01 novembre 2016

REMO CESERANI, Il materiale e l'immaginario



Ieri è morto Remo Ceserani. Era uno dei maggiori studiosi italiani di letterature comparate. Ha scritto libri molto importanti, fra cui Raccontare la letteratura (1990); Treni di carta. L’immaginario in ferrovia: l’irruzione del treno nella letteratura moderna (1993); Il fantastico (1996); Raccontare il postmoderno (1997); Guida allo studio della letteratura (1999); L’occhio della Medusa. Fotografia e letteratura (2011). Con Mario Domenichelli e Pino Fasano ha curato per Utet il Dizionario dei temi letterari; insieme a Lidia De Federicis ha scritto un manuale, Il materiale e l’immaginario, che ha innovato profondamente lo studio della letteratura nelle scuole italiane e che ha formato un’intera generazione di studenti.  Questo brano mette insieme due scritti usciti sulla rivista «Aracne», nella rubrica «Messa a fuoco», che Ceserani ha tenuto regolarmente dal 2012 fino a poche settimane fa.

Eclettismo e tolleranza

di Remo Ceserani

Elogio dell’eclettismo
Siamo in un periodo in cui i fondamentalismi stanno invadendo le nostre vite; non solo i fondamentalismi religiosi, ma anche i fondamentalismi del pensiero, gli autoproclamati custodi dei nostri valori, gli autonominati legislatori dei nostri comportamenti e della nostra condotta sociale e morale. I fondamentalisti religiosi sono pericolosi, soprattutto quelli che prendono alla lettera la Bibbia e il Corano in modi spesso grotteschi, ignorando qualsiasi apporto della filologia e della storia su chi ha scritto quei libri: non certo Dio o Allah, ma uomini come noi, abili redattori e manipolatori delle parole pronunciate oralmente da profeti e maestri spesso analfabeti, scribi che le hanno registrate in pagine scritte, gradualmente rese immutabili e canoniche, da riassumere in catechismi, da imparare a memoria.
Ma anche i fondamentalisti del pensiero sono pericolosi. La libertà di parola viene continuamente condizionata dalle arti retoriche della persuasione. La libertà di pensiero stenta a staccarsi dalla parola e a muoversi liberamente fra le esperienze, le emozioni, la materialità della vita.
Siamo in un periodo in cui credo sia doveroso ribellarsi alle filosofie scolastiche rigide e chiuse, al dogmatismo degli uni e al pragmatismo degli altri, alle costruzioni misticheggianti della tradizione neo-platonica, ai sogni ingenui dello storicismo, alle sentenze oracolari di Heidegger, ai tanti cattivi maestri. E credo sia consigliabile andare a rileggersi la voce Eclettismo scritta da Denis Diderot per l’Encyclopédie: «L’eclettico è un philosophe che, calpestando il pregiudizio, la tradizione, l’antichità, il consenso universale, l’autorità, insomma tutto ciò che soggioga l’animo del volgo, osa pensare con la propria testa, risalire ai princìpi generali più chiari, esaminarli, discuterli, astenendosi dall’ammettere alcunché senza la prova dell’esperienza e della ragione; che, dopo aver vagliato tutte le filosofie in modo spregiudicato e imparziale, osa farsene una propria, privata e domestica; dico ‘una filosofia privata e domestica’, perché l’eclettico ambisce a essere non tanto il precettore quanto il discepolo del genere umano, a riformare non tanto gli altri quanto se stesso, non tanto a insegnare quanto a conoscere il vero».
Mi piace molto questa formulazione: essere non tanto precettori quanto discepoli. Via quindi i cattivi  maestri, gli imam e i predicatori dal pulpito, gli editorialisti della domenica. E imparare da cosa? Lo dice ancora Diderot: l’eclettico «non è uomo che pianti o semini; è uomo che raccoglie e setaccia». Bella anche questa immagine del setaccio, lo strumento dell’agricoltore e della casalinga, che serve a scegliere pazientemente il grano dal loglio, l’utile dal dannoso.
Diderot dà un altro saggio consiglio: viaggiare, conoscere il mondo, non stare chiusi nella torre d’avorio (o dentro le parole del libro pericolosamente proclamato «sacro»): «Per formare il suo sistema, Pitagora mise assieme i contributi dei teologi egiziani, dei gimnosofisti indianidegli artisti fenici, dei filosofi greci. Platone si arricchì con le spoglie di Socrate, di Eraclito e di Anassagora; Zenone saccheggiò il pitagorismo, il platonismo, l’eraclitismo, il cinismo: tutti intrapresero lunghi viaggi: e qual era lo scopo di tali viaggi, se non quello di interrogare i popoli più vari, raccogliere le verità sparse sulla terra, e tornare in patria ricolmi della saggezza di tutte le nazioni?»
Ecco il destino dell’eclettico: «Come è quasi impossibile, per un uomo che viaggi in molti paesi e si imbatta in molte religioni, non vacillare nei propri sentimenti religiosi, è altrettanto difficile per un uomo saggio, che frequenta molte scuole di filosofia, legarsi esclusivamente a una setta, e non scivolare nell’eclettismo o nello scetticismo».
Certo, lo scetticismo è un’attrazione forte, una sirena al cui canto è facilissimo cedere. Ma l’eclettismo ha qualcosa di più: una ricerca continua fra libri e esperienze, fra idee e stimoli, un viaggiare ininterrotto e avventuroso fra impressioni e riflessioni degli altri viaggiatori, ignorando le piste già tracciate e segnate e le guide turistiche, setacciando le espressioni del libero pensiero.
Per questo, nei giorni della violenza fondamentalista, è bello e giusto fare l’elogio dell’eclettismo.

