05 luglio 2024

COSI' FRANCESCO VINCI HA PRESENTATO "EREDITA' DISSIPATE" A MARSALA

 



Ecco come Francesco Vinci ieri, nel Baluardo Velasco di Marsala,  ha presentato  EREDITA'  DISSIPATE:


"Quando il buon Franco Virga mi ha proposto, credo in combutta con Gaspare Polizzi, di fargli da interlocutore per presentare Eredità dissipate, debbo confessare che mi sentivo piuttosto inadeguato. Io mi considero sostanzialmente un autodidatta, e ho comunque una formazione più letteraria che filosofica: della triade (Gramsci Pasolini Sciascia) conosco meglio Pasolini – forse meno peggio –  perché è il mio primo amore, letterariamente parlando, mentre Sciascia è un autore che sto (ri)scoprendo da lettore ‘adulto’. Per quanto riguarda Gramsci, che è l’autore paradigmatico di questo libro, in più di un’occasione mi sono dichiarato, in modo evidentemente semiserio, un gramsciano per difetto, in quanto odio più la retorica che gli indifferenti. Accostandomi nel frattempo al libro di Franco, però, mi sono accorto di quanto questi saggi, scritti in tempi e occasioni diverse, componessero un libro di lettura per certi versi avvincente, oltre che un libro denso e importante, non il solito tedioso saggio accademico né tantomeno (e per fortuna) il saggetto divulgativo e paranarrativo, nel solco di una certa ermeneutica tascabile, che tanto va di moda negli ultimi tempi. E così, l’invito di Franco è diventato per me anche una sfida, e il mio ruolo questo pomeriggio è prima di tutto quello del lettore cosiddetto ‘comune’, che attraverso le sue sollecitazioni vorrebbe lui per primo comprendere meglio le ragioni di questo testo.

 

Dopo una fortunata prima edizione, il libro di Francesco Virga viene ripubblicato in una edizione riveduta e ampliata, che ancora una volta riesce perfettamente a coniugare il rigore scientifico dell’impianto saggistico, con tanto di citazioni e apparato critico, e una larga godibilità di lettura: una chiarezza di linea espositiva che forse proviene anche dal suo mestiere di insegnante e di blogger militante. O magari è in qualche modo una di quelle eredità gramsciane evocate nel titolo e messe a frutto nel taglio argomentativo e nel tono della scrittura. Non amo molto, in genere, usare il termine divulgazione (lo ribadisco, soprattutto perché lo trovo riduttivo per un lavoro come questo), ma sicuramente il libro è anche un ausilio prezioso per approcciarsi a queste tre figure o approfondirle, oltre i luoghi comuni, le vulgate e le nozioni scolastiche. Le tre parti che compongono il libro si possono infatti agevolmente leggere come dei corposi contributi critici a sé stanti sulle figure di Gramsci, Pasolini e Sciascia, ma nel libro confluiscono anche degli scritti occasionali – in gran parte pubblicati previamente su varie testate e riviste – in cui lo spettro d’indagine si allarga su aspetti meno battuti dei tre autori: penso per esempio al capitolo dedicato a Pasolini e Bach, che prende le mosse da uno studio recente di Claudia Calabrese sul rapporto tra Pasolini e la musica.

Come tanti testimoni e lettori eccellenti hanno attestato nel corso delle due edizioni (in appendice a questa nuova edizione troviamo una galleria di note critiche, firmate tra gli altri dallo stesso Polizzi e dal nostro Nicolò Messina), Eredità dissipate si colloca come punto di incrocio tra critica e esegesi letteraria, analisi politica e storia della cultura italiana nel secondo ‘900. Un lavoro di ricerca annoso e di lungo respiro in cui l’autore si mette sulle tracce della ricezione di Antonio Gramsci nelle opere di Pasolini e Sciascia, scandaglia e collega testi, documenti, testimonianze con una perizia filologica e una passione militante davvero esemplari.

Di Pasolini si rileva in primo luogo che la sua interpretazione del marxismo è assimilabile a quella di Gramsci, in quanto metodo e strumento per comprendere i fatti storicamente determinati, e non sistema fisso e pura dottrina dogmatica, soprattutto nel Pasolini interventista e collaboratore del settimanale comunista “Vie Nuove” (mentre si tralascia volutamente il Pasolini tormentato delle Ceneri di Gramsci, diventato quasi un luogo comune critico). Di Sciascia si ricorda invece la lunga e intensa attivista pubblicistica sulle pagine de “L’Ora” di Palermo che – come scrive Virga – sono di “inconfondibile impronta gramsciana, persino nello stile graffiante della sua scrittura”.

Come l’autore stesso esplicita, sia nell’introduzione che nella nota conclusiva, la tesi di fondo, e se non una vera e propria tesi, una preoccupazione che anima le pagine di questo libro è che la grande lezione di questi tre giganti del secolo scorso venga dissipata (appunto), dimenticata o rimossa: un po’ per la loro sostanziale inclassificabilità e il loro percorso eretico, ma soprattutto per la crisi della cultura e del pensiero critico nell’epoca dell’opinionismo estemporaneo dei talk e delle approssimazioni social.

Aggiungerei una chiosa finale: a mio modesto avviso sta accadendo qualcosa di peggio rispetto a Gramsci, Pasolini e Sciascia (così come a tanti altri classici che vengono più citati che letti per davvero): la loro riduzione a pura icona social per cui di ogni grande autore conosciamo ormai soltanto qualche fugace citazione (a volte persino errata o manipolata), spesso esibita come un feticcio o uno slogan. Di conseguenza, di Gramsci sappiamo poco o nulla, ma ci basta sapere e reiterare col copia e incolla che odiava gli indifferenti e che ogni giorno per lui era capodanno; Pasolini è quello che sapeva ma non aveva le prove, quello dell’inflazionatissima supplica alle madri e l’imbalsamato autore di “T’insegneranno a splendere, e tu splendi invece”; e il povero Sciascia, naturalmente, quello dei professionisti dell’antimafia (un titolo giornalistico attribuitogli come una delle sue frasi memorali): uno Sciascia sempre à la page, buono per tutte le occasioni di polemica e tutti i sicilianismi."

FRANCESCO VINCI

 

 

 

 

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