02 febbraio 2015

FRANCO VENTURI TRA POLITICA E STORIA



Franco Venturi (1914-1994) fu un grande studioso del Settecento. Nelle sue ricerche egli portò lo stesso rigore che lo aveva contrassegnato nella cospirazione antifascista e nella Resistenza. Un libro ne ricostruisce vita e opera.

Massimo Firpo

Nel nome della democrazia

Militante antifascista e studioso del Settecento e del socialismo premarxista russo: la parabola umana e scientifica dello storico ricostruita da Adriano Viarengo attraverso carte d’archivio
Settecento riformatore è il titolo della più celebre opera di Franco Venturi, pubblicata tra il 1969 e il 1990, in 5 volumi e 7 tomi, per un totale di oltre 4mila pagine: opera peraltro rimasta incompiuta a causa della morte del grande storico romano di nascita e torinese d’elezione, scomparso ottantenne nel 1994.
In essa era confluito il lungo, intenso, appassionato studio dell’età dei Lumi che lo aveva portato a diventare «uno dei più grandi storici del suo secolo», come ebbe a scrivere Bronislaw Baczko. Uno studio che era cominciato sin dagli anni universitari a Parigi con gli importanti libri su La jeunesse de Diderot (de 1713 à 1753) (1939) e Dalmazzo Francesco Vasco (1732-1794) (1940), quest’ultimo nato come tesi di laurea, che poté tuttavia essere discussa alla Sorbona solo nel ’46, a guerra finita.
Figlio e nipote di due grandi storici dell’arte quali Lionello e Adolfo Venturi, infatti, all’inizio del ’32 – dopo aver sperimentato per qualche giorno le carceri fasciste – il giovane Franco aveva dovuto seguire nell’esilio francese suo padre, privato della cattedra torinese per il rifiuto di giurare fedeltà al regime mussoliniano. Qui si era subito legato a Giustizia e Libertà, ai fratelli Rosselli, a Gaetano Salvemini, e aveva rinsaldato una duratura amicizia con Aldo Garosci, che si sarebbe via via allargata ad altri esponenti della lotta antifascista, fino all’occupazione nazista della Francia nel 1940.
Il fallimento del tentativo di passare in Spagna per poi raggiungere la famiglia negli Stati Uniti portò l’ancor giovanissimo studioso in una terribile galera franchista (ricordo di averlo sentito evocare la straordinaria astuzia dei pidocchi spagnoli, capaci di superare ogni difesa degli sventurati prigionieri). Consegnato alla polizia italiana, riuscì a evitare il tribunale speciale, ma fu mandato al confino in Lucania per oltre due anni, fino al crollo del Fascismo, quando non tardò ad assumere un ruolo politico di primissimo piano dapprima a Roma e poi in Piemonte nella lotta di liberazione, a fianco di personaggi che sarebbero stati i suoi amici più cari, come Giorgio Agosti, Sandro Galante Garrone, Vittorio Foa.
Franco Venturi
Subito diventato con Leo Valiani la testa pensante dell’azione giellista e poi del Partito d’azione, fu un protagonista della Resistenza in Piemonte con il nome partigiano di Nada (in ricordo della desolazione carceraria spagnola), un instancabile organizzatore della stampa clandestina, un inesauribile animatore e ideologo del movimento e del suo impegno per una rivoluzione democratica.

Fu dunque nel cuore di una stagione drammatica, quella del dilagare del nazifascismo e poi degli orrori della guerra, che Franco Venturi sviluppò le sue prime ricerche, nutrite di fameliche letture anche nelle condizioni di vita più difficili, al punto di essere criticato come uno che talvolta «pensava solo a studiare e dimenticava che allora c’era da fare una rivoluzione».
In realtà furono anni di cortocircuito permanente tra azione antifascista e riflessione storica, tra studio del passato e progettualità politica, sempre all’insegna di una cultura militante, che lo portò sin dal primo momento a concentrare le sue ricerche sul Settecento, sulle origini delle moderne idee di democrazia, libertà e socialismo per le quali combatteva e che proprio in quei decenni sembravano conoscere un’irrimediabile frattura.
Un Settecento europeo, cosmopolita, esteso dalle Americhe alla Russia, animato da contraddittorie ma feconde tensioni utopistiche e riformatrici (Utopia e riforma nell’Illuminismo sarà il titolo di un suo densissimo libro, frutto dalle Trevelyan lectures di Cambridge nel 1969), sfociato infine nella crisi rivoluzionaria dell’Antico Regime.

