"Tengo a dire che, se sono marxista, questo marxismo è stato da sempre
estremamente critico nei confronti del Pci; ho sempre fatto parte di una
minoranza situata fuori del partito, sin dalla mia prima opera poetica, Le
ceneri di Gramsci. Non ci sono mai stati grandi mutamenti nella mia
polemica con loro. Eppure, fino a quel momento, ero sempre stato un compagno di
strada relativamente ortodosso. Ora, verso il 1965, per vari motivi che ho già
spiegato, esplode la mia crisi personale (…)
Eppure anche a quell’epoca prendevo le distanze dalla contestazione
studentesca che avrebbe reso possibile, alcuni anni dopo, il ritorno degli
schemi ideologici primitivi del marxismo. E quindi mi ritrovavo nella
solitudine più totale, praticamente alla deriva.
Nel 1948, dei comunisti hanno ritenuto giusto di cacciarmi dal partito; ho
dovuto lasciare tutto quello che amavo, la morte nell’anima. Sono stati gli
stessi, dopo, ad aver parlato sull’Unità di Ragazzi di vita in
termini che avevano ben poco da invidiare agli insulti della stampa di destra
tipo Il Borghese, per esempio. (…) Non fu soltanto il realismo (falso o
equivoco, naturalmente) ad essere preso come bersaglio, ma fu il mio cosiddetto
«disprezzo e disamore» per gli uomini (…) Ora mi piacerebbe chiedere a qualcuno
di essi, che oggi di nuovo mi riconoscono non tanto lontano da loro nel mio
rifiuto critico della società borghese, della società consumistica italiana e
della sua classe politica corrotta, mi piacerebbe chiedere loro se era
veramente allora solo una questione di realismo."
Pier Paolo #Pasolini
Intervento, pronunciato all’assemblea di giovani
e intellettuali svoltasi la domenica mattina dell’8 giugno 1975 nel cinema
Jolly a Roma. Il testo è quello pubblicato col titolo “Pasolini: il mio voto al
PCI” sull’Unità il 10 giugno.
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