T.S.
Eliot, Four Quartets
Little Gidding, 1942
Non
smetteremo di esplorare
E alla fine di tutto il nostro andare
Saremo al punto di partenza.
Sapremo il luogo per la prima volta
Attraverso l'ignoto, rimemorato cancello
quando l’ultimo lembo di terra da scoprire
è quello che fu il principio,
alla sorgente del fiume più lungo
la voce arcana della cascata.
E i bambini nel melo
Non intesi perché inattesi
Ma uditi, appena uditi, nel silenzio
Del mare tra due onde.
We shall not
cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time.
Through the unknown, remembered gate
When the last of earth left to discover
Is that which was the beginning;
At the source of the longest river
The voice of the hidden waterfall
And the children in the apple-tree
Not known, because not looked for
But heard, half-heard, in the stillness
Between two waves of the sea.
Questi splendidi versi sono tratti dal quinto “movimento”
dell’ultimo dei Quattro quartetti di Eliot, intitolato Little
Gidding ( un villaggio del Huntingdonshire). Pubblicato nel 1942 – a
pochi anni di distanza dagli altri tre quartetti: Burnt Norton (1936), East
Coker (1940) e Dry Salvages (1941) –, rappresenta la “chiusura” della struttura
circolare che collega i quattro poemetti. Il tema iniziale con cui il poeta
apre Burnt Norton ( « Il tempo presente e il tempo passato/
Son forse presenti entrambi nel tempo futuro,/ E il tempo futuro è contenuto
nel tempo passato ») attraversa l’intera raccolta per essere smentito e
riaffermato, riproposto in una serie di riprese, antitesi, paradossi, antinomie
che alludono anche alle modalità di alcuni componimenti musicali (il quartetto,
la sonata, la “fuga”, il rondò).
« Ciò che chiamiamo il principio è spesso la fine/ E finire è cominciare./ La
fine è donde partiamo. […] Ogni frase o proposizione è una fine e un
principio,/ Ogni poema è un epitaffio. Ed ogni azione/ È un passo verso il
patibolo, il fuoco, la gola del mare/ O verso una pietra illeggibile: e di lì
incominciamo // […] Non cesseremo di esplorare/ E alla fine dell’esplorazione/
Saremo al punto di partenza/ Sapremo il luogo per la prima volta ».
Nella complessa architettura dei Quattro Quartetti, le riflessioni sul “tempo”
si intrecciano con l’eterna circolarità delle stagioni, della vita e della
morte, della luce e delle tenebre. E, all’interno di questo contesto, la
relazione tra l’ “inizio” e la “fine” assume un ruolo di grande importanza. Già
in East Coker, infatti, il primo verso ( « Nel mio principio è la fine » p.
489) e l’ultimo ( « Nella mia fine è il mio principio » p. 503) propongono un
motivo che, ancora una volta, passando per una serie di variazioni e
rovesciamenti approderà ai versi finali dell’ultimo “movimento” del quarto
quartetto («Ciò che chiamiamo principio è spesso la fine/ E finire è
cominciare») . Qui Eliot combina abilmente uno dei motti («Nella mia fine è il
mio inizio») appartenuti a Maria Stuarda, regina di Scozia e di Francia finita
sul patibolo nel 1587, con un celebre frammento di Eraclito («Comune è il
principio e la fine nel cerchio»). Tra la fonte classica e quella
rinascimentale, si inserisce anche il rondò di Guillaume de Machaut, musicista
e poeta francese del Trecento: « La mia fine è il mio inizio/ e il mio inizio
la mia fine » ( autore che Eliot, per sua esplicita confessione, non
conosceva). Senza addentrarci nei labirinti delle possibili interpretazioni
filosofiche e mistiche, questi versi finali ci invitano a riflettere anche sul
fatto che «alla fine dell’esplorazione/ saremo al punto di partenza». Ma quel
luogo da cui siamo partiti non sarà più lo stesso per noi («Sapremo il luogo
per la prima volta»): perché l’esperienza del viaggio ci ha trasformati e, una
volta arrivati al punto di partenza, guarderemo con occhi diversi ciò che
avevamo visto prima di partire. Alla stessa maniera, la poesia è un continuo
ritorno di parole che assumono nuovi significati mentre passano, nel corso dei
secoli, da un poeta all’altro. Ogni inizio presuppone una fine e ogni fine
presuppone un inizio: dalla storia (il costante riproporsi di alcuni
avvenimenti) alla natura (l’incessante alternanza degli opposti) ogni cosa si
ripete assumendo sempre un senso diverso. Ecco perché nel tentativo di cogliere
l’unità nel molteplice, il permanere nella mutazione, «non cesseremo di
esplorare» . (Corriere della Sera, 29 aprile 2016, articolo non firmato)
Documento ripreso
dal blog Belfagor di
Giovanni
Carpinelli
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