Domenicani a Palermo, otto secoli di potere
Amelia Crisantino
L’arrivo nell’Isola nel 1217, l’espansione in tutte le provincie e
l’apertura di oltre sessanta conventi: ombre e luci dei frati che
rappresentarono il volto più feroce dell’Inquisizione
In Sicilia l’Ordine domenicano scrive un importante capitolo della sua
lunga storia, che proprio quest’anno celebra l’ottavo centenario dalla
fondazione. È il castigliano Domenico di Guzmán a costituire il nuovo Ordine: è
il 1215, i tempi sono accelerati. Nel 1216 arriva l’approvazione di papa Onorio
III e appena un anno dopo i domenicani sono a Palermo, dove vengono ospitati
dai frati dell’Ordine teutonico della Magione. Nell’agosto del 1221, quando
Domenico muore, i suoi confratelli hanno una sede a Palermo, a Messina e a
Siracusa; presto si aggiungono Piazza Armerina, Catania, Augusta e Trapani. Nel
1304 il francese Bernard de Guy conta oltre sessanta conventi, e accanto a ogni
convento è stata aperta una scuola.
L’Ordine domenicano ha il preciso compito di opporsi alle eresie,
soprattutto le intransigenti dottrine dei Catari, combattendole sul loro stesso
terreno: viene per questo scelto un modello di vita povera, in tutto dipendente
dalle offerte dei fedeli, dedicata allo studio. Sullo sfondo lottano papato e
impero, mentre il popolo dei fedeli sente l’esigenza di un ritorno alle origini
evangeliche. La gerarchia ecclesiastica è molto guardinga. Nel 1210 papa
Innocenzo III ha approvato l’Ordine francescano, che però non ha le pretese
dottrinali dei predicatori. Gli inizi sono quindi piuttosto travagliati, poi la
giovane età dell’imperatore Federico II consente ai domenicani di diffondersi
per l’Europa senza incontrare ostacoli.
Fino al 1239 i Predicatori sono protetti e incoraggiati nella lotta contro
l’eresia: Federico non si oppone nemmeno alla proposta papale di inviare
dei frati domenicani a Lucera, per provare a convertire i musulmani deportati
dalla Sicilia. Quando però, nel 1239, Federico viene per la seconda volta
scomunicato, i Predicatori si trasformano nei più zelanti agenti della campagna
di propaganda papale contro l’imperatore. Vengono per questo costretti ad
abbandonare il Regno.
I frati domenicani tornano in grande favore con la dinastia angioina.
Pare che fosse Carlo d’Angiò – il re contro cui sarebbe scoppiata la rivolta
del Vespro – a ritrovare in Provenza le reliquie di Santa Maria Maddalena, che
secondo una tradizione di stampo esoterico era lì vissuta per trent’anni in
penitenza e contemplazione. Presto la Maddalena sarebbe stata proclamata santa
protettrice dei Domenicani, con una scelta piuttosto originale per i paladini
dell’ortodossia.
Nella lunga storia dei Frati Predicatori i primi decenni sono i più
esaltanti e alla prima generazione appartiene Tommaso d’Aquino, il domenicano
più famoso: è il teologo che compie la sintesi più profonda e completa della
dottrina cattolica, per secoli le sue tesi domineranno incontrastate. Proprio a
san Tommaso è legato un curioso traffico di reliquie verso la Sicilia, non
andato a buon fine ma che molto ci dice sul clima dell’epoca.
Il corpo del sommo teologo era stato smembrato dopo la morte avvenuta nel
1274, nascosto in luoghi tenuti segreti. Il suo valore era enorme. E, nel 1349,
misteriose trattative intercorrono fra Ludovico d’Aragona re di Sicilia e un
certo conte di Piperno, che possedeva la testa e progettava di impadronirsi del
resto del corpo. Re Ludovico era un ottimo acquirente, amico dei Predicatori,
con un gran desiderio di custodire una reliquia tanto potente. Lunghe
trattative coinvolgono anche il padre Provinciale, infine si rinuncia per
difficoltà pratiche: mostrandoci però come, con la sua fitta rete di conventi e
la devozione che si manifesta anche nella reggia, la Provincia domenicana di Sicilia
sia ricca non solo di beni ma anche di fervore. Per tutto il Quattrocento e il
Cinquecento troviamo domenicani in ogni pubblica circostanza: sono i secoli del
loro potere, con il controllo dell’Inquisizione e le tante cariche vicine
alla Corte. Nella capitale, nei pressi delle mura del Cassaro, c’è il monastero
femminile intestato a santa Caterina dove, per tutto il Quattrocento, troviamo
suore provenienti dalla famiglia Abatellis: accanto al monastero c’è l’ospedale
che accoglie non solo malati ma anche poveri, anziani, pellegrini.
La lotta contro l’eresia diventa facilmente ossessione inquisitoria, e non
lascia molto spazio all’indagine conoscitiva. Eppure è un domenicano, Tommaso
Fazello da Sciacca, autore della prima ricerca storico-geografica sulla Sicilia
moderna: nel 1558 pubblica a Palermo il De rebus siculis, ponendosi
come caposcuola ancora rispettato.
Poi vennero tempi meno gloriosi. Arrivarono altri Ordini come i Gesuiti, e
le rivalità furono continue. I Domenicani di Sicilia non sembrarono più tanto
gloriosi, e non sempre venne coltivato l’amore per lo studio: nel 1937, nella
prefazione a La Provincia domenicana di Sicilia, l’autore Matteo Angelo
Coniglione poteva scrivere che nessuno dei tanti eruditi maestri aveva lasciato
uno scritto per tramandare la memoria di sé e del proprio operato. Con grande
fatica Coniglione ricostruisce la serie cronologica di abati, vescovi,
inquisitori e predicatori, ma la storia dei Domenicani di Sicilia conserva
ancora molte sorprese. Dalla metà dell’Ottocento la chiesa
palermitana intitolata a San Domenico accoglie il Pantheon dei siciliani
illustri: solo per fare qualche nome, vi troviamo Francesco Crispi e Giovanni
Corrao, il marchese di Villabianca e Michele Amari, la poetessa Giuseppina
Turrisi Colonna e il chimico Stanislao Cannizzaro, Vincenzo Florio e
Pasquale Calvi. C’è grande abbondanza di patrioti risorgimentali, vale a dire
di accesi anticlericali. Sembra abbastanza. Ma, nella chiesa ricca di opere
d’arte, il reperto più sorprendente si nasconde in un vano di passaggio: è un
affresco datato 1723, incornicia l’ingresso a quella che forse era la
biblioteca del convento ed è un calendario perpetuo. Sommando dati matematici,
astronomici, consuetudini agresti e ricorrenze liturgiche copre un arco
temporale che va dal 1700 al 2192, mentre un motto latino avverte che siamo di
fronte alla “Porta Perpetua del Tempo”.
La Repubblica-Palermo, 29.9.16
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