09 luglio 2024

IL QUARTO STATO DELLA SCUOLA: DIVENTARE INSEGNANTI NEL MERCATO DELLE ABILITAZIONI




IL QUARTO STATO DELLA SCUOLA

di Sofia Santosuosso

 

Consigli di classe. Scuola, democrazia e società, 
rubrica a cura di Mimmo Cangiano

 

A un certo punto della storia medievale, quando l’istruzione superiore era ancora una prerogativa esclusivamente ecclesiastica, la compravendita illecita dei titoli d’insegnamento – la licentia docendi –  divenne un fenomeno talmente diffuso da richiedere una speciale misura d’intervento da parte del III Concilio Lateranense in quanto pratica simoniaca.[1] A distanza di poco meno di mille anni, il regime di libero mercato che governa i meccanismi di abilitazione all’insegnamento scolastico ha effettivamente trasformato la nostra licentia docendi nell’acquisto di un titolo. È dal Decreto 24 cfu del 2017, infatti, che l’accesso in cattedra ha assunto le caratteristiche inequivocabili di una transazione a beneficio del mercato universitario: abilitarsi prevede da allora il possesso di un ‘pacchetto’ di crediti, oggetto quantificabile e perciò più rassicurante rispetto al solo titolo di studio, percepito come fardello immateriale di una ‘vecchia’ scuola in cui i saperi erano ancora fini a sé stessi, liberi dal ricatto tardocapitalista della competenza come garanzia di un sapere utile e spendibile (e irrecuperabili, quindi, nella transizione aziendale verso la scuola del futuro).[2] L’invenzione dei crediti e l’origine del monopolio universitario delle abilitazioni sono da rintracciare nel Decreto Ministeriale 509/99, la celebre riforma del “3+2” (laurea triennale + laurea specialistica) che sanciva la psicosi dei numeri e il paradosso epistemologico della misurazione del sapere. Stava iniziando, come ricorda con dura ironia Federico Bertoni nel suo Universitaly, «l’era dell’Eccellenza»,[3] dove i crediti sarebbero divenuti la sola merce di scambio per la formazione e il reclutamento dei docenti nell’asse scuola-università. Con la messa in vigore dei 24 cfu, dietro la pretesa di un’alienata progettualità formativa che definisse le famose ‘competenze’ del docente – la litanìa antropo-psico-pedagogica e metodologico-didattica di parole senza cose – larghe schiere di studenti e di aspiranti docenti si sono sottoposte senza scelta a un grottesco percorso iniziatico di slides dal sapore wikipediano sulla storia dell’antropologia e della pedagogia. E mentre tutti concordavamo sul fatto che il re era decisamente nudo e che l’esame a crocette sull’importanza del gioco non ci avrebbe fornito nessuno strumento al difficile mestiere dell’insegnante, le università telematiche allargavano sensibilmente la loro fetta di mercato a chi aveva bisogno di ‘diventare’ docente in tempi brevi, ottenendo così i 24 crediti senza le lunghe attese e gli intrichi burocratici delle università pubbliche – e non è trascurabile, in questo quadro, che le università telematiche private abbiano guadagnato 224 mila iscritti in dieci anni, con l’11,5% di iscrizioni complessive a fronte del 2,5% del 2011.[4]

 

