L'opera di Karl Marx possiede le doti dei grandi
classici: stimola nuovi pensieri ed è capace di illustrare aspetti fondamentali
del passato quanto della contemporaneità
I tanti volti del Capitale
18 Settembre
2024 Marxismistoria
Passano i lustri e, sebbene sia stato descritto più volte
come un testo antiquato, si ritorna a discutere del Capitale di
Karl Marx (appena ripubblicato in una nuova
edizione da Einaudi). Nonostante abbia compiuto 157 anni (fu
pubblicato il 14 settembre del 1867), la «critica dell’economia politica»
conferma di possedere tutte le virtù dei grandi classici: stimola nuovi
pensieri a ogni rilettura ed è capace di illustrare aspetti fondamentali del
passato quanto della contemporaneità. Simultaneamente, ha il pregio di
circoscrivere la cronaca del presente – così come il peso dei suoi, spesso
inadeguati, protagonisti – nella posizione relativa che le spetterebbe. Non a
caso, il celebre scrittore italiano Italo Calvino affermò che un classico è
tale anche perché ci aiuta a «relegare l’attualità al rango di rumore di
fondo». I classici indicano le questioni essenziali e i punti ineludibili per
poterle intendere a fondo e dirimerle. Per questo motivo essi conquistano
perennemente l’interesse di nuove generazioni di lettori. Un classico rimane
indispensabile nonostante il trascorrere del tempo e, anzi, nel caso del Capitale si
può affermare che questo scritto assume tanto più efficacia quanto più il
capitalismo si diffonde in ogni angolo del pianeta e si espande in tutte le
sfere delle nostre esistenze.
Ritorni a Marx
In seguito allo scoppio della crisi economica del 2007-2008,
la riscoperta del magnum opus di Marx fu una vera e propria
necessità, quasi la risposta a un’emergenza: rimettere in circolazione il testo
– da tutti dimenticato, dopo la caduta del Muro di Berlino – che forniva chiavi
interpretative ancora valide per comprendere le vere cause della follia distruttiva
del capitalismo. Fu così che, mentre gli indici delle borse mondiali bruciavano
centinaia di miliardi di dollari e numerosi istituti finanziari dichiaravano
bancarotta, in pochi mesi, Il capitale vendette
più copie di tutte quelle date alle stampe nel corso del ventennio precedente.
Peccato che il suo revival non incontrò ciò che rimaneva delle forze della
sinistra. Esse si illusero di poter migliorare un sistema che mostrava, in modo
crescente, la sua irriformabilità e, quando furono forze di governo, adottarono
blandi palliativi che non scalfirono minimamente le sempre più drammatiche
sperequazioni economico-sociali e la crisi ecologica in atto. I risultati di
queste scelte sono sotto gli occhi di tutti.
Il presente revival del Capitale risponde,
invece, a un’altra esigenza: quella di definire, anche grazie alla rilevante
mole di studi comparsi di recente, quale sia la versione più attendibile dello
scritto al quale Marx dedicò la gran parte delle sue fatiche intellettuali.
L’intenzione originaria del rivoluzionario tedesco – che accompagnò la stesura
del primo manoscritto preparatorio dell’opera (i Grundrisse del
1857-58) – fu quella di dividere il suo lavoro in sei libri. I primi tre
avrebbero dovuto essere dedicati a capitale, proprietà fondiaria e lavoro
salariato; quelli successivi a Stato, commercio estero e mercato mondiale. La
consapevolezza, acquisita con il passare degli anni, dell’impossibilità di
intraprendere un piano così vasto costrinse Marx a sviluppare un progetto più
concretizzabile. Pensò di tralasciare gli ultimi tre volumi e di integrare
alcune parti dedicate alla proprietà fondiaria e al lavoro salariato nel libro
sul capitale. Quest’ultimo venne concepito in tre parti: il Libro I sarebbe
stato dedicato a Il processo di produzione del capitale, quello II
a Il processo di circolazione del capitale e il III a Il
processo complessivo della produzione capitalistica. A essi si sarebbe
dovuto aggiungere un Libro IV – dedicato alla storia della teoria – che, però,
non venne mai cominciato e viene spesso erroneamente confuso con le Teorie
sul plusvalore.
Le cinque redazioni del Libro I
Com’è noto, rispetto a tali proponimenti, Marx riuscì a
completare soltanto il Libro I. I libri II e III videro la luce soltanto dopo
la sua morte, rispettivamente nel 1885 e nel 1894, grazie a un enorme lavoro
editoriale svolto da Friedrich Engels. Se gli studiosi più rigorosi si sono più
volte interrogati sull’attendibilità di questi due volumi, redatti sulla base
di manoscritti incompiuti e frammentari, scritti a distanza di anni e che
contenevano numerosi problemi teorici irrisolti, in pochi si sono dedicati a
un’altra questione non meno spinosa: quella di stabilire se esisteva la
versione definitiva del Libro I. La controversia è ritornata al centro
dell’attenzione di traduttori e case editrici e, negli ultimi anni, sono
apparse molte nuove importanti edizioni del Capitale. Nel 2024,
alcune di esse sono uscite in Brasile, in Italia e anche negli Stati uniti,
dove la prestigiosa Princeton University Press pubblica, proprio questa
settimana, in una tiratura di ben 13.000 copie, la prima
nuova traduzione in inglese dopo cinquant’anni (a cura di P. North
e P. Reitter) – la quarta in questa lingua.
