La Repubblica, Palermo 3 novembre 2024
“SICILIA ISOLA CONTINENTALE
PSICOANALISI DI UNA IDENTITA”
I processi identitari, sono per loro natura assai complessi.
Li percepiamo attraverso momentanee sensazioni, opinioni, prese di posizione politiche,
storiche ideologiche, letterarie e istituzionali. In primo piano è la loro
fragilità e durata, la loro labilità, il ripetitivo e ossessivo alternarsi di
strutturazione e destrutturazione. C’è addirittura chi, come Francesco Remotti,
si schiera contro l’identità, e chi come Ferdinando Albertazzi, contro la
“rivendicazione di sé - etnica, politica, religiosa, localistica che fissa il
confine tra noi e gli altri”. In primo piano, se proprio vogliamo approfondire
al meglio possibile i processi identitari, è l’esigenza di studiarli non
accontentandosi delle cicliche e labili fiammate identitarie, ma di avvalersi
dell’intreccio di categorie storiografiche, letterarie, linguistiche,
economiche, politiche, istituzionali. Ma possiamo anche avvalerci di categorie
psicoanalitiche come ci propone Franco Lo Piparo in questo molto interessante
libro: “Sicilia isola continentale. Psicanalisi di una identità” (Sellerio,
2024), che non si lascia imbrigliare nei labirinti identitari.
Ed è un’operazione riuscita quella di mettere a nudo
l’inconscio dell’isola, “come tana, fodero ovattato o trappola, luce e lutto,
orgoglio e condanna, esclusione dal mondo ma anche specola privilegiata per
indovinarne il destino, con una sensibilità, ancor più che nazionale,
audacemente cosmopolitica (come ha scritto Nunzio Zago nel saggio “Un'isola non
abbastanza isola”. I siciliani fra gli scrittori d'Italia”), e come la ha
descritta il palermitano d’origine Angelo Maria Ripellino «imbrattata delle fuliggini
del Mitteleuropea» e di mille altri «umori stranieri» (A.M. Ripellino, Poesie.
1952-1978, a cura di A. Fo, A. Pane e C. Vela, Einaudi, Torino, 1990, p. 249).
Già lo storico Giuseppe Giarrizzo aveva messo in evidenza paradossi e contraddizioni di una storia siciliana «difficile, persino paradossale, tesa tra contraddizioni epocali, di somma civiltà e di crudeltà primitiva, di civile arretratezza e di raffinata cultura» G. Giarrizzo (1987), “Sicilia oggi 1950-86”, nel volume a cura di G. Giarrizzo, M. Aymard “ Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, La Sicilia, Torino, Einaudi, p. 669, che ospitava pure il saggio di Lo Piparo, su “Sicilia linguistica”). Giarrizzo di fronte ai mutamenti degli anni ’60 che lasciavano intravedere una possibile Sicilia “normale”, criticava la Sicilia dei miti e delle metafore.
SALVATORE COSTANTINO (Dal suo Diario Facebook)
Giarrizzo si soffermava sugli stereotipi e sulla produzione e
riproduzione di miti e metafore che, come prismi deformanti, stravolgono
l’analisi della Sicilia reale. Ma come si formano gli stereotipi e i miti? Che
uso vien fatto della sciasciana “Sicilia come metafora”? Lo storico esemplifica
con un riferimento al romanzo di Stefano D’Arrigo “Horcynus Orca” e, in
particolare, ad un brano in cui l’elaborazione metaforica si sviluppa nella
narrazione del feroce e macabro amore offerto all’ignaro marinaio “afflitto e
stanco” dalle sirene nello Stretto di Messina:
Lo storico catanese non si lascia ammaliare dai giochi
linguistici e dalla mitologia grondante sensualità, erotismo e violenza della
prosa di D’Arrigo. Anche questa prosa gli pare lasciar sprofondare la Sicilia,
ancora una volta, nel pozzo senza fondo dei miti e delle metafore per sancirne
l’inesorabile, fatale, arcaica impossibilità di essere normale, per stressare e
rimuovere la stessa idea normalissima di progresso quella mistura strana «tutta
apparenza, illusione, e presunzione» di cui parlava Federico De Roberto ne
L’imperio.
Con queste osservazioni di Giarrizzo mi piace concludere
queste mie piccole osservazioni su “Sicilia isola continentale”, meritevole di
ben altri approfondimenti , riprendendo la nota conclusiva di Lo Piparo di cui
riporto qui la parte iniziale:
“Nel congedare il libro un pensiero va a Giuseppe Giarrizzo.
Ricerche e riflessioni qui contenute non sarebbero mai nate senza le nostre
numerose chiacchierate che iniziarono alla fine degli anni Settanta del secolo
scorso”. Ha ragione Franco: nessuno meglio di Giarrizzo avrebbe potuto fare la
prefazione al testo che è ora il libreria.
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