“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
10 aprile 2025
PER UNA NUOVA FILOSOFIA DEI CORPI
Agire politico e agire sociale. Su “Filosofia dei mezzi. Per una nuova politica dei corpi” di Elettra Stimilli
di minima&moralia pubblicato mercoledì, 9 Aprile 2025 · Aggiungi un commento
di Alessandra Gissi
Una contadina delle Langhe, che durante un rastrellamento aveva lasciato che i partigiani nascondessero le armi sotto la paglia nella sua stalla, vede arrivare i tedeschi, e nel momento in cui si affacciano alla porta si accuccia a urinare proprio in quel punto dello strame ‒ e li scaccia protestando rabbiosamente.
Si salva così, e salva i partigiani, una donna anziana, inerme, sola, che sa che i tedeschi usano trafiggere coi forconi le balle di fieno e la paglia per scovare persone e armi, sa che le chiederanno notizie sulla banda, e in una frazione di secondo decide di giocare il doppio tabù del suo corpo anziano parzialmente nudo, e del fiotto di urina emesso davanti a occhi maschili. Genio, cos’altro? […] anche oggi qualcuno li fa rientrare nell’economia della sopravvivenza, la tradizionale pratica di chi si trova in condizioni di vulnerabilità e deve attrezzarsi a interpretare l’altro. E con questo? È lucidità nel vedere l’ordine maschile com’è, pieno di punti ciechi e di paura del corpo sessuato. È un attacco a alcune connessioni basilari, donna = sprovvedutezza, corpo = vergogna, e l’espressione di una infinita lontananza dal registro eroico-esibitivo che altre hanno condiviso. La politica comincia così.
È un frammento della storica Anna Bravo che sulla resistenza delle donne ha lavorato a lungo. Un fiotto di urina per parlare di Resistenza, di politica e politico. Nell’ultimo libro di Elettra Stimilli Filosofia dei mezzi. Per una nuova politica dei corpi (Neri Pozza, 2023, pp. 223, 18 euro) ritroviamo questo frammento come passaggio decisivo dell’argomentazione. Un fiotto di urina elemento cruciale di un libro di filosofia.
Persino (o forse soprattutto) la più umile tra le funzioni del corpo, individuata nella sua potenza e sottratta alla più scontata e svalutativa delle interpretazioni, serve a Stimilli per squadernare il modo in cui il pensiero filosofico occidentale ha letto i mezzi soltanto in relazione ai fini e ha costruito una ostinata visione teleologica che rimuove i corpi e ignora la sessuazione del mondo.
Il gesto inaspettato della donna anziana è un esempio dell’«irruzione del corpo come strumento altrimenti politico […] è il sintomo della forza – politica – dei corpi». Espunto dalla narrazione della Resistenza eroica e declinata al maschile, in tutta la sua banalità, l’atto rimanda a quello scenario rimosso e dichiarato osceno – che letteralmente non appartiene alla scena – che la tradizione filosofica maschile si è sforzata di nascondere. I mezzi sono per lo più pensati in modo da rendere i corpi invisibili, privati così del potenziale politico e sono concettualizzati «in una logica che non li contiene».
Si può dire che questo sia l’antefatto e l’approdo. Il libro invita – senza timidezza – a un ripensamento radicale della filosofia politica, del diritto e dell’economia, partendo dai corpi e dalla loro materialità. La sfida consiste nel decostruire l’universalismo astratto della ragione occidentale per dare voce a soggettività storicamente marginalizzate, trasformando i “mezzi” da strumenti di dominio in pratiche di liberazione.
Stimilli si incunea dentro e prova a riportare alla luce un’“altra” genealogia, «concetto operativamente ricco» secondo una definizione che la stessa Anna Bravo aveva lasciato a Luigi Monti in occasione di un’intervista (si può leggere qui).
Rideclinare il politico, risemantizzando la meno eroica delle funzioni del corpo come atto di resistenza è una scelta interessante e, forse, non casuale. Come ha notato Howard Caygill – ancora un filosofo – nel volume On Resistance: A Philosophy of Defiance (Bloomsbury, 2013) la resistenza è stata una delle espressioni più importanti e durature dell’immaginazione e dell’azione politica del ventesimo secolo. Eppure, nonostante la mole di testi dedicati a provocare, sostenere o reprimere, la resistenza rimane stranamente non analizzata e anzi resistente all’analisi filosofica.
Non si può dire lo stesso da parte della storia e tuttavia, ci troviamo di fronte a una specie di antitesi tra il suo riconoscimento e una comprensione spesso precaria. Quanto c’entra la difficoltà a vedere e leggere i corpi? Da un verso ci affidiamo a interpretazioni quasi metafisiche. Un appiglio nella ricerca affannosa di categorie fisse e gerarchizzate, di protagonisti univoci. Un’astrazione sottratta alla storia, figlia anche di alcune sclerosi interpretative che hanno costruito confini invalicabili, dogmi, e una tensione a pensare la sfera politica come il luogo disincarnato delle istituzioni dove le esigenze primarie dell’umano, vengono relegate nell’ambito del pre-politico. Tutto questo determina, anche, una concezione a dir poco striminzita della politica e della sfera del politico e, di conseguenza, una difficoltà a leggere il multiforme dell’agire.
