03 gennaio 2016

L' IMPERO VIRTUALE SECONDO RENATO CURCIO


«L’impero virtuale» di Renato Curcio per Sensibili alle foglie, Una lucida analisi dei meccanismi della rete. 
Alessandro Barile

Un decalogo in quattro punti per gli apprendisti stregoni dell’immaginario
«La materia più preziosa al mondo non è il petrolio, né l’oro e neppure l’energia. No, più prezioso di ogni altra cosa, come aveva già intuito il Papato ai tempi delle prime Crociate, è l’anima degli umani, il loro immaginario. L’impero virtuale non è che la storia recente di questa appropriazione». Renato Curcio, attraverso questa breve ricerca sociologica (L’impero virtuale, Sensibili alle foglie, 15 euro), punta a demolire punto per punto alcuni dei miti e stereotipi legati alla Rete, alla sua presunta orizzontalità, trasparenza e «sociabilità», che da diversi anni operano una vera e propria colonizzazione dell’immaginario volta al controllo sociale.
La novità epocale di questa colonizzazione è che se storicamente si presenta in opposizione alle popolazioni colonizzate, conquistate ma non pacificate, oggi avviene con l’esplicito consenso delle stesse popolazioni, protagoniste di un processo di sottomissione volontaria a forme di controllo sociale invasive e restrittive, che stanno progressivamente riducendo il concetto di libertà, anche intesa in senso liberale.
La Rete è tutto fuorché un territorio neutro e orizzontale dove a primeggiare sono le competenze e lo scambio sociale. Al contrario, è un mercato dominato da poche grandi aziende private che ne determinano gli stili, le potenzialità, i margini di libertà, i profitti e i limiti: in altre parole, questa aziende definiscono quell’immaginario successivamente moltiplicato dall’adesione volontaria della popolazione subalterna.
Facebook, Twitter, Google e Amazon. Nessun altro mercato vede una concentrazione così elevata di potere, profitto e capacità di orientamento delle scelte individuali e collettive della popolazione. E questo perché tali aziende hanno attivato quattro dispositivi di attrazione: il mito della trasparenza; la realtà aumentata; l’espansione della sociabilità; l’attrazione della gratuità. Quattro miti, appunto, non corrispondenti alla realtà dei fatti ma veicolati ideologicamente in ogni contesto in cui prende forma il nostro immaginario sociale. Quattro dispositivi capaci di attivare una forma di controllo sociale preventivo in grado di ribaltare il modello panottico di Jeremy Bentham: se questi aveva progettato il modello in modo che i controllati, sapendo di essere sorvegliati, si auto-censurassero, il «panottico digitale» è fatto in modo che i controllati ignorino in che misura sono controllati, in modo che si espongano inconsapevolmente a eventuali punizioni. All’autocensura si è andata sostituendo l’illusione di libertà.
Ma non è solo il controllo sociale il risultato finale del processo di colonizzazione dell’immaginario. Ben più concretamente, Internet e l’ideologia della Rete hanno costruito nel tempo la nuova figura del lavoratore-consumatore, soggetto che opera volontariamente per un’azienda produttiva senza percepire alcun salario, che produce con il suo lavoro valore, ma lo fa gratuitamente, volontariamente, e nella maggior parte dei casi senza neppure esserne consapevole.
Una nuova forma di lavoro gratuito prodotto dalla sudditanza culturale a forme di colonizzazione per lo più inconsapevoli, e che infatti vengono riprodotte e reiterate anche da chi politicamente vorrebbe combatterle. La soluzione non è però quella di rifiutare il piano dell’evoluzione tecnologica. Si tratta, leggendo le conclusioni a cui giunge Curcio, di operare una decolonizzazione dell’immaginario attraverso una diversa idea di società, a cui inevitabilmente corrisponderebbe una diversa idea di Rete e di sfruttamento delle risorse tecnologiche. Un processo sia individuale che politico, che passa dallo smascheramento e della demolizione costante dei falsi miti di cui si compone il racconto mediatizzato della rete e delle sue presunte virtù progressive.

Il manifesto – 30 dicembre 2015

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