Pubblicato nel 1867, dopo oltre un ventennio di ricerche
preparatorie, Marx non fu pienamente soddisfatto della struttura del volume.
Aveva finito col dividerlo in soli sei lunghissimi capitoli e, soprattutto, era
rimasto scontento per come aveva esposto la teoria del valore che era stato
costretto a dividere in due parti: una nel primo capitolo, l’altra in
un’appendice scritta, frettolosamente, dopo la consegna del manoscritto.
Pertanto, lo scritto continuò ad assorbire una parte delle energie di Marx anche
dopo la stampa. In vista della seconda edizione, venduta in fascicoli tra il
1872 e il 1873, Marx riscrisse la cruciale parte sulla teoria del valore,
inserì diverse integrazioni riguardanti la differenza tra capitale costante e
variabile, il plusvalore, nonché l’uso di macchine e tecnologia. Inoltre,
rimodulò l’intera struttura del libro, dividendolo in sette sezioni,
comprendenti 25 capitoli, a loro volta accuratamente suddivisi in paragrafi.
Marx accompagnò il più possibile il progresso della
traduzione russa (1872) e dedicò ancora più energie alla preparazione
della versione
francese, apparsa – anch’essa in fascicoli – tra il 1872 e il 1875.
Dovette, infatti, impiegare molto più tempo di quello preventivato per
correggerne le bozze. Insoddisfatto del lavoro svolto dal traduttore, che aveva
reso il testo troppo letteralmente, riscrisse intere pagine, al fine di rendere
meno indigeste al pubblico francese le parti pregne di esposizione dialettica e
per apportare modifiche ritenute imprescindibili. Esse vennero per lo più
concentrate nella sezione finale, dedicata a «Il processo di accumulazione del
capitale». Mutò anche la divisione dei capitoli che aumentarono dopo
un’ulteriore revisione della redistribuzione della materia. Nel poscritto all’edizione
francese, Marx non esitò ad attribuire alla versione francese «un valore
scientifico indipendente dall’originale» e osservò che doveva «essere
consultata anche dai lettori che conoscono la lingua tedesca». Non a caso,
quando nel 1877 si profilò la possibilità di un’edizione in inglese, Marx
precisò che il traduttore avrebbe dovuto «necessariamente confrontare la
seconda edizione tedesca con quella francese», nella quale egli aveva «aggiunto
qualcosa di nuovo e dove aveva descritto meglio molte cose». Non si trattava,
dunque, di meri ritocchi stilistici. Le alterazioni da lui prodotte alle diverse
edizioni racchiudono anche i risultati degli incessanti studi svolti e gli
sviluppi di un pensiero critico in continua evoluzione. Marx ritornò sulla
versione francese, evidenziandone aspetti positivi e negativi, anche l’anno
successivo. Scrisse a Nikolai Danielson, il traduttore del Capitale in
russo, che essa conteneva «molte varianti e aggiunte importanti», pur
ammettendo di essere «stato anche costretto, soprattutto nel primo capitolo, ad
‘appiattire’ l’esposizione». Fu per questa ragione che egli avvertì l’esigenza
di chiarire che i capitoli «Merce e denaro» e «La trasformazione del denaro in
capitale» avrebbero dovuto essere «tradotti seguendo esclusivamente il testo
tedesco». In ogni caso, si può affermare che la versione francese costituì
molto di più che una traduzione.
Marx ed Engels ebbero idee diverse in proposito. Il primo,
soddisfatto della nuova versione, la ritenne, in molte parti, un miglioramento
rispetto a quelle precedenti. Il secondo, invece, pur complimentandosi per i
miglioramenti teorici apportati in alcuni punti, fu molto scettico in merito
allo stile letterario imposto dal francese e scrisse vigorosamente: «riterrei
un grande errore prendere questa versione come base per la traduzione inglese».
Consequenzialmente, quando gli venne chiesto, poco dopo la scomparsa
dell’amico, di dare alle stampe la terza edizione tedesca (1883) del Libro I,
Engels si limitò a modificare «solo le cose più necessarie». Nella prefazione
informò il lettore che l’intenzione di Marx era quella di «rielaborare il testo
in gran parte», ma che il cattivo stato di salute glielo aveva impedito. Engels
si avvalse di un esemplare tedesco, corretto in vari punti da Marx, e di una
copia della traduzione francese, nella quale questi aveva indicato i passaggi
per lui irrinunciabili. Limitò il suo lavoro al minimo e poté dichiarare: «in
questa terza edizione non è cambiata nessuna parola di cui io non sappia, con
certezza, che l’autore stesso l’avrebbe cambiata». Tuttavia, egli non inserì
tutte le variazioni segnalate da Marx.
