Le Monde des livres pubblica questa settimana
due schede su libri che hanno per tema il senso della storia. Qualcosa che
sembra comportare il riferimento a una più generale filosofia della storia e
che oggi viene per lo più vista come l'oggetto di una vana speculazione. Stando,
infatti, a una ormai classica opera di Karl Löwith, la filosofia della
storia in tutte le sue accezioni non si dà, non è in grado di assumere
una forma razionalmente accettabile. Naturalmente delle speculazioni in materia
esistono e continuano a circolare dando alimento a previsioni tanto generose
quanto stravaganti. I libri considerati nella rassegna non pretendono di
riproporre chissà quale sviluppo destinato a compiersi in futuro. Il primo dei
due ragiona al passato sulla caduta della fede nel progresso e non va molto
oltre. Il secondo, di un filosofo che fu uno tra i seguaci di Althusser, assume
la forma di un testo letterario e punta tutto sul mantenimento di un orizzonte,
senza nulla promettere quanto all'approdo finale in un universo di redenzione o
di salvezza.
La pubblicazione nel 1992 di La fine della storia e l'ultimo uomo, di Francis Fukuyama (Flammarion),
ebbe un tale impatto che molti attribuirono la paternità di
questa espressione al ricercatore americano.
Tuttavia con lui visse la sua “apoteosi”, scrive Florian
Larminach, se non il canto del cigno, dopo due
secoli di teorizzazioni successive, da Kant a Fukuyama,
passando per Marx, Comte e Kojève. È questo
lento viaggio che il filosofo ripercorre, ricordando che
interessarsi alla “fine della storia” equivale a
chiedersi cosa resta dell’idea che essa avrebbe un
significato – altrimenti è difficile vedere come
finirebbe per trovare la sua destinazione. Il che rende
questo lavoro colto e preciso un'indagine sull'idea
di progresso, e sulla sua cancellazione, al centro di una
storia che forse ora dovrà fare a meno di una
fine, vale a dire di una meta.
Jacques Rancière, « Au loin la liberté. Essai sur
Tchekhov », La Fabrique, 128 p.
Cosa può fare la letteratura di
fronte alla questione del senso della storia? Non creando
personaggi che fungessero da "portavoce" delle
erudite profezie dello scrittore, dimostra
Jacques Rancière in questo breve e brillante saggio sulla
politica della letteratura, basato
su un'attenta lettura dei racconti di Anton Cechov (1860
-1904). Dispiegata tra l'abolizione
della servitù della gleba e il periodo dei sollevamenti
rivoluzionari, l'opera del russo funge
qui da spazio in cui leggere, anche nei movimenti
contraddittori dei suoi personaggi, le
condizioni di una libertà che non potrà mai essere promessa.
Compito dello scrittore, scrive
Rancière, è quello di inserire “lo strappo della libertà
lontana nel tempo della servitù”.
Prospettiva modesta ma preziosa, mostra il filosofo, perché
riesce a mantenere il senso
di una libertà possibile, facendoci “tenere gli occhi aperti
sulla sua presenza
in lontananza”.
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Karl
Löwith, Significato e fine della storia: i presupposti teologici della
filosofia della storia,
il Saggiatore, Milano 2010
L’esigenza di attribuire un significato
ultimo all’incessante scorrere degli eventi ha condotto il pensiero
moderno a individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che potesse
giustificarne ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. Eppure,
molto prima del metodo storiografico di Voltaire o della grande filosofia
dello spirito di Hegel, gli storici dell’età classica Erodoto,
Tucidide e Polibio avevano già rinunciato a questa monumentale
prospettiva. Per il pensiero classico, infatti, le gesta degli uomini
seguono il corso dell’eterna ciclicità del cosmo; non il corso
della rivoluzione sociale, ma della rivoluzione immutabile degli
astri. Fra queste due visioni antitetiche della storia si colloca,
secondo Karl Löwith, la prospettiva giudaico-cristiana, che opera una rottura
fondamentale: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il
senso degli eventi non è racchiuso nel passato, ma in un futuro escatologico
sempre a venire, capace di determinare ogni fatto alla luce di una storia della
salvezza, al cui termine è attesa la redenzione. Ma se il primo è in
grado di portare la croce, il secondo secolarizza la speranza religiosa
nell’incondizionata fede nel progresso, tanto «cristiana nella sua origine»
quanto «anti-cristiana nelle sue conseguenze». Accolto fin dalla pubblicazione
nel 1949 come un classico della filosofia contemporanea, e riproposto dal
Saggiatore per la sua limpida attualità, Significato e fine della
storia è l’avvincente archeologia dei presupposti teologici che
operano in ogni filosofia della storia, decretandone drammaticamente il
fallimento. Uno smascheramento – dall’ebraismo di Marx fino alla lettura
storica della Bibbia – che non ha rinunciato a evidenziare quelle rare e amate
eccezioni, come Burckhardt e Vico, capaci di mantenere sotto il peso
dell’eredità storica una prospettiva più umana, e che porta a una tesi di
sconcertante radicalità: l’impossibilità della filosofia della storia. (presentazione
editoriale)
Pubblicato da Giovanni Carpinelli in https://machiave.blogspot.com/2024/10/dove-va-la-storia.html
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