03 novembre 2024

GOFFREDO FOFI CRITICO CINEMATOGRAFICO

 







“Parthenope” e, più in generale, il cinema di P. Sorrentino divide la critica ed il giudizio del pubblico. Oggi sul Corriere del Mezzogiorno tocca al novantenne Goffredo Fofi dire la sua. Noi, pur senza condividere il suo giudizio, lo riproponiamo di seguito.  Ma Fofi non è il Vangelo e a quanti si riparano dietro di lui  ricordiamo che, proprio negli anni settanta che adesso santifica, proprio  Fofi mostrò di non aver capito nulla del cinema di Pasolini (fv)

 

“Mezzogiorno di fuoco”

di Goffredo Fofi

<Sorrentino e Parthenope

senza Poesia e senza Storia>

Il film di Paolo Sorrentino

Partenope è un atto d'amore per Napoli, in quanto tale lodevole e benvenuto.

Racconta la città nei suoi anni Settanta e conclude sull'oggi, sul ritorno a Napoli di Partenope, la protagonista del film, finita a insegnare antropologia nell'università di Trento. Gli anni Settanta napoletani Sorrentino li ha visti da bambino , essendo nato proprio nel ‘70.

E non mi sembra che si sia molto documentato su un decennio che, per chi l’ha vissuto con qualche intensità, è stato uno dei più belli dello scorso secolo, per la città.

La musica, il teatro, il cinema, la fotografia e perfino la letteratura hanno prodotto in quel tempo artisti di grande valore, opere di grande sostanza. E, pensando all’uso che ne fa Sorrentino, anche le più adulte opere di un grande scrittore come La Capria, alla cui idea della «bella giornata» e agli ambienti e ai momenti di Ferito a morte il regista si è apertamente ispirato, aggiungendovi qualche crudele bizzarria alla Malaparte: invece del pranzo a base di sirena, il bambino-mostro figlio del professore universitario di antropologia che nel film indica a Parthenope la sua strada di intellettuale, con notevole superficialità. Ma non c’era solo la «bella giornata» nella Napoli di quegli anni, e non c’era solo una formidabile vitalità delle arti, c’erano altre cose di peso sociale e culturale qui appena sfiorate, come la contestazione studentesca o il nascente femminismo, e c’erano Pomigliano d’Arco e Bagnoli con la loro classe operaia in lotta, c’erano i disoccupati organizzati e c’era un fermento sociale e pedagogico nel «proletariato marginale» dei vicoli, che è stato in parte narrato in un bel saggio storico di Luca Rossomando. Appena sfiorati, come a disagio, Maradona e il colera...

In quegli anni vivevo a Napoli anch’io, e credo che gli amici che erano napoletani veraci avrebbero detto di Sorrentino che era «un chiattillo», una definizione «antropologica» che aveva allora gran corso. Insomma, il film di Sorrentino non scava in niente e non dimostra un senso della Storia, ma purtroppo ha un senso fragile anche della Poesia, E la sua Parthenope non sembra mai prender corpo, vivere e respirare come emblema di una città e della sua bellezza, come gli avrebbe desiderato che fosse. In definitiva il suo è un film superficiale storicamente e proprio «antropologicamente», e di una scarsa poesia, con un fiacco personaggio centrale a sostenerla. Un’occasione perduta, insomma, alla quale ci si augura che il regista sappia e possa rimediare in futuro, con altri film meno ambiziosi ma più profondi e sentiti.

E per quanto riguarda San Gennaro, chiamato in ballo con una certa rozzezza, ha ben altro spessore il recente recital che Mimmo Borrelli - un attore in grande crescita - ha elaborato con l’aiuto prezioso e mai invadente di Roberto Saviano. Altra convinzione e altra forza, ben altra «napoletanità».

GOFFREDO  FOFI


PS: Le scene bunueliane in cui Sorrentino, sfiorando la blasfemia, prende in giro il Vescovo di Napoli e la devozione popolare a S. Gennaro credo che siano alla base di tante critiche al film. Se Sorrentino avesse letto Sciascia, forse, avrebbe tagliato quelle scene. I Santi contano ancora tanto in questo Paese. (fv) 


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