06 febbraio 2014

CASTA E POPOLO


Pubblichiamo un articolo di Claudio Riccio uscito su Il Corsaro.

Claudio Riccio

Decostruire la Casta. Costruire il popolo


Chi ricorda più l’oggetto del caos parlamentare di alcuni giorni fa? Si dibatteva del regalo per le banche italiane contenuto nel decreto Bankitalia, ma l’argomento è scivolato, sparito nel calderone di insulti e accuse reciproche, insieme al caso Electrolux, ai tassi drammatici di disoccupazione, alla nascita di FCA e al compimento della strategia di Marchionne. Tutto è passato in secondo piano.
In molti hanno liquidato tutta la vicenda come “una clamorosa serie autogol di Grillo”, “segno del nervosismo di un leader che prova disperatamente a recuperare consensi”; ma siamo sicuri sia così?
Il post di Grillo che aizzava i suoi contro la Boldrini, il tweet di Messora sullo stupro e il falso tweet del Presidente della Camera costruito ad arte ci dicono molte cose sulla strategia di Casaleggio e Co. [Altri hanno scritto a riguardo, molto è sintetizzato bene in due articoli di Dino Amenduni 1/2]
Il contesto politico è cambiato da due mesi ormai, le europee si avvicinano e Renzi punta la sua intera strategia elettorale sul fare, convinto che il suo attivismo sarà sufficiente a far sgonfiare il consenso attorno a Grillo e a sconfiggere il centrodestra berlusconiano che con Casini torna ad essere realmente competitivo. Il sindaco di Firenze punta a capitalizzare consenso con rapide accelerate e proposte a effetto che possano anche solo apparire concrete, ed effettivamente nel dibattito superficiale che caratterizza media e sfera pubblica riesce a risultare convincente ai più finché si discute di questioni concrete. Grillo davanti a questo contesto sceglie la gazzarra, decide di radicalizzare lo scontro parlamentare-televisivo, polarizzandolo sullo schema casta-anticasta puntando a capitalizzare al massimo l’insofferenza diffusa.
Grillo non cavalca la confusione istituzionale, la genera, approfittando di un contesto favorevole e utilizzando, come nel judo, l’energia che tutti i sostenitori delle larghe intese e della stabilità riversano contro di lui per rilanciare i propri attacchi, compattare il Movimento al proprio interno e continuare a crescere. All’aumentare del caos, infatti, davanti a uno spettacolo “che ricorda le migliori zuffe da trasmissione di Maria De Filippi” sale l’audience, la discussione entra nei bar e anche gli spettatori-cittadini più distratti, quelli che spesso non votano, si accorgono di quel che sta accadendo in parlamento. Agli occhi di chiunque osservi la scena lo spettacolo risulta indecoroso e il disgusto aumenta esponenzialmente. Tale disgusto travolge tutti, allo stesso modo, eccezion fatta per i grillini, che su larga scala e al netto di un numero risibile di elettori persi, vedono lievitare i propri consensi elettorali. Più caos, più disgusto, più consenso anticasta. È la legge ferrea del disgusto.
Con l’aumentare della crisi economica e sociale, e in assenza di una vera opposizione, forte ed efficace, radicalmente alternativa alle larghe intese, la strategia di Grillo e Casaleggio, apparentemente rozza, risulta essere estremamente efficace. Se cresce l’unanimismo della stampa e delle forze politiche raccolte nelle larghe intese, e se al contempo si indebolisce l’opposizione sociale e politica di sinistra, a crescere sarà la forza potenziale del grillismo.
Lo scontro e la sua spettacolarizzazione non servono quindi alla battaglia politica, ma a quella elettorale: il fine passa in secondo piano rispetto alla crescita elettorale del Movimento (che dovrebbe esserne solo lo strumento).
Il problema quindi non è la durezza dello scontro (al netto delle minacce e dei vergognosi insulti sessisti di queste ore), ma la finalità per cui lo si innalza. L’inutilità di uno scontro fine a se stesso è data anche dall’assenza di relazione tra palazzo e piazza, e dalla distanza dai conflitti reali che pure esistono nella nostra società. Come evidenzia questo articolo, anche nel 1953 contro la legge truffa ci furono durissime scazzottate nelle aule parlamentari, ma fuori da quelle mura uno sciopero generale rendeva vero e non simulato tale scontro.
