07 novembre 2014

V. Majakovskij contro i cervelli rammolliti






"Non c'è nel mio animo un solo capello canuto, / e nemmeno senile tenerezza! / Intronando l'universo con la possanza della mia voce, / cammino - bello, / ventiduenne". E aveva vent'anni Majakovskij quando terminò La nuvola, un'esperienza autobiografica e spirituale in cui l'"eroe", forse il poeta stesso, tenta di dissotterrare ciò che è sepolto. In una ricerca disperata d'amore, si tormenta per una donna: la pretende "come un cristiano il pane quotidiano". Ma questa sofferenza è in realtà infinitamente più grande: riguarda l'umanità intera, che sogna di veder liberata dal dolore, e tutto il creato, che vorrebbe in armonia con l'uomo. In un crescendo di rabbia, il poeta diventa predicatore, come Gesù sul Calvario, fino alla sfida finale con Dio, che non risparmia all'uomo il tormento e insieme l'unico rimedio, l'amore. Majakovskij comincia con questo poemetto la sua rivoluzione artistica, rinnovando l'idea stessa di poesia con un incalzare di immagini provocatorie: un invito all'immensità e all'audacia, che sbalordisce per la precoce maturità e lo straziante grido di chi "si sente cosmicamente non amato".




Da La nuvola in calzoni

Prologo

La vostra mente,
sognante sul cervello rammollito,
come grasso lacché sopra un unto divano,
io provocherò contro un pezzo di cuore insanguinato;
a sazietà befferò mordace e villano.
Nell’anima non ho un solo bianco capello,
e la decrepita dolcezza è assente!
Stordito il mondo con la forza del mio canto,
vado – bello,
ventiduenne.
O teneri!
Voi l’amore sui violini ponete.
L’amore sui timpani pone un buzzurro.
E come me, rovesciarvi non potete,
per diventare labbra sole e soltanto.
Vieni ad imparare –
da un salotto di batista,
impiegata-modello d’una angelica lega.
Che le labbra sfogli tranquilla,
come una cuoca il libro di cucina.
Se volete –
sarò furioso di carne
- e, come il cielo, mutando i toni –
se volete –
sarò perfettamente tenero,
non uomo, ma – nuvola in calzoni!
Non credo a una Nizza floreale!
Da me di nuovo sono celebrati
gli uomini giaciuti, come un ospedale,
e le donne, come proverbi logorati.


Vladimir Majakovskij (1893-1930)



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