La pochade e gli intellettuali
Per giorni e giorni l’attenzione del paese è stata sequestrata dall’incresciosa pochade di un ministro che si lega sentimentalmente a una signora, la propone per un incarico di consulenza presso i suoi uffici, poi fa marcia indietro di fronte alle proteste della legittima consorte.
Com’è andata a finire, lo sappiamo per filo e per segno. Sappiamo tutto della pochade. La stampa le ha dedicato decine e decine di pagine. Non sappiamo nulla invece della manovra finanziaria. Nulla dello stato di avanzamento del Pnrr. Nulla della riforma della giustizia equilibrata. Nulla della gestione dei flussi migratori. Eccetera.
E non si dica che la colpa è degli italiani, della loro indifferenza alla cosa pubblica, della loro ostilità verso la politica. Sarà pur vero che abbiamo i nostri difetti. Ma cosa fanno le classi dirigenti, i governanti, gli eletti, i giornaloni, le reti televisive per rendere migliore il paese, per informarlo con un minimo di imparzialità, per proporgli prospettive di qualche respiro?
É da questo punto di vista che può essere utile tornare sulla telenovela. E una cosa è di tutta evidenza. Nessuno ne esce bene. Non ne esce bene Sangiuliano, che una briciola di senso dello Stato e di intelligenza politica avrebbe dovuto spingere a immediate dimissioni. Non ne esce bene Meloni, che stenta a gestire le inadeguatezze degli uomini e delle donne a cui lei stessa ha affidato il paese. Non ne esce bene l’opposizione, che si è avventata su una deplorevole vicenda personale trasformandola in un affare di Stato. Non ne escono bene i media, come al solito guardoni, scandalistici, faziosi (in un senso o nell’altro).
Ma non ne escono bene, soprattutto, quelle che dovrebbero essere le élite colte del paese, coloro che magari facevano in privato la raccolta delle gaffe del ministro, che nelle cene tra amici lo disprezzavano, e che tuttavia nulla hanno detto sulle sue scelte politiche, sul suo obiettivo di una “contro-egemonia culturale”, sulla sua critica ai totem della sinistra (sì, le élite colte sono per lo più progressiste), sui totem alternativi che cercava di proporre, da Prezzolini a Tolkien, sulle personalità che metteva tra parentesi, come Massimo Osanna, e sulle new entry che invece portava avanti (non solo la signora Boccia!). Che ci fosse l’intento di una “contro-egemonia” era stato detto in tutte le salse. Sarebbe stata opportuna una grande discussione, una critica argomentata, uno scambio fitto di idee. Nulla di tutto ciò. Le élite progressiste hanno taciuto, quando non sono finite direttamente sul carro del (temporaneo) vincitore.
Oggi, a cose fatte, tutti sparano sulla Croce Rossa. Troppo facile, amici miei.
© Paolo MacryProfessore Emerito, Federico II
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