Il conflitto politico e sociale è utile a contrastare chi porta avanti provvedimenti socialmente iniqui e a cambiare i rapporti di forza nella società. La caciara e gli insulti sono utili a chi porta avanti provvedimenti socialmente iniqui, per distrarre l’opinione pubblica, e a chi mira solo a guadagnare qualche punticino percentuale nei sondaggi.
Ideologici senza ideologia
Nel secolo passato le ideologie sono state, oltre che un grande motore della storia, con un imponente carico ideale e di contenuto, anche uno schema interpretativo della realtà. Indipendentemente dal livello di studi conseguiti e dal tasso di alfabetizzazione, attraverso le ideologie ciascuno riceveva degli strumenti di interpretazione della realtà e poteva così scegliere da che parte stare, di modo che alla mancanza di istruzione non corrispondesse la mancanza di coscienza.
Oggi la critica sistemica al capitalismo viene ridotta a teorie complottiste: c’è il mito esterofilo di un capitalismo buono; fuori dai confini nazionali c’è un mondo funzionante, governi onesti, si vive meglio e non esiste la casta, ma lobby transnazionali che tramano nell’ombra e un’Unione Europea di burocrati che ci affama.
Nella lotta casta-anticasta il reddito e la condizione sociale non hanno influenza alcuna, come si evince non solo dai messaggi interclassisti dei forconi, ma anche da come sono percepiti gli imprenditori “buoni” in stile Della Valle, che pontificano contro la casta seduti sulle loro grandi ricchezze.
Azzardando una semplificazione lo schema politico del grillismo si basa su un sistema ideologico senza ideologia. Il conflitto capitale-lavoro diventa uno scontro tra onesti e ladri, l’alienazione è ridotta a frustrazione e rabbia per una classe dirigente corrotta e i cittadini stanno alla casta come i proletari stavano al capitalismo. Grazie a questo schema che agisce come un potentememe i cittadini individuano facilmente chi è il nemico e qual è la parte da cui schierarsi. Aumentare il livello dello scontro e di disgusto per il sistema politico serve solo per portare un numero crescente di cittadini a schierarsi, maturando una coscienza anticasta.
La like democracy è anche questo. I messaggi si propagano indipendentemente dal contenuto, si basano sull’emotività che generano, di modo che diventa impossibile distinguere l’evento di portata storica dalla cazzata. Più i messaggi sono semplici più si diffondono rapidamente e in maniera efficace; e più un messaggio si diffonde velocemente più è difficile contrastarlo. I tempi dell’azione politica sono oggi molto più lenti della politica intesa come pensiero, discussione e azione collettiva, e approfittando dei meccanismi di diffusione emotiva tale schema ideologico trova terreno fertile.
Lo schema è totalizzante, la divisione delle parti è netta e senza sfumature. Scrive Laclau che il populismo, più che una categoria politica, è un’enfasi sul discorso, ancor di più il grillismo è enfasi senza un contenuto a priori. L’alternativa a tale progetto di egemonia a-culturale non può essere un razionale e ponderato rifiuto di schemi semplificati. Serve, invece, una proposta politica chiara, netta, profonda ma semplice, che unisca contenuto e enfasi abbandonando l’inefficace ostentazione di sobrietà ereditate dalla cultura dell’Ulivo, come “la serietà al governo” o “l’opposizione responsabile”.
Quel mostro della casta
La casta, così centrale nel nostro dibattito pubblico, era stata creata in laboratorio come arma finale per eliminare gli avversari politici della peggior borghesia italiana; è poi ben presto sfuggita di mano ai suoi creatori, ritorcendosi contro loro stessi.
Ne ha parlato qualche mese fa Massimo Mucchetti, ex vice direttore del Corriere della Sera e attualmente senatore del Partito Democratico, che in un’intervista ha raccontato come il libro di Rizzo e Stella e le inchieste che lo hanno preceduto facessero parte di “una campagna politica che, mettendo in luce le debolezze reali del governo Prodi, puntava sui tecnici che avrebbero dovuto avere alla loro testa Montezemolo. Una grande idea giornalistica, una piccola idea politica. E alla fine, complice una politica cieca, la guerra alla Casta senza la capacità di proporre alternative reali ha generato il Movimento 5 Stelle. Che ora attacca politici e giornalisti”.
