“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
09 febbraio 2025
TARDO FASCISMO
TARDO FASCISMO
di Marco Fontana
pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=50875
È utile qualificare come “fascista” la nuova faccia della reazione odierna? Non propriamente, spiega Alberto Toscano in Tardo fascismo. Le radici razziste delle destre al potere (DeriveApprodi, 2024), un libro che tenta di pensare il fascismo come “processo e potenziale” che avanza rispondendo, a modo suo, a uno scenario di crisi. Per capire se Trump stia portando gli Stati Uniti verso un nuovo fascismo non ha senso riflettere in maniera analogica rispetto al passato, facendo paragoni con le tappe che hanno portato al ventennio o all’ascesa nazista. È più sensato, secondo Toscano, cessare di considerare il fenomeno nella sua straordinarietà e legarlo sulla lunga durata alla dominazione capitalista e ai suoi funzionamenti. Il problema del fascismo, ha detto Karl Polanyi, è vecchio quanto il capitalismo: per questo occorre guardare al modo in cui reagisce a scenari di crisi e al modo in cui, come tutti gli altri fenomeni, varia al variare del contesto socio-economico.
Lasciare la strada dell’analogia storica per prendere quella della disanalogia, per Toscano significa misurare l’articolazione del fascismo su livelli temporali diversi, cioè sul suo collocarsi dentro e fuori dalla contemporaneità (con Ernst Bloch) mobilitando progetti nostalgici e nazionalisti di palingenesi. Il tipico discorso fascista tende a rifarsi a un passato eroico e ad aspirare ad un futuro non realizzato, svuotando di senso ogni concreta storicità e trasformandola in una “pappa”, come ha detto Furio Jesi, modellabile a seconda del bisogno[1]. Di questa continua operazione di ri-significazione del passato, di cui Mimmo Cangiano ha recentemente spiegato i funzionamenti[2], la cultura di destra fa il suo marchio speciale presentandosi come rigeneratrice sociale e come baluardo di fronte ai colpi disgreganti della modernità. Oggi lo vediamo nel panico che il tardo fascismo manifesta nei confronti dell’ideologia del gender e della sostituzione etnica che porta il nostro governo, ad esempio, a inseguire i trafficanti di migranti su tutto er globbo terracqueo [sic]. Salvo che poi, come dimostra il caso Almasri, non è così; così come non c’è nulla di rigenerativo nelle promesse trumpiane di protezione delle classi popolari, perché la difesa dei maggiorenti della Silicon Valley non può accompagnarsi a quella di chi per loro lavora[3]. Ogni progetto populista di cambiamento sociale, spiega infatti Toscano, diventa una “parodia del cambiamento”, dato che il (falso) progressismo della destra promuove un egualitarismo repressivo e mai emancipatorio. Il fascismo, che non ragiona in termini di totalità, quando si rivolge a una “classe” propone discorsi identitari che trasmettono un predicato razziale. Non ha senso, allora, parlare da sinistra della “fine della classe operaia” se la si imputa all’elettore bianco, perché quella “classe” non esiste realmente come corpo collettivo ma è solo un «simulacro di classe». In questo modo non si dà il primato al ruolo che quella classe gioca realmente nella catena di produzione ma si finisce per conferirlo alla bianchezza. Viceversa, per Toscano la classe va pensata come basilare anticorpo a una politica di sfruttamento e va slegata dal contenuto identitario che ne inficia la posizionalità.