La vera consacrazione del mercato dei crediti è arrivata però con il DPCM del 4 agosto 2023, ipertrofia dei vecchi 24 cfu. Si tratta, infatti, di un percorso di alta formazione di 60 cfu, con tirocinio diretto ed esame finale, al termine del quale è possibile conseguire l’abilitazione all’insegnamento – e quindi l’iscrizione in prima fascia nelle Graduatorie Provinciali di Supplenza o l’accesso ai concorsi ordinari. Per velocizzare il processo di abilitazione e adeguarne i tempi all’inizio dell’anno scolastico, i corsi partiranno a metà luglio e si svolgeranno quasi interamente in presenza, con tirocinio diretto di dodici ore ed esame finale; ogni cfu corrisponde a sei ore di attività, per un totale di 360 ore da completare in poco più di due mesi. Non solo: i corsi sono a numero chiuso, quasi sempre molto limitato (a Padova, per esempio, si registrano solo 10 posti sulla classe di discipline letterarie e latino). Ma a rendere i nuovi percorsi abilitanti una versione degenerata dei 24 cfu sono i dati relativi alle tasse d’iscrizione. Il DPCM 4 agosto 2023, all’articolo 12, stabilisce come costo massimo la cifra di 2500 euro: ciò implica che i singoli atenei sarebbero liberi di imporre una tassa compresa tra 0 e 2500 euro. Eppure, tra le università che hanno già attivato il percorso, si fatica a trovare costi di iscrizione al di sotto della quadrupla cifra: ci si aggira intorno a 2182 euro per Ca’ Foscari, 2300 euro per Padova, 2500 euro per Palermo (e la lista può continuare a lungo senza grandi variazioni).[5] Per la prima volta nella storia della scuola pubblica l’accesso in cattedra è insomma regolato da un titolo equivalente a un Master – e non a caso a Venezia i nuovi percorsi abilitanti sono gestiti dalla Ca’ Foscari Challenge School, preposta ai Master e all’Alta Formazione.

 

Gli Atenei, comunque, non stanno rispondendo in modo adeguato all’elevatissima domanda dei candidati, lasciando così un ampio spazio di manovra ai colossi delle telematiche, che hanno provveduto in tempi record all’attivazione dei percorsi (da svolgersi, come si immagina, interamente online, ad eccezione del tirocinio). Alcune classi di concorso, infatti, sono ancora escluse dai bandi, mentre in altri casi i percorsi risultano attivi in pochissime università, a svantaggio di una larga percentuale di aspiranti docenti. E chi resta escluso dalle costose summer school abilitanti, per il numero chiuso o per la mancata attivazione della propria classe, trova così conforto nei sorrisoni-stock dei siti delle telematiche, che intrattengono ormai dal 2003 un felice quanto torbido sodalizio con la classe parlamentare (e soprattutto con la sua eredità berlusconiana).[6]

 

Se questa faccenda ha inferto un duro colpo a decine di migliaia di aspiranti giovani docenti, la vera tragedia riguarda il Quarto Stato degli insegnanti precari, ricattati non solo nell’obbligo paradossale di un’abilitazione su discipline che insegnano da anni, ma nei meccanismi stessi di accesso ai percorsi abilitanti. Si parla, nello specifico, di precari triennalisti e ultratriennalisti, che hanno cioè maturato almeno tre anni di servizio in cattedra (ma si arriva anche a quindici) lavorando con rinnovi di contratto annuali in attesa dei concorsi (e si ricordi che dal 2000 il governo ne ha banditi solo tre, senza contare quello del 2020, poi abolito). A pochissimi giorni dall’avvio dei percorsi si contano circa 250000 precari a rischio esodazione: non potendo ottenere il titolo abilitante entro la scadenza prevista per l’aggiornamento delle Graduatorie Provinciali di Supplenza, saranno privati della possibilità di accedere alla prima fascia e di ottenere così una cattedra annuale completa – e uno stipendio decente. Nonostante gli anni anni di esperienza (e di sfruttamento) non potranno contare su nessuna garanzia per le cattedre annuali del prossimo semestre, che perderanno a vantaggio di chi, avendo a disposizione tempo e denaro, entrerà in possesso del titolo abilitante prima di loro. E la vicenda assume i contorni di una vera e propria marginalizzazione di classe se si guarda, dall’altro lato, alle modalità di abilitazione dei docenti di ruolo e di sostegno, a cui è stata invece concessa la possibilità di seguire dei percorsi ad hoc – online, a libero accesso e senza tirocinio –, potendo così superare in prima fascia i precari non abilitati entro i termini di chiusura delle GPS. Come se non bastasse, il ministero ha recentemente approvato il riconoscimento dei titoli di abilitazione sul sostegno conseguiti all’estero. Anche in questo caso, come per i 24 cfu del 2017, il web rivela una fitta selva di agenzie intermediarie che promettono, al costo di varie migliaia di euro, il conseguimento in via telematica del titolo di abilitazione estero, con assistenza legale e burocratica per le pratiche di riconoscimento. L’agenzia di orientamento universitario Eurouniversity, parte dell’Srl Professional Service University, comunica senza grande pudore che, rispetto all’abilitazione italiana, «il percorso in Romania non richiede particolari requisiti aggiuntivi, rendendolo molto più snello rispetto a quello italiano» (ma tace sul prezzo). Sul sito web dell’Università Telematica Pegaso si può invece aggiungere direttamente al carrello il prodotto “Tfa Romania – Unica soluzione” al costo di 8.418 euro – e qui colpisce la violenza simbolica del gesto, come se a dividere l’insegnante dall’aula scolastica sia solo il tempo d’attesa del cerchio che gira su sé stesso nella schermata del pagamento.