L’effetto Frankenstein, la ribellione della casta ai propri creatori, era allora evitabile? In parte no: solo una classe politica più attenta, meno corrotta e più capace di rispondere alle esigenze dei cittadini avrebbe potuto disinnescare l’ordigno. Ma nel momento in cui una parte consistente dell’establishment ha iniziato a sostenere e alimentare il frame della casta, esso è divenuto indomabile. Le classi dirigenti non potevano maneggiare a lungo una retorica concepita per distruggere i propri simili.
Il terreno di ogni discorso ha delle direzioni predeterminate che non sempre è possibile dirottare. Le parole producono emozioni, sentimenti, suggeriscono risposte. Il terreno del discorso è un piano inclinato: il frame della casta circonda ogni ambito del discorso politico, anche a livello quasi inconscio. È difficilissimo sostenere un discorso politico con un qualunque cittadino, elettore di qualunque forza politica, senza che questo scivoli più o meno rapidamente sul tema dei costi della politica, facilmente il dibattito verrà travolto, semplificato al punto da essere svuotato del contenuto, e il “sono tutti uguali”si afferma senza possibilità di smentita.
Tale scontro tra casta e anticasta, è uno scontro in cui i due nemici si alimentano a vicenda, ciascuno consolida la propria posizione, da un lato chi evoca il cambiamento, dall’altro chi mima la rivolta. Per cacciare le classi dirigenti responsabili dello sfacelo del nostro paese serve decostruire il discorso della casta, disinnescare l’ordigno e mettere fine a questa finta guerra che ci costringe a stare rintanati nei nostri rifugi, osservando dalla finestra le macerie del massacro sociale e  in televisione la “guerra civile simulata” (come l’ha definita Giuliano Santoro).
La casta, infatti, banalizza la questione democratica al punto da annullarla come problema politico. Il tema viene ridotto non più a un’assenza di democrazia in quanto autodeterminazione, tutto si sposta sul mero giustizialismo e su un generalizzato desiderio di trasparenza, in cui la legalità soppianta la giustizia sociale. Democrazia non significa più “noi vogliamo decidere”, ma “non vogliamo che lui rubi”; Il tentativo messo in campo da Grillo è che non si giudichi più il proprio rappresentante nelle istituzioni sulla base di quel che pensa, ma di quanto ruba.
E siccome “tutti rubano, hanno rubato, o ruberanno”, se ne deduce che “sono tutti uguali”, indipendentemente dalla parte politica. Lo schieramento diventa una variabile ininfluente, si afferma il “né destra né sinistra”. La politica diventa funzione amministrativa, gestione dell’esistente, schiacciata tra trionfo della tecnica e banalizzazione del governo, rinunciando così a qualunque vocazione di trasformazione dell’esistente.
Sono molte le tendenze ambivalenti e le contraddizioni che convivono in questo tipo di discorso pubblico. Da un lato l’affidarsi ciecamente ai tecnici, agli esperti, alla retorica delle competenze: il fondamentalismo della meritocrazia su cui si fondano i conservatori, i tecnocrati e anche i falsi innovatori à la Renzi. Dall’altro l’idea del governo come semplice amministrazione, per cui chiunque può governare, non esistono statisti, politici, ma solo cittadini onesti, “dipendenti di altri cittadini”, meri esecutori. Non si tratta di due idee contrapposte, e neppure delle opposte facce di una stessa medaglia, ma due terreni contigui di un medesimo discorso, i cui labili confini sfumano l’uno nell’altro. Nello stesso sistema di parole-chiave dell’anticasta ritroviamo entrambi gli schemi, solo apparentemente opposti e incompatibili. Si rivendica gente competente e onesta, tecnici che ci salvino dal baratro, ma al contempo la storica ambizione della gente comune, del popolo, di irrompere nella politica e nella scena pubblica, in assenza dei partiti di massa viene ridotta a semplice aspirazione individuale a dare il proprio contributo, si afferma la like democracy; l’alternanza è tra il fideismo nei tecnocrati, socialmente stronzi ma rassicuranti, e la delega senza programma al magma indistinto dei cittadini, due schemi che non producono cambiamento, ma consentono al pilota automatico di governare, lasciando invariati i rapporti di forza.