Alquanto controvoglia nel 1950 Venturi sarebbe infine salito su una cattedra universitaria (a Cagliari, a Genova e infine dal ’57 a Torino), dopo essere stato per oltre due anni, tra il ’47 e il ’49 a Mosca, voluto da Manlio Brosio come addetto culturale dell’ambasciata, dove non tardò a sperimentare la difficoltà di allacciare autentici rapporti culturali con l’intelligencji a sovietica nel cupo tramonto dello stalinismo. Ma qui poté dedicarsi allo studio del socialismo premarxista in Russia, dai decabristi ai populisti, che la vittoria del bolscevismo aveva di fatto cancellato dalla memoria storica della rivoluzione.
Ne sarebbe scaturito il grande libro sul Populismo russo, edito nel ’52, che avrebbe assicurato all’autore una fama internazionale e lo avrebbe portato a tenere corsi e lezioni nelle maggiori sedi universitarie del mondo e a inaugurare un nuovo cantiere di lavoro in cui l’indagine storica si intrecciava con la difesa della libertà anche attraverso una fitta rete di relazioni personali. Alcuni dei suoi numerosi saggi sulla storia presovietica sarebbero stati raccolti nel 1982 in un volume dal significativo titolo di Studies in free Russia.

Il delicato passaggio dalla lotta antifascista all’Italia democristiana, l’Italia dei «preti», come usava dire, e il rapido esaurimento politico del Partito d’azione consentirono dunque a Venturi di tornare alla storia, di dedicare tutto il suo tempo agli studi, affiancati peraltro dall’intensa collaborazione con la casa editrice Einaudi (interrotta a causa della sua risentita presa di distanze dalla “contestazione” sessantottina) e dalla direzione della «Rivista storica italiana», trasmessagli da Federico Chabod nel 1959.
Studi ancora di ambito francese in un primo tempo – Le origini dell’Encyclopédie (1946), L’antichità svelata e l’idea di progresso in Nicolas-Antoine Boulanger (1947), Jean Jaurés e altri storici della Rivoluzione francese (1948) – ma poi concentratisi sul Settecento italiano, a cominciare dalla monografia su Alberto Radicati di Passerano (1954) e dalla ricchissima edizione di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1965), fino al tenace lavoro di scavo confluito nei volumi dedicati agli illuministi della Letteratura italiana edita da Ricciardi. Ne sarebbe infine scaturita la grande sintesi ricordata in apertura, tutta fondata sul ruolo degli intellettuali e del loro impegno politico, della loro continua mediazione tra progetto e realtà, tra idee e azione.

Una vita coraggiosa, intensa, feconda, quella di Franco Venturi, e un lascito storiografico di cui permane viva la vitalità, la passione politica, la vigorosa energia – usando una parola a lui cara – con cui fu progettato e realizzato un programma di ricerche di straordinario spessore. Le solide e nitide pagine di Adriano Viarengo, per la prima volta basate sulle carte conservate nel ricchissimo archivio privato, ricostruiscono con chiarezza origini, contesti e sviluppi del percorso biografico e intellettuale di un protagonista della cultura italiana del secolo scorso.
Per parte mia, molto sommessamente, considero un privilegio esserne stato allievo e aver potuto fruire da vicino di quell’affascinante intreccio di intelligenza, sapere, esperienza politica, robustezza di carattere, rigore morale che contrassegnavano il lucido e partecipe sguardo sul presente e sul passato di un uomo che anche nel settembre del 1940, intrappolato nella Francia invasa dai nazisti, non esitava a dirsi «plein d’espoir et de certitude».

il Sole 24 ore – 1 febbraio 2015

Adriano Viarengo
Franco Venturi, politica e storia nel Novecento
Carocci, 2014
25,50

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