10 novembre 2013

WALTER BENJAMIN E IL SACRO NELL'ARTE



Esce da Einaudi una raccolta di scritti di Walter Benjamin sull'arte che raccoglie in un unico volume i principali studi dedicati dal filosofo alla teoria dei media. 

Gillo Dorfles

Aura, ovvero il sacro nell’arte

Fino a che punto l’opera d’arte si può considerare unica? E quanto incide il fatto che sia invece un’imitazione? In altre parole il fatto d’essere irripetibile è davvero alla base della sua natura ed efficacia? Queste sono solo alcune interrogazioni che creano lo scheletro del celeberrimo saggio di Walter Benjamin: «Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit», «L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica», del 1936.

Oggi, questo primo lavoro viene riproposto con l’aggiunta di moltissimi altri sui problemi della creatività e della interpretazione dell’opera (Walter Benjamin, Aura e choc , con un notevole elenco di saggi di Benjamin che si allargano alla fotografia, al teatro, al cinema, all’architettura, alla letteratura e che hanno sempre come base il problema di quanto l’arte possa o non possa essere imitata o riprodotta). Naturalmente il fatto di riprodurre un’opera d’arte non è soltanto legato a questioni di ordine tecnico, ma al fatto che un’opera di cui esistano vari esemplari più o meno simili o in qualche senso riassunti o adulterati, possa significare la scomparsa della loro efficacia. La differenza tra un’opera che sia «lecitamente riprodotta o riproducibile» e quella che invece lo sia per contraffazione o per altre ragioni improprie, costituisce una diversità notevole; e tuttavia, all’epoca attuale dove i mezzi elettronici hanno concesso l’assoluta riproducibilità di un’opera, le cose sono cambiate perché non è più possibile un’assoluta differenziazione tra capolavoro e riproduzione tecnicamente indiscutibile.

C’è tuttavia un elemento che dovrebbe essere la vera spia a determinare una irripetibilità — per quanto perfetta sia stata realizzata — ed è la presenza di quella particolare caratteristica che viene definita dall’autore come «aura». L’aura come afferma l’autore è: «Un singolare intreccio di spazio e tempo: l’apparizione unica di una lontananza, per quanto possa essere vicina». Il concetto di aura parte da premesse relative alla nostra percezione e preparazione culturale; tuttavia si può affermare come appunto sostiene l’autore: ciò che viene meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è la sua aura.

Naturalmente a questo punto una distinzione va fatta tra una copia di capolavori artistici e la volontaria esecuzione di nuove creazioni tematiche realizzate tuttavia con lo stile e la tecnica di quelle passate. Un caso tipico è quello dell’artista fiammingo Han van Meegeren, il quale ebbe a destare non solo scandalo per aver riprodotto i grandi maestri del suo paese, ma per aver creato ex novo delle opere figurative la cui tecnica e il cui stile — del tutto identici a quelli del passato — gli permisero di far «spacciare» addirittura alcune di queste opere come autentiche con l’approvazione e la giustificazione dei maggiori critici storici locali. Questo è ben diverso del famoso episodio dei falsi Modigliani, ritenuti autentici da alcuni dei più noti critici nostrani; comunque i due episodi dimostrano che una cosa è la riproducibilità dell’opera e un’altra è la sua vera e propria essenza.

Ed è qui che si innesta il problema molto discusso da Walter Benjamin, ossia la presenza di un’«aura» che costituisce o costituirebbe il vero carattere distintivo tra l’opera d’arte autentica e la sua imitazione o contraffazione. Che cosa sia l’aura, lo definisce Benjamin e si può senz’altro accettare la sua indicazione per quanto sia estremamente arduo precisare dove si trovino i confini che determinano la presenza o l’assenza di questa particolare condizione.

A questo punto sarebbe facile sostenere che il concetto di aura sia in un certo senso compromesso da insoliti modi di vedere e recepire un’opera d’arte: l’esistenza di un fattore magico è senza dubbio invocabile e sappiamo quante opere pittoriche e plastiche sono state «adorate» e venerate quali elementi sacrali o religiosi proprio per l’indefinibile qualità di una loro presenza auratica. Ma sconfinare nel campo della magia sarebbe scontato anche se la presenza di tante iconografie religiose e sacrali, di tante immagini del cristianesimo invocate e sublimate, non permettesse di attribuire a questi capolavori una proprietà trascendente, probabilmente dovuta non già alla qualità del dipinto, quanto alla condizione psicologica e addirittura psicotica dell’osservatore.

Non sappiamo ancora se la qualità auratica presente in alcuni capolavori dell’antichità più remota e anche di quella abbastanza recente possa estendersi ai dipinti, alle sculture della contemporaneità; per ora non mi sembra che un Picasso o un Mondrian siano stati presi come forieri di funzioni metapsichiche e credo che la divinità del denaro abbia certamente soffocato l’eventuale presenza di una qualità trascendente che facesse capolino tra le pennellate dell’artista.

Il dilemma tra arte antica e moderna, tra sacralità e magia, tra superstizione e malocchio, ha sempre accompagnato numerose opere del passato e del presente; forse un’ aura malefica è più facile da consolidarsi che un’aura benefica; comunque il fatto di ammettere che un capolavoro del passato e anche dei nostri giorni possa avere un’influenza non solo mercantile ma anche morale e umorale, non può che essere accettata se non altro per condiscendenza, senza dimenticare che la presenza di un feticcio quale corrispettivo — positivo o negativo — di un’opera d’arte è stato da sempre una delle convinzioni o delle suggestioni dell’uomo.

(Da: Il Corriere della Sera del 7 novembre 2013)


Walter Benjamin,
Aura e choc, Saggi sulla teoria dei media
Einaudi, 2013
25 euro

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