Tolleranza e intolleranza
 Si sente spesso dire che le tre grandi religioni monoteiste hanno in comune, oltre a molti elementi storici e teologici, una generale concezione dell’uomo con effetti positivi sui nostri comportamenti e sui nostri atteggiamenti morali.
Questo è in gran parte vero e spiega perché molti pensatori abbiano potuto di volta in volta dichiarare che le nostre comuni radici affondano, oltre che nella cultura classica greco-latina, in quella ebraica, in quella cristiana e in quella araba. C’è per esempio, un’importante convergenza fra l’antico testamento, il nuovo testamento e la tradizione hāditha dei detti di Maometto, che consente di mettere una a fianco dell’altra le citazioni dal Levitico (19.18) «ama il prossimo tuo come te stesso»; quelle del Vangelo «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Marco 12,31 e simile negli altri sinottici); «Chiunque vuole sfuggire dal fuoco [dell’inferno] ed entrare nel Paradiso dovrebbe trattare gli altri come desidera di essere egli stesso trattato» (Sahih 20-4546).
È giusto e inevitabile, però, ricordare anche che in tutte le tradizioni religiose, e nei libri «sacri» che esse ci hanno tramandato, vi sono non pochi elementi che derivano da concezioni della vita e dei rapporti sociali dei popoli che le hanno espresse pieni di aggressività, crudeltà, spirito guerresco, istinto di sopraffazione: posizioni storicamente spiegabili ma non più accettabili nel mondo della democrazia, dell’illuminismo, della solidarietà fra popoli e Stati, delle Nazioni unite, delle sacrosante battaglie per l’habeas corpus e contro la pena di morte. Si veda, per esempio, una frase come la seguente che si legge nel Corano (9, 6): «Quando siano trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Dio è misericordioso» (dove c’è una curiosa mescolanza fra un Dio misericordioso e certi suoi seguaci che non dimenticano i loro interessi e chiedono ai pentiti di pagare la decima). La frase del Corano va posta accanto alla seguente che si legge nella Bibbia, nel molto aggressivo Libro di Giosuè (6, 21-24): «E quando il popolo udì il suono delle trombe lanciò un gran grido, e le mura crollarono. Il popolo salì nella città, ciascuno diritto davanti a sé, e s’impadronirono della città. Votarono allo sterminio tutto ciò che era nella città, passando a fil di spada uomini, donne, bambini, vecchi, buoi, pecore e asini. […] Poi i figli d’Israele diedero fuoco alla città e a tutto quello che conteneva; presero soltanto l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro, che misero nel tesoro della casa del Signore» (anche qui accanto all’aggressività implacabile che si estende a bambini e animali, non manca la sete dell’oro).
Le due frasi dai libri sacri vanno a loro volta poste accanto all’esortazione al massacro forse pronunciata (secondo la discussa testimonianza del monaco cistercense tedesco Cesario di Heisterbach), ma plausibile nella circostanza, nel corso dell’assalto, durante la crociata contro gli Albigesi, alla cittadina di Béziers nel 1209. La frase sarebbe stata pronunciata nientemeno che dal legato pontificio, l’abate Arnaud Amaury: «Massacrateli tutti, perché il signore conosce i suoi» (anche qui si mescola con l’istinto della ferocia il pregiudizio ideologico e la presunzione che Dio parteggi per uno dei contendenti).
Quanto al posto della donna nella società, in quei libri e in molta della tradizione delle tre religioni si assiste a una paradossale doppia proiezione: da una parte la sublimazione assoluta dell’essere femminile, trasformato nella grande madre, nutrice e al tempo stesso asessuata, addirittura paradossalmente vergine e madre al tempo stesso, dove il Corano (III, 42, 45, 47) ripete a modo suo la scena evangelica dell’Annunciazione: «E quando gli angeli dissero a Maria: – In verità Allah t’ha prescelta e t’ha purificata e t’ha eletta su tutte le donne del creato… – O mio Signore! – rispose Maria – Come avrò mai un figlio se non m’ha toccata alcun uomo? Rispose l’angelo: – Eppure Allah crea ciò ch’Egli vuole: allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: ‘Sii!’ ed essa è»; dall’altra parte c’è la natura minacciosa e pericolosamente sessuata dell’essere femminile discendente da Eva, donna del peccato che va ridotta al silenzio.
Su questo tema ci sono una serie di testi, a cominciare da quelli di san Paolo, ma anche della tradizione gnostica e di quella islamica, la cui autenticità, con tipico atteggiamento colpevole e difensivo, è spesso messa in discussione da esegeti e commentatori. È il caso, per esempio, di due pronunciamenti di Paolo: in I Corinzi 14.34: «Le donne devono restare in silenzio durante gli incontri; devono, anzi, essere sottomesse, come detta la Legge»; e in I Lettera a Timoteo 2, 11-13: «Una donna deve ricevere l’istruzione in modo silenzioso e con piena sottomissione. E non permetto a una donna di insegnare o esercitare autorità sull’uomo; deve invece restare in silenzio. Poiché Adamo è stato creato per primo, non Eva». È possibile che si tratti, come vogliono alcuni commentatori, di frasi non autentiche e interpolate da qualche estremista nei testi dei primi secoli. In ogni caso si tratta di posizioni ideologiche a volte irresponsabili, in ogni caso inaccettabili, che, come quelle sulla guerra, gettano un’ombra su molti seguaci delle tre religioni, soprattutto sui fondamentalisti che prendono alla lettera i testi dettati, secondo alcuni di loro, direttamente da Javeh o da Allah.

1 commento:

  1. Simona Maggiorelli: grandissimo, non solo come critico e studioso...

    Giovanna D'angelo: "il materiale e l'immaginario" è stato uno splendido ed innovativo manuale di letteratura. un piacere studiarlo

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