BORGES,
IL BIBLIOTECARIO MERAVIGLIOSO
IL BIBLIOTECARIO MERAVIGLIOSO
Jorge Luis Borges, il bibliotecario meraviglioso, uno dei maggiori scrittori contemporanei, cieco come Omero (come per i massimi compositori è destino essere sordi), compie ottant’anni. Ti parla all’orecchio, è un assiduo bisbiglio, un parlar piano, ti tiene la mano (è il suo modo di conoscerti), mentre con l’altra prendi appunti sul notes.
Nelle pause sorseggia caffè e mangia biscotti e confetture sul tavolino inglese di mogano. Poi congiunge le mani, lo sguardo vano, in questa sua ombra senza ore. Ti ringrazia per l’“oscuro viaggio” (come chiama l’intervista), con una voce che prega e dispera. È una citazione di fonti e di poeti.
Una parabola continua attorno all’opera. Una vita privata ridotta al dieci per cento. Una sorta di scissione multipla della personalità.
“A quale tipo di letteratura apparteniamo”, dice, “io che ti parlo e tu che mi ascolti: romanzo realista o racconto fantastico?”. Sta con te delle ore, mai che ti dica che è stanco, e che ha da fare qualcosa di utile. Borges inizia poi la dettatura del proprio lavoro. Ha dei collaboratori che gli fanno la lettura, ai quali detta appunti in poesia o in prosa.
La fedele Maria Ester Vàsquez rilegge a Borges delle brevi frasi, scandisce la punteggiatura. Borges suggerisce una diversa posizione delle parole, detta altri appunti, nuova rilettura della Vàsquez, due o tre volte, altre correzioni di Borges, e così di seguito.
Scrittore del fantastico puro, del fantastico meraviglioso, il suo gioco narrativo ricorda la partita di scacchi: la duplicità di ogni figura, la complicazione degli spostamenti, la simmetria che si contorce in storia, le leggi rigorose ma anche arbitrarie della narrazione… Per cui autore e lettore si rimandano infinitamente le loro immagini riflesse…
I termini più frequenti nel lessico di Borges: labirinto, specchio, simbolo, congettura, metafora, caos, caso, segno, incubo, regressione, tempo, giardino, opposti, teoria.
*
Lei è nato esattamente in questi giorni, il 24 agosto 1899… Esprime qualche desiderio?
Vorrei un po’ di quiete, una serenità che
mi manca… Vorrei fare un viaggio a Ginevra. In Europa tutto è più
delicato, sfumato… Avevo studiato nella scuola di Calvino, all’età di
dodici o tredici anni: a Ginevra sono stato molto felice. Ma diceva
Proust che, quando si ha nostalgia di un luogo, in realtà si rimpiange
il periodo che corrisponde a quel luogo: non si rimpiangono i luoghi, ma
i tempi…
E poi, anche all’età di 80 anni, si vive aspettando un’altra persona, anche se è un’età in cui si sa che tale attesa è vana… E’ questa un’età in cui si rimane stupiti di trovarsi ancora in vita. Per quanto mia madre è morta a 99 anni…
Chi è Borges raccontato dallo stesso Borges?E poi, anche all’età di 80 anni, si vive aspettando un’altra persona, anche se è un’età in cui si sa che tale attesa è vana… E’ questa un’età in cui si rimane stupiti di trovarsi ancora in vita. Per quanto mia madre è morta a 99 anni…
… All’altro, a Borges, accadono le cose.
Ho notizie di lui attraverso la posta, e mi dicono che il suo nome è nei
dizionari biografici. Negli elenchi dei telefoni di Lisbona, il nome
Borges è molto comune: l’equivalente di Rossi in Italia, di Lopez in
Argentina. Ritengo con Chaucer che la scoperta del cavallo sia la più
nobile conquista dell’uomo: ma è una pura metafora. Amo tanto il sapore
del caffè. Mi piacciono le clessidre, le mappe, le antiche carte
geografiche. Alcune pagine non possono salvarmi, perché è letteratura
solo il linguaggio e la tradizione universale. E con Plotino, dico: “…
tutto sta in tutte le parti, qualsiasi cosa è tutte le cose, il sole è
tutte le stelle, e ogni stella è tutte le stelle e il sole…”.
