Tina Modotti vista da Laris Massari
Tina Modotti è stata una donna fuori dal comune, capace di abbracciare una vita in cui arte, politica e amore s’intrecciavano in un equilibrio instabile ma affascinante. Il suo percorso si snoda attraverso i continenti, e tra rivoluzioni e passioni, lasciandosi dietro un’eredità profonda quanto difficile da decifrare. Nata nel 1896 a Udine, in una famiglia di umili origini, fin dalla giovane età dimostra una curiosità irrequieta per il mondo oltre i confini del Friuli. La terra in cui cresce è multilingue, multiculturale, e ciò plasma in lei un’apertura mentale che la porterà ben presto a lasciare l’Italia per cercare la propria strada all’estero.
È negli Stati Uniti, a San Francisco, che Tina inizia a
scolpire la propria identità. Lavorando come operaia, vive la durezza della
vita degli immigrati, ed è proprio tale contesto che l’avvicina ai circoli
culturali e artistici della città. Nonostante le difficoltà economiche, sono il
suo fascino e il suo talento innato che la portano presto a calcare i
palcoscenici teatrali, e ben presto si apre davanti a lei il mondo del cinema
muto, all’epoca in pieno sviluppo. Hollywood l’accoglie con favore e Tina potrebbe
facilmente costruirsi una carriera luminosa, per la sua bellezza mediterranea e
la capacità di adattarsi ai ruoli del nascente cinema statunitense. Il suo
volto, pervaso da un’intensa malinconia, emerge nel panorama hollywoodiano,
incarnando il tipo di bellezza enigmatica e misteriosa che il cinema muto
sapeva esaltare. Ma la sua personalità complessa emerge fin da allora,
provocando in lei insoddisfazione verso la superficialità del mondo dello
spettacolo. Il suo spirito ribelle e la sua sete di conoscenza la spingono a
esplorare nuovi orizzonti, sul piano artistico e sul piano umano.
Il suo incontro con il fotografo Edward Weston (1886-1958)
segna una svolta fondamentale. La fotografia diventa per lei non solo un mezzo
di espressione artistica, ma anche uno strumento per dare voce alle proprie
convinzioni politiche e sociali. Weston è il suo maestro, il suo amante - era
già sposata con «Robo», il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey
(1890-1922) - senza che Tina rimanga mai nell’ombra: assorbe con intensità gli
insegnamenti tecnici, sviluppando però un proprio stile fotografico, che
riflette la sua visione profonda della vita e del mondo. L’intimità con Weston,
pur intensa, non oscura la sua voglia d’indipendenza. È una donna che non teme
di esporre la propria sensualità, né di rompere con le convenzioni dell’epoca.
In un momento storico in cui la figura femminile era ancora strettamente legata
a ruoli tradizionali, Tina sfida tali norme con audacia: lo fa nella vita
privata così come nell’arte.
È in Messico, inizio degli anni ’20, che Tina trova la
propria autentica dimensione. In una terra sconvolta dalle ferite ancora aperte
della Rivoluzione, s’immerge totalmente nel fervore politico e sociale che
pervade il Paese. La sua arte, fino a quel momento caratterizzata da una
ricerca estetica di tipo formale, si trasforma in un potente strumento di
lotta. Attraverso le sue fotografie Tina documenta la realtà delle classi più
povere - operai, contadini e braccianti - diventando una testimone attiva di un
cambiamento sociale in atto. Le sue immagini, intrise di umanità, sono al tempo
stesso opere d’arte e manifesti politici, capaci di suscitare emozioni e
riflessione.
Nel contesto messicano incontra Julio Antonio Mella
(1903-1929), rivoluzionario cubano, con cui condivide una profonda passione
amorosa, oltre al comune impegno politico. Mella rappresenta per Tina
l’incarnazione dell’eroe rivoluzionario: giovane, carismatico, devoto alla
causa socialista. La loro storia, breve e tragica, è un turbine in cui si
fondono amore, passione e politica. La morte prematura di Mella, ucciso da mani
sospette, lascia in lei una ferita che non si rimarginerà mai del tutto. Di lì
in poi Tina s’immerge sempre più nel mondo della politica, avvicinandosi al
movimento «comunista» d’obbedienza moscovita e diventando una figura di
riferimento per il Soccorso rosso internazionale.
Con la sua fede negli ideali rivoluzionari, Tina si ritrova a
navigare nelle acque torbide del presunto comunismo staliniano, legata a
personaggi ambigui e manovrata da forze più grandi di lei. La ex attrice ed ex
fotografa cede al mito della Grande Madre sovietica, come tante altre tragiche
figure animate originariamente da sincero spirito comunista. La relazione con
Vittorio Vidali (1900-1983), altra figura enigmatica della sua vita, la
trascina ancora più a fondo nel mondo del Comintern. Un uomo che lei forse un
giorno scoprirà essere, con forti probabilità, uno dei complici
nell’omicidio del suo amato Mella. La tragedia nella tragedia…
Parte per la Spagna, si unisce alla lotta contro il fascismo
nella Guerra civile. Anche qui, fra le trincee e le macerie, l’ideale
rivoluzionario sembra logorarsi sotto il peso del tradimento con cui le
principali forze politiche repubblicane soffocano la Rivoluzione spagnola.