Per mettersi in contrasto a queste logiche, Toscano trova un altro anticorpo essenziale sul piano critico nel vasto archivio del pensiero antifascista del XX secolo. Il secondo capitolo di Tardo fascismo è una discesa nel pensiero radicale nero, risorsa indispensabile per ragionare in senso differenziale sul fascismo e sui meccanismi di sur-sfruttamento (Claudia Jones) del capitalismo razziale. Nelle riflessioni e nelle esperienze di George Jackson, Angela Davis e Cedric J. Robinson, Toscano trova un repertorio utile a uscire dall’impasse del pensiero analogico e a sfatare il mito dell’antitesi tra dispotismo fascista e democrazia liberale. Il legame tra nazionalismo e capitalismo illustra infatti sulla lunga durata le radici violente del colonialismo attivo in forme di fascismo prima del fascismo. Guardare al pensiero nero serve a inserire il nostro presente all’interno di un arco temporale segnato con ricorsività dal fascismo razziale. Un fascismo quindi da intendere come processo, suggerisce Angela Davis, cioè come una forza incipiente posta a difesa di una supremazia bianca che agisce in maniera “preventiva” esautorando un’intera comunità dal sistema dei diritti. Robinson, in Black Marxism[4], spiegava che il fascismo per i neri non è un’aberrazione storica del passato, ma una concreta e attiva disciplina sociale di dominio: ecco perché serve uscire dall’analogia e ragionare sul fascismo potenziale insito nelle dinamiche statali. Seguendo questa via, Toscano invita ad osservare le modalità con le quali uno Stato afferma pratiche razziali e sottrae diritti mediante azioni “invisibili” che si riversano poi sulle maggioranze. Da questo punto di vista, il Ddl Sicurezza è per noi più pericoloso del movimentismo episodico dell’estrema destra perché modifica strutturalmente la cosa pubblica. Spiega Toscano, infatti, che le democrazie liberali odierne non fanno automaticamente da argine contro il fascismo incipiente, ma possono servirsi del potenziale congenito che ha il capitalismo nella gestione violenta delle crisi. Una violenza che, ai nostri giorni, è favorita dall’assenso concesso a pratiche economiche neoliberali che, percepite come ordo naturalis, conducono senza rimedi al graduale smantellamento dello stato sociale. Il risultato è il formarsi di quello che Toscano, via Gilmore, chiama lo «Stato anti-Stato», cioè una forma di laissez-faire coercitivo (niente affatto neutrale sul piano politico) che radicalizza la supremazia delle classi dominanti (l’ultimo insediamento di Trump ce ne dice qualcosa). Tutto ciò dà il la a un’estrema destra che si muove ambiguamente tra il bisogno di uno Stato forte a difesa di una “razza” e un antistatalismo che infine lascia indenne un capitalismo privo di ogni direzione ideologica. Lo si vede bene, ad esempio, nella promessa del mantenimento di un’“italianità” coesa e il contemporaneo avvallamento all’ingresso dei capitali stranieri che svuota le nostre città distruggendo il tessuto urbano – a conferma che in questo scenario l’unica comunità reale, come aveva già detto Marx nei Grundrisse, è il denaro. Da qui sorge un nuovo fascismo che è tanto una reazione contro gli effetti del neoliberalismo (lo “sfaldamento” organico di cui ha timore la cultura di destra) quanto un’identificazione con le pratiche coercitive presenti nello Stato anti-Stato: «questo tardo fascismo, che arriva dopo le inutili profezie sulla neutralizzazione neoliberale del politico, è una sorta di affermazione di secondo ordine o di riflesso del rovescio autoritario del neoliberalismo» (85).
Quello descritto da Toscano è, in definitiva, un fenomeno ricorsivo che cattura malesseri diffusi e che si presenta sempre come una contro-rivoluzione senza rivoluzione. Ecco perché ogni tentativo di politicizzazione (falsamente) promosso dal tardo fascismo si arena nell’anti-politico: lo vediamo non solo nella difesa di un simulacro della classe operaia, ma anche nella difesa di un “antifemminismo femminile” che agisce normativamente sancendo ulteriori forme di diseguaglianza. Il tardo fascismo è quindi da intendersi come un processo che perpetua forme di dominio e violenze ed emerge in tempi di crisi a cui risponde in maniera anti-emancipatoria. La prospettiva da cui Toscano guarda a questo fenomeno – la disanalogia e la potenzialità proiettata sulla lunga durata – risulta funzionante perché adotta la strategia di quel “manichino” delle Tesi sul concetto di storia che vinceva sempre a scacchi grazie alla sua contromosse. Quella contromossa, come ha detto Benjamin, è il “materialismo storico” che serve a capire che, in questo processo, l’unica cosa che continua a salvarsi, al di là di ogni revanscismo o populismo autoritario, è il capitalismo, un capitalismo così forte di fronte alle crisi da riuscire a «salvare il capitalismo dal capitalismo» (171). Per questo – chiude Toscano con Horkheimer – va compreso che «chi non è disposto a parlare di anticapitalismo dovrebbe tacere anche sull’antifascismo».
Note
[1] F. Jesi, Cultura di destra. Con tre inediti e un’intervista, a cura di A. Cavalletti, Roma, Nottetempo, 2011.
[2] M. Cangiano, Culture di destra e società di massa. Europa 1870-1903, Milano, Nottetempo, 2022 p. 103.
[3] Ne ha parlato di recente Luca Celada: https://centroriformastato.it/il-piano-di-silicon-valley-per-la-tecno-repubblica/.
[4] C.J. Robinson, Black marxism. Genealogia della tradizione radicale nera (1983), Roma, Alegre, 2023.
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