La traduzione inglese (1887), interamente supervisionata da
Engels, venne condotta sulla terza edizione tedesca. Egli affermò che
quest’ultima, al pari della seconda edizione tedesca, era superiore alla
traduzione francese – anche per la struttura dell’indice. Chiarì nella
prefazione al testo inglese che si era fatto ricorso all’edizione francese
soprattutto per verificare «quanto l’autore stesso era pronto a sacrificare,
dovunque nel tradurre dovesse essere sacrificato qualcosa del significato
completo dell’originale». Due anni prima, nell’articolo How not to
Translate Marx, Engels aveva sagacemente criticato la pessima traduzione di
alcune pagine del Capitale, a opera di John Broadhouse, affermando
che «Per rendere un tedesco potente serve un inglese potente; i nuovi termini
tedeschi coniati richiedono di coniare nuovi termini corrispondenti in
inglese».
La quarta edizione tedesca uscì nel 1890; fu l’ultima
preparata da Engels. Con più tempo a disposizione, egli poté incorporare, pur
escludendone ancora diverse, altre correzioni apportate da Marx alla versione
francese. Affermò nella prefazione: «ho confrontato di nuovo l’edizione
francese con le note del manoscritto di Marx e ho accolto, nel testo tedesco,
alcune altre aggiunte tratte da essa». Fu molto soddisfatto del suo risultato
finale e solo l’edizione popolare preparata da Karl Kautsky, nel 1914, apportò
miglioramenti ulteriori.
Alla ricerca della versione definitiva
L’edizione engelsiana del 1890 divenne la versione canonica
del Capitale dalla quale vennero tradotte la gran parte delle
traduzioni in tutto il mondo. A oggi, il Libro I è stato pubblicato in 66
lingue e in 59 di esse sono stati tradotti anche i libri II e III. A eccezione
del Manifesto del partito comunista, redatto assieme a Engels e
stampato, probabilmente, in oltre 500 milioni di copie, nonché del Libretto
rosso di Mao Zedong – che conobbe ancora maggiore circolazione –
nessun altro classico di politica, filosofia o economia ha avuto una diffusione
paragonabile a quella del Libro I del Capitale.
Il dibattito in merito alla sua migliore versione non si è,
però, mai esaurito. Quale tra queste cinque edizioni presenta la migliore
struttura dell’opera? Quale versione include le acquisizioni teoriche
dell’ultimo Marx? Anche se il Libro I non presenta le difficoltà editoriali dei
libri II e III, che comprendono centinaia di modifiche apportate da Engels, è
ugualmente un bel grattacapo. Alcuni traduttori hanno deciso di affidarsi alla
versione del 1872-73 – l’ultima edizione tedesca rivista da Marx. Una recente
nuova versione tedesca del 2017 (a cura di T. Kuczynski) ha proposto una
variante che, avocando a sé maggiore fedeltà alla volontà di Marx, include
ulteriori modifiche approntate per la traduzione francese e non tenute in conto
da Engels. La prima scelta ha il difetto di trascurare parti della versione
francese che sono certamente superiori a quella tedesca, mentre la seconda ha
prodotto un testo confuso e di difficile lettura. Meglio, dunque, edizioni che
accludano un’appendice con le varianti apportate da Marx ed Engels per ciascuna
versione e anche alcuni importanti manoscritti preparatori di Marx, fino a
questo momento pubblicati soltanto in tedesco e in poche altre lingue.
Tuttavia, non esiste una versione definitiva del Libro I e la
comparazione sistematica delle revisioni fatte da Marx ed Engels è affidata
alla ricerca a venire dei loro più attenti conoscitori. Nonostante Marx sia
stato considerato antiquato e dato per sconfitto dagli oppositori del suo
pensiero politico, ancora una volta, una nuova generazione di lettori,
militanti e studiosi si avvicina alla sua critica del capitalismo. In tempi bui
come quelli presenti, si tratta di un piccolo buon auspicio per il futuro.
*Marcello Musto è autore di Ripensare Marx e i marxismi. Studi e
saggi (Carocci, 2011), L’ultimo Marx, 1881-1883. Saggio di
biografia intellettuale (Donzelli, 2016), Another Marx: Early
Manuscripts to the International (Bloomsbury 2018) e Karl
Marx. Biografia intellettuale e politica, 1857-1883 (Einaudi, 2018).
Pezzo ripreso da: https://jacobinitalia.it/i-tanti-volti-del-capitale/
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