02 novembre 2016

RUBINA MENDOLA, Meritiamo Pasolini?




Meritare Pasolini

di Rubina Mendola
Menzogne e tradimenti

Per un ‘grande maestro’, venire assassinato potrebbe essere il meno. L’oltraggio non tollerato per certi uomini è venir stimati per posa. Oppure il peggio: essere amati da chi avrebbero disprezzato, ed è il caso di un’Italia giornalistica e istruita che ricorda Pasolini senza merito, nell’apologia ruffiana di un idolo culturale che non sa imitare. Pasolini si dice sia tra gli autori più sfruttati, citati e meno letti del Novecento italiano, ma non è solo diceria. I protagonisti di questa truffa, che qualche ottimista definirebbe una pura contraddizione, sono gli italiani. Al fenomeno dei falsi invalidi si somma quello dei falsi estimatori. Sul piano formale il congegno acritico funziona egregiamente, e non mancano maratone radiofoniche apologetiche o annuali cineforum tematici dal taglio prevedibile, e non si contano i formicai di trasgressivi antisistema (soprattutto appartenenti al comparto delle discipline umanistiche o delle accademie) che si proclamano suoi discepoli. Sembrano invisibili, per contro, studiosi, lettori autentici, parole sincere e analisi competenti. Forse non è sufficiente la complicità puramente libresca verso Pasolini per capire Pasolini?  Partecipare ‘culturalmente’ in molti casi può significare pure l’aristocratica diserzione o il boicottaggio, la presa di distanza dalla parata manifesta e rumorosa, e in questa accezione snobistica, il vezzo consisterà nell’ indignazione verso il cerimoniale in oggetto. L’apologia si verifica secondo una direttrice controcorrente (la retorica, si sa, è versatile e i suoi adepti non meno di lei). E allora la demagogia sarà la medesima,  che la si pratichi prostrandosi al ricordo collettivo o illudendosi di non prenderne parte. Naturalmente serve avere in comune con Pasolini perlomeno un terzo della sua sostanza per essere credibili anche soo con se stessi. L’uomo complicato che diffondeva intorno a sé panico e disagio, che irritava e umiliava molti suoi lettori e interlocutori oggi pare un giornalista mansueto, rassicurante, che suscita tenera condivisione grazie a un esercito della salvezza che dice di aver fatto sua la lezione del maestro trapassato. Si capisce allora che ammirare Pasolini è un luogo comune, oltre che obbligo morale. Questa ammirazione burocratica è terribilmente sinistra, soprattutto se a provarla sono i giovani e adulti serenamente integrati in scatolette di potere che sognano di riscattare il passato dei loro avi dagli ideali piccolo borghesi, salvo poi riabbracciarli una volta consolidato lo status sociale che sognano. Valga per loro il subdolo motto chesterfieldeano suaviter in modo, fortiter in re e non certo il nitimur in vetitum di pericolosa discendenza nietzscheana.
Requiem
E’ estremamente semplice oggi proteggere e stimare  Pasolini, quando la scandalosa belligeranza del suo pensiero, un tempo eretica anche per un lettore altamente istruito, è ormai codificata e resa innocua dal consumismo di lettori annoiati. Non sarà troppo facile dichiarare passione e stima verso ‘un uomo difficile’ quando non può più comprometterci? Figlastri di una generazione che ha istituito una visione paternalistica della cultura, imponendola come riscatto e sola via d’uscita dalla degradazione morale ed economica, gli addetti culturali (giovani e meno) di questa italia post-pasoliniana, post-moderna e post-contemporanea, si aspettano l’applauso dell’ inteligencija e sono pronti a convertire le loro verità per vincerlo. La trasgressione di una normalità conservatrice che bada al giudizio degli altri (al bene che di noi deve esser detto e pensato)  è stata una delle attitudini etiche ed estetiche di Pasolini (essenziale il suo patto con il lettore reso possibile dal pasoliniano “non aver niente da perdere”). In quale modo potrebbero questi italiani dalle meschine ambizioni pratiche, prudenti, ben istruiti, tattici, essere dei commentatori e commemoratori fedeli e coerenti di Pasolini? Attraverso quale alibi potrebbero conciliare la trama delle loro strategie con la vocazione al martirio e allo scandalo dell’idolo intellettuale che oggi li attrae? Come far quadrare, per esempio, la spietata volontà destabilizzatrice e la sete di verità degli Scritti Corsari con l’attitudine alla compiacenza? L’ignobile esercizio di una scrittura constativa, di rappresentanza, che poi è quella di molte riviste che oggi affermano di occuparsi di cultura, non è  che l’ennesima prova che smaschera la vigliaccheria intellettuale di un’Italia che si dimena tra i pudori della borghesia istruita e il rispetto reverenziale per i tinelli del potere culturale. La stampa ruffiana e cameriera dell’ ondata culturofila che in questi ultimi anni ha travolto l’Italia informata (mai come oggi si è parlato di cultura e così acriticamente), non avendo l’audacia necessaria, ripiega su una rozza propaganda umanistica a favore di cacio-progressismo indeterminato, generico. Si capisce bene perché la furia di questo asceta senza il blasone della santità è un paradigma intellettuale che in pochissimi praticherebbero. Se è vero che la libertà, come pensava Pasolini, è libertà di scegliere la morte, venir meno alla ‘conservazione’, essa non può manifestarsi se non con un grande o piccolo martirio. E dove sarebbero questi giovani intellettuali capaci di contraddire fino all’ estrema conseguenza la norma della conservazione? Chi vuol vivere  lungo  la pasoliniana “linea di fuoco” dove non si fugge l’ipotesi di un esilio scandaloso perché volontario? Dove sono questi pensatori che a “furia di provocare il ‘codice’, a furia di esporsi, finiscono con l’ottenere ciò che aggressivamente vogliono, cioè “essere feriti e uccisi con le armi che essi stessi offrono al nemico”?

Epilogo

I teppismi e i fascismi piccolo borghesi potrebbero annidarsi anche in questa sorta di capriccio edonistico che è la retorica dell’ anti-retorica, praticata dagli abusivi di cui si è parlato. Cosa resta quando il circo degli anniversari è in ferie? Restano i pochi lettori che hanno assediato quotidianamente Pasolini, criticando e interrogando i suoi testi. Per ricordare e conoscere Pasolini bisogna meritarselo, non c’è modo migliore per farlo se non l’esercizio del non aver nulla da perdere.

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