Lo spazio di una sinistra nuova
In tanti, elettori disillusi di sinistra, orfani di un soggetto generale in cui organizzare la propria indignazione, guardano il fenomeno Grillo e dicono “il Movimento 5 Stelle ha enormi potenzialità, peccato non le utilizzi appieno per cambiare il paese”. Ma siamo sicuri che quelle potenzialità di cui tanti parlano siano da attribuire al Movimento di Grillo? Le potenzialità di cui si parla sarebbero da attribuire ad un soggetto radicalmente alternativo agli attuali partiti, che esprimesse una critica profonda all’attuale sistema economico e sociale e raccogliesse l’indignazione diffusa organizzando dal basso i cittadini per cambiare i rapporti di forza, ricostruire la democrazia e redistribuire le ricchezze. Ma il Movimento Cinque Stelle si limita a sfruttare solo in termini elettorali tale potenzialità, che invece un tuttora inesistente soggetto politico di sinistra potrebbe raccogliere per far davvero vacillare l’equilibrio precario delle gattopardesche larghe intese e del governo della crisi.
Tale potenzialità è inespressa non solo per colpa di errori storici della sinistra italiana, ma anche perché lo spazio politico odierno è schiacciato tra due differenti tipologie di forze, entrambe conservatrici nella sostanza: entrambe conducono, avallano o consentono politiche antisociali e che potremmo definire antipopolari. Sono i tecnocrati antipopolari e i populisti antipopolari dall’altro; è il nostro bipolarismo che consente la stabilità, più di qualunque legge elettorale truffa.
Per costruire un’alternativa al bipolarismo bisogna allora partire da un’analisi dell’attuale spazio politico. Proviamo a semplificare i due poli in uno schema:
Tecnocrati e conservatori antipopolari Populisti antipopolari
Il governo si affida ai tecnici e al pilota automatico.
“Non c’è alternativa di sistema possibile”
Banalizzazione delle funzioni di governo:
- tutti possono governare, indipendentemente dalle competenze;
- tutti possono essere delegati, purché siano onesti.
Conducono politiche inique e antisociali Consentono politiche inique e antisociali
Contro l’Europa dei popoli
Contro l’Unione Europea
Metodi non democratici Metodi non democratici
Si oppongono al cambiamento Incapaci di favorire il cambiamento
Reprimono il conflitto sociale  Separati dal conflitto sociale
Rappresentano le classi dominanti Interclassisti
Stando a questa semplificazione in questo quadro, uno spazio politico per una sinistra d’alternativa non solo esiste, ma è necessario. Se delineiamo l’alternativa a tale bipolarismo a partire dal ribaltare gli elementi costanti tra i due falsi poli emerge lo spazio per una sinistra di massa, che pratichi e rivendichi democrazia, competente, per un’AltraEuropa e che rifiuti ogni rigurgito xenofobo e nazionalista, che persegua con convinzione il cambiamento, non limitandosi alla testimonianza dalla parte delle classi subalterne, che stia nei conflitti sociali. Una sinistra nuova che soprattutto sappia essere un soggetto generale in cui organizzare chi mira a tali obiettivi, un soggetto non minoritario, non solo istituzionale, non di rappresentanza parziale, ma di parte.
La proposta politica della nuova sinistra deve essere chiara, comprensibile, replicabile, con la chiarezza schematica usata anche da altri, ma accompagnata dalla forza delle idee complesse e dalla pratica e dalla rivendicazione di una democrazia radicale che non si limiti al pur necessario scontro tra governati contro governanti, ma ponga il tema del cambiamento come esito non del governo a tutti i costi, ma dell’autogoverno, perché come scriveva Vittorio Foa “politica non è solo comando, è anche resistenza al comando, che politica non è, come in genere si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé”.
È prioritario e necessario che la politica torni a svolgere la propria funzione di educazione delle masse. Al contrario, se la politica si lascia dettare la linea dai peggiori istinti cannibaleschi del tutti contro tutti, finirà per farsi educare (o diseducare) dalle masse, abdicando alla propria funzione di scontro egemonico attorno alle idee per ridursi a scontro elettorale che asseconda l’esistente.
La nuova sinistra deve produrre un lessico e una nuova grammatica e creare nuove identità, a partire dalla ricostruzione di legami solidali e collettivi; riannodare i fili di una umanità sfilacciata, di soggettività sparse, far incontrare solitudini, destituire e decostruire la casta, per costruire un popolo e una speranza di cambiamento.

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