Come già la stessa Anna Bravo, con strumenti diversi, Stimilli mette radicalmente in discussione la rigida partizione che ha tenuto distinto l’agire politico da quello culturale e sociale, suggerisce differenti modelli di autorevolezza e il rovesciarsi di gerarchie simboliche e tematiche. Intreccia nodi teorici alla materialità dei corpi, alle loro necessità, alla “riduzione del danno”. Rivisita, anche radicalmente, quelle dicotomie sulla cui soglia si presenta la difficoltà interpretativa: organizzazione/spontaneità, pubblico/privato, in una radicale ridefinizione della sfera politica, dell’agire politico come campi del mutamento, anche di scala.
L’utilità della categoria di genere (Joan W. Scott, Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, originariamente pubblicata nell’American historical Review nel 1986) è evidente nella sua duplice natura: da un lato, funziona come strumento normativo – un meccanismo attraverso cui il potere si organizza in rapporti rigidamente gerarchici – dall’altro, agisce come forza trasformativa, capace di smantellare le norme esistenti e riplasmare le dinamiche di potere e le culture politiche. Accanto a una visione tradizionale del potere e della politica – concentrata sui dibattiti ideologici, sulle strutture organizzative, sulle biografie di leader e militanti – emerge una ridefinizione più complessa: il potere non è solo dominio o esercizio decisionale dall’alto, ma anche espressione di soggettività e frutto di relazioni diffuse che permeano l’intero tessuto sociale.
Come ha suggerito la storica Elissa Mailänder si tratta di produrre un’«histoire incarnée», che nell’«esplorare il significato politico della vita quotidiana» non resti cieca verso i corpi ma dispieghi le potenzialità dell’ottica interpretativa che considera il genere come «elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi», e come «fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere».
Cosa ci consegna, infine, Stimilli: una critica alla razionalità strumentale e alla storia come processo lineare. La filosofia europea, da Hegel in poi, ha spesso concepito la storia come un continuum orientato a un fine, relegando i mezzi a una posizione subordinata. Questa visione, legata a una soggettività “disincarnata” (implicitamente maschile), ha prodotto una “violenza epistemica” (quella enucleata da Gayatri Chakravorty Spivak), ossia un’egemonia culturale che cancella corpi e differenze. Elementi inevitabili della genealogia di questa critica: Hannah Arendt e Walter Benjamin, figure chiave per decostruire la razionalità strumentale. In particolare, la “teleologia senza scopo finale” di Benjamin, dove i mezzi non sono strumenti per un fine predeterminato, ma espressione di una politica radicata nel corpo collettivo, “corpo vivente dell’umanità”. E ancora Silvia Federici e l’individuazione del lavoro riproduttivo (non retribuito) delle donne come strutturale nell’organizzazione capitalista e la critica femminista all’intersezione tra genere, lavoro e potere. Una lettura rinnovata dei corpi come “mezzi comuni di riproduzione sociale”, luoghi di resistenza e cura, anziché meri strumenti.
Senza eludere il diritto occidentale che ha storicamente disincarnato i soggetti. La lunga durata del venter romano, dove il corpo femminile è ridotto a contenitore giuridico e il persistente difetto di autodeterminazione dei corpi riproduttivi.
Come può la politica femminista riconfigurare i mezzi a partire dai corpi, anziché contro di essi? In che modo il diritto può essere riletto per sfuggire alla sua tradizione astratta e disincarnata?
Quali sono le ambivalenze della “cura” come paradigma alternativo?
Si tratta – come suggerisce l’autrice – di ripensare nuovi equilibri, di percorrere l’esile ma “resistente” filo di un continuo attraversamento. I mezzi, né fine né strumento, come sistemi aperti non neutri, non riducibili a logiche predeterminate e rigide, espressione di un’autonomia radicata nella materialità dei corpi e nelle pratiche sociali.
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Alessandra Gissi insegna Storia contemporanea all’Università di Napoli L’Orientale. Si è formata tra la Sapienza, università di Roma, Napoli e Amsterdam. Le sue aree di specializzazione includono la storia italiana ed europea e particolarmente la storia dei corpi riproduttivi e delle politiche demografiche nell’Italia liberale e fascista. Si interessa anche di storia dei femminismi e di storia delle migrazioni. È stata redattrice della rivista della Società italiana delle storiche Genesis e nella direzione della rivista quadrimestrale Italia Contemporanea.
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