Nell’universo (anche letterario) ognuno è tutti, ed è inutile affermare
una identità particolare… Così anche la mia vita è fuga, e tutto
appartiene solo all’oblio…
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo dei temi dal contenuto
decisamente tragico… Poi dei viaggi, un breve soggiorno a Parigi, delle
conferenze… Ho terminato un libro di racconti intitolato La memoria di
Shakespeare, quindi un volume di poesie di cui non so ancora il titolo…
Forse mi occuperò di Emanuel Swedenborg, per dare un’idea del mondo di
“visioni” in cui viveva questo mistico del Nord. Uscirà in autunno un
libro curato da me, Las Ruinas y Desastres, con testi a punto
sulle Rovine: la distruzione di Troia, l’incendio di Lione, il terremoto
di Gerusalemme, la distruzione di Pompei, l’incendio di Londra, le
città di Kunyang e Tu Fu (dinastia Jung) e Lin Techo (dinastia Yang),
Roma sepolta sotto le rovine, la città di bronzo dalle Mille e una
notte, le città di Dio… E in questa raccolta una mia poesia ancora
inedita sulla Biblioteca di Alessandria: “Da che vide la notte il
primo Adamo, / e il giorno, e la figura della mano, / favolarono gli
uomini e fissarono / su pietra o su metallo o pergamena / quanto cinge
la terra o plasma il sogno. / Ecco l’opera lor: la Biblioteca. / Dicono
che i volumi ch’essa abbraccia / vadano oltre il numero degli astri / o
della sabbia del deserto”.
Quando sogna, puntualizza…
… naturalmente… Quando sogno, non sono
più cieco. Vedo paesaggi, figure umane, animali. Riesco a leggere interi
libri. Vedo distintamente coloro che ho finito di percepire da più di
venti anni… Per questo sogno assiduamente.
Borges, scrittore di letteratura fantastica, dicono i biografi. Che cos’è per lei la letteratura fantastica?
C’è in tutto il paese una sola terra
sognata, direbbe Swift. Ci sono fiumi che attraversano il cielo in certi
paesi atlantici. Ci sono interi territori scomparsi. Scrittore
fantastico era Stevenson, che moriva su un’isola del Pacifico e “cantava
come canta un uccello nella pioggia”. Le Mille e una notte,
Hoffmann, Blake, Poe, Carlyle, Kafka, Wells, Chesterton, si impongono di
volta in volta nella letteratura fantastica per la stranezza immediata,
la concisione della storia, i rapidi giochi della memoria, le stravolte
simmetrie. E’ una forma di felicità e come tale non passibile di
giudizio. Ma la letteratura in fondo è solo fantastica. Il realismo è
una eresia del nostro tempo…
Perché è della opinione che il tempo passato è migliore del presente?
Per essere un poeta, non bisogna avere
date. Se pensate di giudicare un libro storicamente, errate; non va.
Perché un buon libro è più reale del nostro entourage contemporaneo. Con
le date si diventa degli storici, o peggio dei giornalisti. Bisogna
invece leggere gli antichi. Ricordo quasi esclusivamente le pagine degli
antichi. Anch’io provo a dire: “Scrivo per l’antichità”. Guardate il
vostro Montale, poeta dell’antica bellezza, di una tradizione tutta
orientale: un poeta senza date, né epoca.
Quale è la biblioteca ideale per Borges? Il libro dei libri?
La Bibbia è il libro dei libri. Aggiungo
che non sono cattolico, e neppure cristiano. Ho letto la Divina
Commedia. Tuttavia non condivido la teologia che ispirò il poema
dantesco. Non ho opinioni metafisiche, religiose o morali. Semmai, me ne
sono servito per fini letterari. La mia è solo una opinione estetica. A
Buenos Aires, l’anno scorso, mi avevano detto di scegliere un tema per
la conferenza. Scelsi la Divina Commedia. L’italiano lo capisco, anzi lo
leggevo, ma non saprei parlarlo, né comprenderlo, se parlano svelto.
