02 marzo 2018

LE LETTERE DI GRAMSCI AI SUOI FIGLI SONO DIVENTATE UN LIBRO

I figli di Gramsci con la madre

       Gramsci riuscì a conoscere solo il suo primo figlio, Delio, prima d'essere illegalmente (in quanto al momento dell'arresto godeva ancora dell'immunità parlamentare) rinchiuso in carcere dal regime fascista. Il suo secondo figlio, Giuliano, non fece neppure in tempo a vederlo nascere. Eppure, dal carcere, con questi due figlioli, fino al giorno della sua prematura morte (aveva appena 46 anni!), riuscì a stabilire un contatto epistolare esemplare.
       Queste lettere  sono state raccolte più volte  in volume. In libreria potete trovarne una edizione nuova «L’albero del riccio e altre fiabe della buonanotte», un'opera che nasce dalla collaborazione tra due case editrici, Icaria editorial di Barcellona e Abbà di Cagliari. (fv)

Marina Turi

Le favole di Gramsci tra Spagna e Sardegna

Ricci che fanno la raccolta delle mele, gazze, donnole, tartarughe, secchielli con pesciolini dentro, corvi e gufi in battaglia per la proprietà di un boschetto, volpi furbissime alle prese con puledrini indifesi. Il gioco della dama, la libertà nel disegno, la scuola e i figli che crescono e diventano giovanetti, il ballo delle lepri e la storia del cavallino che aveva la coda solo nei giorni di festa. Sono alcuni dei temi trattati ne L’albero del riccio e altre fiabe della buonanotte, titolo in italiano dei quattro volumetti che raccolgono una selezione di fiabe scritte e spedite per lettera, dal carcere fascista, da Antonio Gramsci, detenuto matricola 7047, ai figli Delio e Giuliano. 

Storie che affrontano, con leggerezza, le cose dei grandi e della vita, sono pensieri da dietro le sbarre ed è questo a renderli speciali e, a differenza delle fiabe a cui siamo abituati, non sempre c’è un lieto fine. Leggerle è anche un po’ curiosare nella vita meno conosciuta di Gramsci, per scoprire un suo lato intimista e qualche reperto della sua infanzia in Sardegna.

    Le 4 edizioni

Nelle librerie italiane e spagnole, in quattro edizioni, italiano, castigliano, catalano e sardo, perché l’opera nasce dalla collaborazione tra due case editrici, Icaria editorial di Barcellona e Abbà di Cagliari. L’edizione spagnola e catalana è presentata da Rosa Regàs, scrittrice, l’edizione italiana è firmata da Mauro Pala, ordinario di letture comparate. Le traduzioni in spagnolo e catalano sono a cura di Marcello Belotti, da anni trapiantato in catalogna e da sempre innamorato di Gramsci, quella in sardo è di Pepe Coròngiu, esperto di politiche linguistiche. 

Ogni racconto e ogni lettera è elegantemente illustrato dalla mano di Claudio Stassi, disegnatore per la Bonelli editore. E forse questa delle quattro edizioni in quattro lingue è una trovata editoriale insolita con la pretesa di favorire il dialogo tra idiomi e popoli diversi, seppure vicini. È una idea che irrompe nella scena spagnola di oggi divisa sulla questione catalana, ancora irrisolta, in un momento politico in cui il partito delle destre al governo sostiene che i bambini catalani hanno serie lacune nel buon uso semantico del castigliano.



Mischiate alla favole ci sono le brevissime e intense lettere per i figli che vivono in Russia con la madre Julka Schucht, violinista moglie di Gramsci.

Chiede a Giuliano, che non conoscerà mai, le impressioni sul mare che il figlio ha visto per la prima volta. Domanda dei granchi, si informa se ha imparato a nuotare. In un’altra lettera si lamenta con Delio della propria vita tra le sbarre, che «trascorre monotona, ma in modo soddisfacente per la salute» e si rammarica con lui di non poter essere loro vicino, di «non poterli aiutare nel loro lavoro per la scuola e per la vita». Poi si raccomanda con Giuliano di disegnare come vuole, «per ridere e per divertirsi e non seriamente, come se facessi un compito che non ti piace». Cerca di condividere con loro il suo desiderio di genitorialità, la voglia di esserci, una attenzione protettiva e amorevole, così sensibile alla dimensione della fiaba.

il manifesto – 1 marzo 2018

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