 

È la soluzione finale della working class insegnante, la legittimazione di una nuova élite scolastica su base economica. Sul tappeto dei percorsi abilitanti sfileranno i docenti di ruolo, che potranno acquistare il diritto di spostarsi su altre classi di concorso, gli abilitati sul sostegno, che migreranno finalmente su posto comune e potranno abbandonare lo svilito surrogato del sostegno, e i neolaureati freschi di abilitazione, che andranno a rimpiazzare – giovani, belli e formati– le vecchie mandrie di insegnanti sfruttati da mandare al macello. Così il ministero ha definito la gerarchia corporativa dell’azienda scolastica, trasformato il diritto allo studio in un diritto al titolo, il mestiere dell’insegnante in un contenitore di competenze. Nel silenzio dei sindacati, i precari si sono auto-organizzati dal basso nel “Coordinamento Triennalisti” per ottenere almeno il diritto – doloroso e paradossale – di pagare come gli altri, di subire le stesse ingiustizie degli altri, pur di continuare a svolgere il proprio lavoro. Saranno stati ingannati pure loro dal silenzio inedito di questa rivoluzione, non più grande «rotazione di coordinate dell’uomo nel mondo»,[7] ma impercepibile contagio, aria viziata, alterazione della realtà che avviene a livello microscopico e manipola il dissenso a colpi invisibili di firme e decreti, di bandi che si materializzano sulle pagine delle università. Chissà se è un caso che questa impalcatura virtuale di titoli e abilitazioni si stia svolgendo all’ombra dei cortili ormai svuotati dalle vacanze o se non sia anche questa, col pretesto dell’efficienza istituzionale, una strategia per dissimulare l’alterazione e per far credere, al rientro di settembre, che tutto sia uguale a prima, che le cose non viste non siano mai accadute.

 

Note

 

[1] R. G. Witt, L’eccezione italiana. L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento (800-1330), trad. it. di A. Carocci, Roma, Viella, 2017 (ed. or. The Two Latin Cultures and the Foundation of Renaissance Humanism in Medieval Italy, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2012).

[2] E. Zinato, Contro la scuola e l’università neoliberali. Cinque punti per un dissenso leopardiano, su Le parole e le cose, 22 gennaio 2024 (link).

[3] Federico Bertoni, Universitaly. La cultura in scatola, Roma-Bari, Laterza, 2016, pp. 12-17.

[4] Rapporto ANVUR 2023 sul Sistema della Formazione Superiore e della Ricerca, p. 30 (link).

[5] Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 2500 euro; Roma Sapienza, 2000 euro; Università di Pisa, 1900 euro.

[6] R. Simone, Il business opaco delle università telematiche: il topolino diventato una montagna, Editoriale Domani, 10 maggio 2024 (link).

[7] G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti, 1971, p. 3, sulla scorta di Bertoni, Universitaly, p. 37, a proposito del processo di burocratizzazione del sapere universitario.

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