Non teme l’accusa di oscurità riferita alla sua opera?
Se sono oscuro, chiedo perdono: lo sono
per la limitatezza dei miei mezzi. E mi nascondo dietro le metafore. La
metafora è l’elemento essenziale del mio lavoro.
Veniamo ai suoi temi ricorrenti; il motivo del labirinto, per esempio…
Ho parlato sempre di un romanzo o racconto che diviene un labirinto. Nome greco, poi latino: labyrinthus.
Forse inizialmente gallerie nelle miniere. Stava a indicare una rete di
passaggi, atta a confondere, in un edificio; un intrico di vie, in un
giardino. Da qui, per esempio, i miei racconti Il giardino dei sentieri che si biforcano e La casa di Asterione,
che poi era il Minotauro. Ogni labirinto ha una scrittura segreta:
esiste una cifra o metodo di decrittazione. Così i labirinti di Creta, e
poi la fioritura labirintica nei giardini del Medioevo. William Blake,
poeta “visionario”, esplorò questo tema. Il vostro Piranesi nelle
Carceri d’Invenzione e nel suo Colosseo tracciava i camminamenti del
disegno labirintico.
… Il sistema della perplessità, altro tema fondamentale nella sua narrativa…
… Non è un sistema letterario. È uno
stato d’animo autentico. Per me, il mondo è un’inesauribile fonte di
sorprese, di perplessità, anche di sconfitte e, qualche volta, di
felicità. Non ho nessuna teoria del mondo. Il mio è un anarchismo alla
Spencer. Vorrei che ci fosse un minimo di governo che non si notasse
neanche…
E ancora il tema ricorrente di Buenos Aires,… il ritorno nei suoi discorsi ad Androgué, villaggio delle sue vacanze, da piccolo…
Intorno a Buenos Aires si cristallizzano i
miei innumerevoli ricordi. Ma ho sempre avuto il sospetto che le mie
parole potessero un giorno essere controllate. La Buenos Aires dei miei
libri non è la città attuale, ma quella della mia infanzia, o anteriore
alla mia infanzia. In genere, la mia Buenos Aires è un po’ vaga, e si
situa attorno al 1890. Così nessuno potrà mai andare a verificare. E,
dal momento che la memoria è selettiva (come sostiene Bergson), sembra
si possa lavorare meglio con i ricordi, anziché col presente che ci
opprime e ci molesta.
Quanto ad Androgué, era un villaggio del sud, con un hotel di stile italiano, fontane, giardini a terrazza, molti alberi. Amavo quel luogo tranquillo, e il suo letargo d’estate. Costruito come una cittadella, e all’interno come uno scacchiere: una decina di piazze e molte strade rettilinee che si incrociavano. Già allora quella congiunzione di vie mi dava l’impressione di un labirinto. Così il labirinto mi si impose. E da bambino, se tutte le vie erano state già percorse, voleva dire che quella parte del labirinto era stata già visitata, e bisognava rifare la strada, tornando per il cammino d’arrivo…
Avevamo una casa bassa, col giardino, due bersò, un mulino a vento, attorno altre case basse, e tutto era percorso dall’odore degli eucalipti. Mio padre mi indicava la pampa, una macchia di verde all’orizzonte. In casa avevamo un grande armadio di mogano, forse inglese, con degli specchi… Mi avvicinavo e mi vedevo triplicato, e avevo paura che quelle immagini non corrispondessero a me. Sentivo come doveva essere tremendo ritrovarmi diverso in uno di quegli specchi… A questa vaga paura infantile, si aggiunse poi dalle letture l’idea della pluralità dell’io, la variabilità di noi stessi che diventiamo altri. Insomma, il tema: essere un altro. Idea che ho applicato molte volte nella mia opera. E nel mio libro di racconti, che sta per essere pubblicato anche in Italia, c’è un racconto intitolato El otro, in cui svolgo una variazione di questo tema del resto già noto a Poe, Dostoevskij, Hoffmann, Stevenson…
