06 dicembre 2014

WOODY ALLEN: MAGIE AL CHIAR DI LUNA



Ho visto ieri sera con grande piacere Magic in the Moonlight di Woody Allen, un film deliziosamente retrò che strizza l'occhio ai grandi classici hollywoodiani. Di seguito potete leggere una recensione  pubblicata dal Manifesto.
Giulia D'Agnolo Vallan
Schermaglie filosofiche tra champagne e illusioni
Stan­ley Cra­w­ford (Colin Firth), nasco­sto die­tro a un chi­mono fio­rato e a un paio di lun­ghi baffi finti, sega in due ragazze semi­nude e fa scom­pa­rire ele­fanti per la deli­zia delle pla­tee lon­di­nesi anni venti. Nome d’arte Wei Lin Soo. Come Hou­dini, l’illusionista dell’ultimo film di Woody Allen, Magic in the Moon­light, ha una car­riera paral­lela, che con­si­ste nello sma­sche­rare una lunga serie di mil­lan­ta­tori di facoltà para­nor­mali.

Cau­stico, tagliente di lin­gua e in pro­cinto di spo­sarsi con una donna pra­tica a rea­li­stica come lui, Cra­w­ford crede solo nell’ordine in un mondo essen­zial­mente disor­di­nato, nella fina­lità della morte, e nei peg­giori istinti dei suoi simili. Quando un col­lega chiede il suo inter­vento pro­fes­sio­nale sulla riviera fran­cese, dove Sophie, una gio­vane veg­gente di pro­vin­cia (Emma Stone), ha sedotto il ram­pollo di una ricca fami­glia ame­ri­cana (Hamish Lin­kla­ter), Cra­w­ford accetta la sfida. Pospone una vacanza «intel­li­gente» con la fidan­zata, che essendo di buon senso non si scom­pone gran­ché, e si dirige sulla Costa medi­ter­ra­nea, illu­mi­nata da Darius Kon­d­hji con la luce rosa e magica di certi qua­dri impressionisti.

Uno dei film più belli da guar­dare che Woody Allen ha girato da anni a que­sta parte, Magic in the Moon­light è una cop­pia di cham­pa­gne che segue la vodka ghiac­ciata di Blue Jasmine, una com­me­dia roman­tica ambien­tata in una colo­nia di expat che ricorda quella di Tenera è la notte dell’adorato Fitz­ge­rald, e che rimanda a gran­dis­simi clas­sici hol­ly­woo­diani come My Fair Lady di George Cukor e Un amore splen­dido di Leo McCa­rey.

Pre­sti­gia­tori, chi­ro­manti, ipno­ti­sti, sedute spi­ri­ti­che, taxi magici, mac­chine del tempo…e una certe per­mea­bi­lità tra il mondo reale e quello dell’illusione pun­teg­giano qua e là la fil­mo­gra­fia di Allen –dal mor­phing di cinema a realtà di La rosa pur­pu­rea del Cairo, ai più recenti viaggi nel tempo di Mid­night in Paris, alla sua deli­ziosa rein­ter­pre­ta­zione di Giu­lietta degli spi­riti, Alice, al mistery comico La male­di­zione dello scor­pione di giada.

Il caos, l’irrazionalità, e quindi la magia, vin­cono quasi sem­pre sulla visione razio­nale e pessimo/deterministica incar­nata nei film da per­so­naggi inter­pre­tati, se non dallo stesso Woody Allen, da un suo alias. Si tratta di una conversazione/battaglia inte­riore che il regi­sta new­yor­kese con­duce da sem­pre, e a cui Magic in the Moon­light è inte­ra­mente dedi­cato. Colin Firth porta al ruolo «di Woody» un’irreprensibilità che fa molto Fitz­wil­liam Darcy, men­tre Stone, avvolta in impal­pa­bili mise da flap­per e cha­pe­ro­ned da una mamma arri­vi­sta (Mar­cia Gay Har­den), è un mix tra una ninfa disneyana e un’avventuriera ame­ri­cana model­lata sulle eroine tra­gi­che di Edith Whar­ton e Henry James.

«Non è male. Anche se fosse una truf­fa­trice» dice a Stan­ley la magni­fica zia Vanessa (l’attrice inglese Eileen Atkins) un diretto omag­gio all’altrettanto magni­fica nonna Janou (Cathleen Nesbit) che Cary Grant e Debo­rah Kerr anda­vano a tro­vare in una villa a picco sulla Costa azzurra in Un amore splendido.

Ville ele­ganti, son­tuosi giar­dini e un Medi­ter­ra­neo che più cri­stal­lino di così non si può, fanno da cor­nice alla bat­ta­glia filo­so­fica tra Stan­ley e Sophie, com­bat­tuta secondo i tempi comici impec­ca­bili di una com­me­dia anni trenta. Capelli rossi, occhi blu impe­ne­tra­bili e le mani che flut­tuano nell’aria come per dar corpo a imma­gini che vede solo lei, Sophie è un’avversaria peri­co­lo­sis­sima per il finto mago cinese. L’innamoramento tra i due che pre­ve­di­bil­mente deriva dallo scon­tro non è pia­ciuto a molti cri­tici ame­ri­cani, infa­sti­diti dall’ennesima love story tra un uomo di mezza età a una ragazza molto più gio­vane di lui. Ma Pig­ma­lione è una figura ricor­rente nella fil­mo­gra­fia alle­niana (e poi, non suc­cede così anche nella realtà?)

A quella fil­mo­gra­fia, Magic in the Moon­light non porta nulla di straor­di­na­ria­mente nuovo (ma c’è un’epifania reli­giosa a sor­presa), e certo non è un oggetto inci­sivo, attuale e ispi­rato come Blue Jasmine. Ma è pieno bel­lezza, di gioia del rac­conto e di cose che stanno a cuore al suo regi­sta. Un incan­te­simo personalissimo.


Il Manifesto – 4 dicembre 2014

1 commento:

  1. tutto vero, condivido il giudizio di Giulia D'Agnolo. E' un film sulla leggerezza della complessità esistenziale quando si sa affrontare con lo spirito giusto e la necessaria distanza emotiva. Si esce dalla sala con una sensazione assolutmente gradevole :-)

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