LA REPUBBLICA: un giornale alla deriva
Stefano Cingolani, Il passo a lato di Elkann, Il Foglio, 4 ottobre 2024
Roma.
Maurizio Molinari non è più il direttore della Repubblica, ma (o forse
soprattutto) John Elkann non è più il presidente della Gedi, la società che
edita il quotidiano. Al posto di Molinari da lunedì prossimo ci sarà Mario
Orfeo che molla il Tg3, mentre Maurizio Scanavino oggi amministratore delegato
diventa presidente lasciando la gestione a Gabriele Comuzzo. Ha vinto il
comitato di redazione che ha condotto un durissimo scontro con il direttore e
con i vertici della Gedi? Ha vinto Giorgia Meloni che ha fatto della Repubblica
il proprio nemico numero uno mentre la Repubblica trasformava il capo del
governo nella sua bestia nera? O forse ha vinto Elkann che ha seguìto l’impulso
ad allontanarsi dall’Italia dove nulla sta andando come avrebbe voluto? Anche
se nel suo caso di vittoria è difficile parlare con tutti i guai che si trova
fra i piedi, quelli privati con l’eredità di nonna Marella e quelli pubblici a
cominciare dalla Stellantis e da Carlos Tavares che ieri, la giornata degli
addii, ha detto di voler andare in pensione nel 2026 per poi fare una mezza
marcia indietro.
Lo sciopero della Repubblica il 25 e 26 settembre, proprio mentre a Torino si
celebrava l’annuale Italian Tech Week, è stato preso come un affronto da Elkann
che dialogava in tenuta casual con Sam Altman e annunciava un accordo con
OpenAi che offre a Chat Gpt accesso ai contenuti editoriali del gruppo. I
giornalisti protestavano contro due email della proprietà: in una venivano
invitati a privilegiare gli interessi degli sponsor, l’altra conteneva un
elenco dei pezzi per l’inserto di 112 pagine dedicato all’evento. E’ solo
l’ultimo casus belli: i giornalisti hanno sfiduciato il direttore Molinari
quando nell’aprile scorso ha mandato al macero l’inserto Affari&finanza per
cambiare un pezzo non allineato (parlava di legami squilibrati tra Francia e
Italia sulla politica industriale), e hanno approvato un decalogo contro le
intrusioni della pubblicità. Durante il festival di Sanremo il direttore aveva
bloccato una intervista a Ghali che non conteneva nessuna presa di distanza da
Hamas e dalla strage del 7 ottobre.
Ma se la uscita di Molinari covava da tempo, le dimissioni di Elkann sono
inattese. E’ vero che lascia oneri e onori al fido Scanavino, ma quella patata
è diventata troppo bollente. Lo è sul piano editoriale perché le vendite
continuano a calare e la distanza con Corriere della Sera aumenta. Lo è sul
piano politico perché lo scontro tanto aspro e frontale con Giorgia Meloni, non
solo con il suo governo, sta producendo ricadute molto scomode, la prima delle
quali è su Stellantis. Il gruppo automobilistico del quale la Exor di Elkann è
il primo azionista con il 15 per cento, sta andando male quasi ovunque,
compresi gli Stati Uniti, ma in Italia è un tonfo di oltre il 30 per cento. Ci sono
impianti fermi, lavoratori in cassa integrazione, c’è un tavolo aperto al
ministero guidato da Adolfo Urso che non fa passi avanti, c’è la partita degli
incentivi che finora non è andata come la Stellantis avrebbe voluto, cioè a
vantaggio dell’auto elettrica verso la quale vengono riconvertite le fabbriche
dell’unico produttore automobilistico in Italia. Si è creato così un conflitto
di interessi tra l’Elkann dell’auto e l’Elkann della Repubblica. Secondo alcune
voci fuori scena, anche altri azionisti avrebbero alzato le sopracciglia: forse
sarebbe stato meglio, nell’interesse di Stellantis, dividere le sorti.
C’è anche un’altra spiegazione (per ora solo una speculazione). John Elkann
aveva detto e ripetuto che l’editoria era una delle gambe fondamentali della
strategia di Exor, dopo la fusione tra Fca e Psa. La holding degli eredi
Agnelli, una volta sistemata l’auto diventata un peso (anzi un pozzo di San
Patrizio come soleva dire Umberto Agnelli a Gianni suo fratello), avrebbe
puntato sul polo del lusso attorno alla Ferrari che si è rivelata una vera
cornucopia, la moda con l’acquisto a caro prezzo delle scarpette rosse
Louboutin, la tecnologia e l’editoria (Elkann è anche il maggior azionista
dell’Economist). In questi anni lusso e tecnologia sono diventati i due
gioielli della corona, ora si è aggiunta la sanità con l’acquisto del 17,5 per
cento della Philips, la storica compagnia olandese passata dalle lampadine alla
salute, della quale Exor è primo azionista con il 17,5 per cento spendendo
oltre tre miliardi e 300 milioni di euro. Lì vuole essere “investitore di lungo
termine”. Nella Repubblica il termine è scaduto? E’ quel che temono i
giornalisti. Le voci di una vendita si rincorrono da tempo. Restiamo in
ascolto.
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Lisa Di Giuseppe, Domani
Il destino
del Tg3. Il direttore del telegiornale va a dirigere Repubblica. I
dem non si spenderanno per mettere al suo posto un altro nome
d’area. Pronti i Cinque stelle, ma c’è da decidere su Agnes
Un
terremoto. L’addio di Mario Orfeo al Tg3 apre una nuova pagina nelle intricate
vicende della Rai. Il
notiziario della terza rete si è segnalato per gli ascolti rimasti costanti
quando gli altri due notiziari generalisti sono in difficoltà da tempo. Orfeo è
riuscito a dargli un’identità riconoscibile. E perfino la destra lo considera
ormai una “riserva indiana” del centrosinistra. Tanto che, a lungo, è stata una
casella su cui nessuno ha avuto l’ardire di avanzare pretese.
Ora il
comitato di redazione mette le mani avanti: «Pretendiamo che la scelta della
nuova direzione sia guidata dal criterio della massima professionalità e
autorevolezza, caratteristiche necessarie per guidare un telegiornale che ha
una solida e riconosciuta tradizione nel paese. Non vogliamo che la nostra
testata venga svenduta quale merce di scambio in uno scellerato piano di
lottizzazione della Rai». Ma è indubbio che il passaggio del direttore (che in
passato ha guidato Tg1 e Tg2, oltre che la direzione Approfondimenti ed è stato
anche dg di viale Mazzini) La
Repubblica abbia risvegliato qualche appetito.
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