partecipato alle manifestazioni. Dal 1 novembre si riaprono i confini con la Cecoslovacchia: i cittadini della DDR muniti di passaporto potranno varcarli.
23 ottobre 1989.
Oltre 300 mila persone scendono in piazza a Lipsia. Decine di migliaia protestano per le strade di Halle, Dresda, Berlino, Magdeburgo, Schwerin e Zwickau. Il giorno dopo nel Politbüro della Sed si torna a discutere il progetto di legge per il diritto di espatrio dei cittadini della DDR.
17 e 18 ottobre 1989.
Lo scontro di potere nel Politbüro della Sed si conclude con la sconfitta e le dimissioni di Erich Honecker dalla segreteria generale del partito. Vince la linea “riformista” di Egon Krenz, che vuole aprire il dialogo con la società civile nella speranza di arginare la crisi del regime. “Tutti i problemi della nostra società si possono risolvere politicamente”, afferma il nuovo segretario generale del partito. Krenz annuncia un progetto di legge per l’apertura delle frontiere e la libertà di viaggio all’estero.
16 ottobre 1989.
Più di 100 mila persone manifestano a Lipsia in difesa del Neues Forum e per la scarcerazione dei suoi membri, per la libertà di viaggiare, per libere elezioni, libera informazione e libera opinione. Manifestazioni parallele si tengono a Berlino, Dresda, Halle e Magdeburgo.
9 ottobre 1989. A Lipsia 70 mila persone scendono in piazza per chiedere riforme. A migliaia protestano anche a Halle e Magdeburgo. Il giorno dopo un movimentato Politbüro della Sed decide di aprire il dialogo con la società civile. Sul tavolo: apertura delle frontiere, libertà di movimento dei cittadini, riforme democratiche. E’ una vittoria di Egon Krenz. Ed è una sconfitta di Honecker.
6 ottobre 1989. Mikhail Gorbaciov arriva a Berlino in occasione del quarantesimo anniversario della DDR. Lo scenario è surreale. Lo sfoggio di parate e celebrazioni non nasconde le crepe del regime. Dopo tre ore di colloquio riservato con Erich Honecker, Gorbaciov dichiara in un’intervista che “solo chi non sa reagire alla vita va incontro al pericolo”. Il suo ufficio stampa modificherà la frase così: “La vita punisce i ritardatari”. Il messaggio è chiaro. L’Urss nega l’aiuto militare necessario alla DDR per sopravvivere. Non ci sarà un altro ’68 praghese.
3 ottobre 1989.
La DDR chiude le frontiere. I tedeschi dell’Est non possono più entrare in Cecoslovacchia senza visto. Lo stesso varrà per Romania e Bulgaria. Le proteste aumentano. I tedeschi dell’Est vogliono viaggiare. Il Truman Show del regime ha smesso di funzionare.
2 ottobre 1989.
Ventimila persone partecipano alla dimostrazione del lunedì a Lipsia. La piazza inneggia a Gorbaciov (che tra pochi giorni arriverà a Berlino) e chiede libertà, fratellanza, uguaglianza. L’intervento della polizia provoca diversi feriti e una ventina di arresti. Il giorno prima il Neues Forum, l’associazione che organizza i “Montagsdemo”, ha pubblicato un documento chiarendo che tra i suoi obiettivi politici non c’è la riunificazione con la Germania Ovest.
26 settembre 1989.
Il capo della Stasi (la polizia politica della DDR), Rudolf Mittig, ordina ai responsabili territoriali del ministero per la Sicurezza di sabotare i gruppi di opposizione infiltrandosi al loro interno, alimentando “divisioni e disaccordi” e ostacolando la “politicizzazione” del movimento democratico. Lo stesso giorno Erich Honecker mette in allarme le forze armate in vista del 40mo anniversario della fondazione della DDR, nel quale dovrà “essere evitata ogni provocazione”. Il ministro della Difesa, Keßler, rafforzerà la presenza delle truppe a Berlino in vista delle celebrazioni del 6-9 ottobre. Quel giorno è atteso Gorbaciov.
25 settembre 1989.
Honecker rientra a Berlino dopo un’assenza per motivi di salute. L’ordine è stato eseguito? Pare di no. Anche questo lunedì, infatti, si tiene a Lipsia la “Montagsdemo” del Neues Forum*. Partecipanti: dai 5 mila agli 8 mila. Richieste della piazza: riforme democratiche, bitte. Il compagno Erich alza il telefono: «Ehi, dico, non dovevamo reprimerli?».
22 settembre 1989.
I tedeschi della DDR sono in subbuglio. Il 10 settembre il governo ungherese ha aperto i confini con l’Austria per i cittadini della Germania Est: si sono precipitati a migliaia. Dall’inizio del mese, a Lipsia, è tutta una manifestazione anti-regime con epicentro nella Nikolaikirche. Repressione e arresti finora non hanno funzionato granché. Spazientito, Erich Honecker, Segretario generale del comitato centrale della Sed (il Partito socialista unificato di Germania) prende carta e penna e scrive ai segretari regionali del partito. Pochi ordini perentori: è tempo di farla finita con «provocazioni» e dimostrazioni. E’ tempo di «sradicare il germe di queste azioni ostili, e impedirne la diffusione tra le masse». Bisogna «isolare gli organizzatori dell’attività controrivoluzionaria». L’ordine sarà eseguito?
{ Una questione privata, la sconfitta del Neues Forum
In tutte le rivoluzioni arriva il momento in cui le cose prendono una brutta piega. Se ne accorsero i Girondini e i marinai di Kronstadt. Ma a Berlino, 25 anni fa, qualcosa andò storto sin dall’inizio. O meglio: non ci fu alcun inizio. Nel senso che non appena il Muro fu fatto a pezzi, la politica ammutolì con lui. Non la politica di Helmut Kohl, che cannibalizzò la storia. La politica della società, dei tedeschi dell’Est che fino al giorno prima si erano mobilitati per libertà, democrazia, partecipazione.
Questa è la storia del Neues Forum, ricostruita dalla Taz. Cos’era il Neues Forum? Era la spina nel fianco della Sed. O meglio, lo fu per qualche mese. Fondato nel settembre del 1989 da un gruppo di artisti e intellettuali della DDR, tra i quali la pittrice Bärbel Bohley, all’insegna del motto “i tempi sono maturi”, arriva a portare in piazza migliaia di persone nella patria della Stasi e dei Vopos. Contestazione, cambiamento, lotta alla dittatura. Ma all’improvviso il fuoco si spegne. Il 9 novembre crolla il Muro e la partecipazione civile alle proteste evapora:
«Fu sostituita dagli spot televisivi e dal modello occidentale», raccontano i fondatori del Neues Forum alla Taz. «Quella svolta epocale travolse le vite private delle persone. Per la partecipazione politica non ci furono più le forze».
Le strade della contestazione lasciarono il passo alle strade delle vetrine. Così il Neues Forum finì in archivio. Kohl cucinò una riunificazione fast food. I tedeschi furono di nuovo un popolo. La società tornò liquida e silenziosa. La società rinunciò alla politica, non inventò nulla di politicamente nuovo. Ma: se non allora, quando? }
Fonti:
www.ddr-im-www.de/Geschichte/1989.htm
www.chronik-der-mauer.de

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