Quanto ad Androgué, era un villaggio del sud, con un hotel di stile italiano, fontane, giardini a terrazza, molti alberi. Amavo quel luogo tranquillo, e il suo letargo d’estate. Costruito come una cittadella, e all’interno come uno scacchiere: una decina di piazze e molte strade rettilinee che si incrociavano. Già allora quella congiunzione di vie mi dava l’impressione di un labirinto. Così il labirinto mi si impose. E da bambino, se tutte le vie erano state già percorse, voleva dire che quella parte del labirinto era stata già visitata, e bisognava rifare la strada, tornando per il cammino d’arrivo…
Avevamo una casa bassa, col giardino, due bersò, un mulino a vento, attorno altre case basse, e tutto era percorso dall’odore degli eucalipti. Mio padre mi indicava la pampa, una macchia di verde all’orizzonte. In casa avevamo un grande armadio di mogano, forse inglese, con degli specchi… Mi avvicinavo e mi vedevo triplicato, e avevo paura che quelle immagini non corrispondessero a me. Sentivo come doveva essere tremendo ritrovarmi diverso in uno di quegli specchi… A questa vaga paura infantile, si aggiunse poi dalle letture l’idea della pluralità dell’io, la variabilità di noi stessi che diventiamo altri. Insomma, il tema: essere un altro. Idea che ho applicato molte volte nella mia opera. E nel mio libro di racconti, che sta per essere pubblicato anche in Italia, c’è un racconto intitolato El otro, in cui svolgo una variazione di questo tema del resto già noto a Poe, Dostoevskij, Hoffmann, Stevenson…
Mi pare che gli scrittori a lei più congeniali nella letteratura inglese e americana siano Keats e Whitman…
Devo a Keats la rivelazione della poesia.
Mio padre aveva una biblioteca in lingua inglese, molto importante per
me, e ricordo che mi recitava a memoria pagine di Swinburne, Shelley e,
appunto, Keats, d’inesauribile bellezza. Il linguaggio è molto più di un
mezzo di comunicazione: il linguaggio può essere veicolo di passione,
estasi… Questo vale per la poesia inglese, non tanto per quella
francese… Così Keats comprese la lezione del platonismo attraverso il
canto di un usignolo. E quell’uccello canta ancora per me, come molte
volte ha cantato nella letteratura inglese: con Shakespeare, Chaucer,
Milton…
In Whitman, invece, oscuro e povero giornalista, prediligo il pudore del vivere, la difficoltà di esistere. Per altri poeti avviene che noi siamo qui, loro là. Non è il caso di Whitman. Egli diviene tutti i suoi lettori. Noi parliamo con Whitman. E’ un’operazione magica. In Leaves of Grass, con umiltà e tenerezza, il poeta vuole essere tutti gli uomini. E’ un panteismo che coinvolge piante ed acque. E’ pura immaginazione universale. Whitman si confonde e dialoga perfino con l’altro: “Che senti, Walt Whitman?”.
Non amo, invece, la lingua francese. E’ come l’italiano pronunciato da uno che è raffreddato. Nella letteratura francese salverei: “le père” Hugo, Verlaine soprattutto, che è la perfezione della poesia lirica, un poeta della sera, dei rimpianti…
Ho nostalgia, invece, della Germania. Ho letto molto nella lingua tedesca, una lingua non ancora sufficientemente esplorata dalla letteratura universale. Heine, Goethe, Hölderlin, Rilke… Ma ho l’impressione che in questa lingua ci sia qualcosa di meglio, qualcosa di formidabile…
In Whitman, invece, oscuro e povero giornalista, prediligo il pudore del vivere, la difficoltà di esistere. Per altri poeti avviene che noi siamo qui, loro là. Non è il caso di Whitman. Egli diviene tutti i suoi lettori. Noi parliamo con Whitman. E’ un’operazione magica. In Leaves of Grass, con umiltà e tenerezza, il poeta vuole essere tutti gli uomini. E’ un panteismo che coinvolge piante ed acque. E’ pura immaginazione universale. Whitman si confonde e dialoga perfino con l’altro: “Che senti, Walt Whitman?”.
