05 giugno 2024

STORIA DEL CAPOLAVORO DI LEONARDO SCIASCIA

 


Nel 1956 vengono pubblicate Le parrocchie di Regalpetra. Un carteggio di Leonardo Sciascia  con l’editore Vito Laterza svela la genesi travagliata di un affresco sociale popolato da politici mafiosi, pazzi, pastori, aristocratici e contadini.

Tano Gullo
La commedia umana di Regalpetra il paese inventato da Sciascia

Regalpetra non esiste, Racalmuto sì. Ma uomini, donne, bambini e animali che si aggirano per le strade di Regalpetra vengono tutti da Racalmuto. Ma anche dagli altri 390 paesi siciliani. E alcuni da altre parti del mondo. Una sorta di teatro itinerante in cui si aggirano protagonisti e comprimari, vincenti e antieroi, savi e pazzi, con sullo sfondo l’eterna miseria. Ogni personaggio recita con impegno la sua parte, quella che la collettività gli ha cucito addosso e che lui ha contribuito ad affinare nel tempo. Una fitta rete relazionale, più appariscente nei paesi assolati dove la vita di piazza è agevolata dal clima.

È stato Leonardo Sciascia, abile marionettista, a rappresentare questo palpitante universo nel libro Le parrocchie di Regalpetra pubblicato da Vito Laterza 60 anni fa. Una metafisica della Sicilia, che si fa metafora di ogni luogo dove le persone si incontrano e si scontrano. Ora il carteggio 1955-1988 tra Sciascia e Vito Laterza, L’invenzione di Regalpetra, svela la travagliata gestazione del libro. 
Nelle lettere emerge il ruolo chiave dell’editore, che si smarca da mero destinatario di manoscritti, per partecipare all’allestimento del volume. È lui che, dopo aver letto su Nuovi Argomenti le memorie di Sciascia sulla sua attività di maestro a Racalmuto, a suggerirgli di farne un racconto. Ed è lui a dettare correzioni, metodo narrativo e a consigliare di cancellare parole forti o a invitare alla vigilanza su quel gallismo già saccheggiato da Vitaliano Brancati. Chiede all’autore di aggiungere un capitolo sul ruolo dei preti, la cui assenza nella galleria del notabilato strapaesano strideva. E infine, scrive Tullio De Mauro nella prefazione, è proprio lui a inventare il titolo, dopo averne scartati decine suggeriti da Sciascia.

Sciascia, che con umiltà asseconda i suggerimenti di Laterza, negli anni successivi esprimerà la sua gratitudine. Tra loro nasce un’intesa umana e culturale. A leggere le 110 lettere che i due si scambiano in tredici anni affiora il rammarico dell’editore per non poter annoverare a tempo pieno nella sua scuderia il cavallo di razza racalmutese e l’amarezza dello scrittore, che pur eleggendo Laterza a suo editore “naturale”, non riesce a svincolarsi dal contratto capestro con Einaudi, casa editrice che considera una centrale burocratica e dove resiste grazie al suo rapporto di stima con Italo Calvino.

L’epistolario, che è di grande godibilità, offre qualche spaccato di attualità, sia in riferimento ai premi letterari, in cui Sciascia resta sempre all’asciutto, sia sul clima politico: entrambi detestano il ribellismo del Sessantotto, sia per la lettura critica dell’Unità d’Italia, sia per gli esiti elettorali che con loro stupore premiano una corrotta Dc.

Al centro campeggia la storia di Regalpetra, che poi è la storia di Racalmuto, con il dominio selvaggio dei nobili Del Carretto, poi i Borbone, il regime di Mussolini, lo strapotere democristiano. Sul palcoscenico della piazza, delle miniere, delle campagne e dei circoli, i ricchi se la godono, i bambini vengono avviati al lavoro nelle zolfare e dai pastori con contratti di affitto come se fossero oggetti, le donne, “comandiere” tra le mura domestiche, non hanno diritto di parola all’esterno, i fascisti prima e i diccì poi maramaldeggiano e i tipi strani spezzano la noia della immutabile quotidianità. L’emigrazione irrompe con la sua carica eversiva. Porta soldi – poi investiti in case, spesso orribili e abusive – cambia i costumi. La liquidazione delle miniere e delle saline mette in circolo denaro. Gli animali sono sfrattati dalle case, i bambini non vanno più a scuola con le scarpe chiodate, qualche donna indossa i jeans.

A Regalpetra, infine, come dovunque in Sicilia, i matti sono comprimari della commedia umana. E Sciascia si sofferma su alcuni di loro, suddividendoli tra pazzi politici (fascisti fanatici, stalinisti speranzosi, democristiani arruffoni) e civili. Racconta di uno che studia trappole elettroniche per topi e faine e di un altro che ogni anno concorre al premio Nobel con un poema in cui dimostra che la terra non gira.

Anche Elio Vittorini, ne Le città del mondo (pubblicato postumo nel 1969), aveva fatto attraversare da un padre e un figlio la Sicilia in cerca della repubblica perfetta, facendo giostrare personaggi emblematici di un mondo immobile e frenetico nel contempo. Un universo in cui, per movimentarsi la vita, ognuno ha necessità di un nemico esterno che gli fornisca linfa per vivere. E anche questo si può estendere al travagliato mondo dei nostri giorni. Viene in mente un personaggio di un altro paese, tale Biagio che decise di chiamarsi Renato dopo che a suo dire era stato insignito del titolo di re della Nato. Regolarmente teneva il Consiglio delle nazioni sulla scalinata della chiesa, dove ognuno recitava la parte di un capo di Stato, chi della Francia, chi degli Stati Uniti, chi della Libia… Guerra e pace nelle notti stellate si alternavano sui gradini di pietra arenaria. Così lui, padrone del mondo, mise all’indice chi gli aveva usurpato terre e masserie. Anche questo paese era Regalpetra.


La repubblica – 24 ottobre 2016

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