Non amo, invece, la lingua francese. E’ come l’italiano pronunciato da uno che è raffreddato. Nella letteratura francese salverei: “le père” Hugo, Verlaine soprattutto, che è la perfezione della poesia lirica, un poeta della sera, dei rimpianti…
Ho nostalgia, invece, della Germania. Ho letto molto nella lingua tedesca, una lingua non ancora sufficientemente esplorata dalla letteratura universale. Heine, Goethe, Hölderlin, Rilke… Ma ho l’impressione che in questa lingua ci sia qualcosa di meglio, qualcosa di formidabile…
Torniamo agli antichi. Il motivo principale della sua raccolta El Hacedor
è l’invocazione di un mondo interiore. E’ il cosmo di un lucido
sognatore che si confonde con i grandi autori del passato: Omero, Dante,
Cervantes, Shakespeare…
Come per Omero che discende nell’ultima
ombra: — La notte si spopolò delle stelle, la terra era malsicura sotto i
suoi piedi, tutto si allontanava e confondeva. Quando seppe che stava
diventando cieco urlò: “Non vedrò più né il cielo pieno di mitico
timore, né questo volto che gli anni trasformeranno”. Allora discese
nella sua memoria, che gli parve senza fondo, e riuscì a trarre fuori da
quell’abisso vertiginoso il ricordo perduto… –.
Sono un po’ eretico. L’Odissea per me è ben superiore all’Iliade. Sono dalla parte di Enea e dei troiani. Nell’Iliade c’è qualcosa che non mi piace. Ulisse poi è decisamente più simpatico… Sono grato che si parli di Omero, Shakespeare…
Sono un po’ eretico. L’Odissea per me è ben superiore all’Iliade. Sono dalla parte di Enea e dei troiani. Nell’Iliade c’è qualcosa che non mi piace. Ulisse poi è decisamente più simpatico… Sono grato che si parli di Omero, Shakespeare…
Il nome di Shakespeare ricorre spesso nella sua opera, anche nel titolo della sua prossima raccolta di racconti, La memoria di Shakespeare…
Lo amo particolarmente… Shakespeare è
assai meno chiaro dei suoi personaggi. Perché non si pensa a Shakespeare
ma a una folla fantastica… Amleto, Cesare, Macbeth, Giulietta… Fingeva
d’essere qualcuno perché non fosse svelata la propria condizione di
nessuno… In Shakespeare preferisco la sua amicizia alla commedia, come
Dante che dice a Virgilio: “… tu guida, tu maestro… Tu sei solo colui da
cui tolsi lo bello studio che m’ha fatto onore…”.
Quale sua poesia consiglierebbe ai suoi lettori?
Preferirei indicare qualche pagina in prosa, oppure due sonetti su Spinosa. O forse una mia poesia che si intitola La luna…
“… c’è di ferro una selva ove ha dimora / il grande lupo la cui strana
sorte / è assalire la luna e darle morte / quando rosseggi in mar
l’ultima aurora…”.
È opinione diffusa che i suoi racconti siano superiori alle poesie. Un racconto perfetto nella sua brevità è, forse, Emma Zunz, nella raccolta El Aleph…
Scrivo un racconto per liberarmene, per
dimenticarlo, e per passare a qualcosa di meglio. Comunque non amo, anzi
detesto, la vicenda tragica di Emma Zunz. E’ una storia di vendetta,
con una fine molto, molto brutta.
Testo ripreso da https://rebstein.wordpress.com/2018/12/03/borges-il-bibliotecario-meraviglioso/
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