Con il tempo, tuttavia, Tina inizia a intuire e poi forse a
comprendere le ombre del mondo stalinista cui si è legata. Nonostante la sua
adesione sincera agli ideali comunisti, le brutalità e i compromessi che
osserva dall’interno del sistema la turbano profondamente. L’illusione di una
rivoluzione pura, in grado di cambiare radicalmente le sorti dell’umanità,
inizia a sgretolarsi di fronte all’azione reale del movimento, del quale lei
riesce finalmente a vedere anche gli aspetti criminali. Nonostante ciò, non
cessa di lottare, e alcuni elementi della sua biografia dimostrano che negli
ultimi anni di vita il suo impegno assume una forma più consapevole, critica,
anche se non è dato sapere fino a che punto lo sia.
Il Patto Hitler-Stalin (agosto 1939) è il colpo finale. La
donna che aveva dedicato la vita alla lotta per la libertà e per gli ideali di
una società socialista, comincia a rendersi conto che il sistema in cui aveva
creduto sta tradendo gli stessi ideali che le erano stati cari. Raro esempio
nel mondo del comunismo staliniano (rarissimo tra i comunisti italiani, come
mostra più avanti il testo di R. Massari), Tina non approva il Patto scellerato
da cui ebbe inizio la Seconda guerra mondiale. È un atto di profonda coerenza
morale, un rifiuto di piegarsi alla logica spietata della politica. E proprio
qui, nel suo ultimo atto di ribellione, Tina ritrova se stessa. Intuisce la
portata devastante di un’ideologia che sacrifica l’individuo in nome di
un’astrazione: non più l’artista manipolata, non più la rivoluzionaria
sacrificata sull’altare di una causa che si è trasformata in tirannia, bensì
una donna che ha scelto di restare fedele alla propria umanità, sino alla fine.
In tale contesto essa si riscatta, recuperando la grandezza
del suo essere artista e rivoluzionaria, ma anche donna capace di vedere oltre
le illusioni politiche del proprio tempo. Forse anche per questo la sua morte
improvvisa a 45 anni - in circostanze molto simili a quelle in cui morirà
Victor Serge (1890-1947) nella stessa Città del Messico, pochi anni dopo di lei
- ha lasciato molto più di un semplice sospetto sulle circostanze in cui
avvenne. E cioè che i sicari staliniani si siano voluti liberare di una
donna che sapeva troppo, una testimone scomoda soprattutto dei molti assassinî
di antifranchisti compiuti nella Spagna repubblicana.
Tina è stata, e rimane, un simbolo di coerenza, passione
e lotta. È stata una fotografa talentuosa, una musa, una militante politica,
una donna libera (anche sessualmente) in un’epoca che non perdonava tale
libertà soprattutto alle donne. Non è stata indenne dalle colpe e miserie della
sua epoca, e soprattutto del suo movimento di appartenenza: ha amato, ha
sbagliato, è stata certamente complice più o meno consapevole dei crimini del
Soccorso rosso internazionale, senza mai perdere la fede, però, nella possibilità
di un mondo migliore. È stata disposta sino in fondo a confrontarsi con i
propri limiti e le proprie contraddizioni: in queste imperfezioni risiede la
sua grandezza.
Tina è una figura viva, che ci parla ancora della lotta per
rimanere coerenti con se stessi, in un mondo che spesso ci chiede di essere
altro. Oggi, guardando alla sua vita, non possiamo fare a meno di chiederci
cosa significhi essere donne e uomini in una realtà in continuo cambiamento,
una realtà che a volte ci tradisce, ma che ci offre sempre la possibilità di
riscatto.
Cosa c’insegna, allora, la sua storia? Che vivere con
integrità e coerenza gli ideali dai quali si è animati, non è mai facile, che
la purezza ideale è fragile. Con la sua breve e tormentata esistenza - donna,
artista e ribelle - Tina ha dimostrato che non c’è nulla di più rivoluzionario
dell’essere sino in fondo, pienamente e ostinatamente, umani.
Che dire di Tina come artista? La si può valorizzare anche in
un contesto contemporaneo? Oppure il suo lascito è inesorabilmente segnato dal
tempo in cui visse e dai contesti politici in cui operò (fondamentalmente il
Messico postrivoluzionario)?
Il concetto di arte va espandendosi. All’artista del nostro
tempo non è necessariamente richiesto di mettere in atto un talento per
ottenere il successo. La capacità espressiva si trasforma in un’interpretazione
preconfezionata e veicolata per lo spettatore. Il messaggio dell’opera è
divenuto fondamentale, più della sua forma espressiva, affinché essa possa
definirsi «arte».
Ebbene, Tina non si considerava e non voleva che la si
considerasse un’artista, né riteneva che la sua fotografia fosse arte, essendo
fondamentalmente interessata al messaggio che le immagini ritratte dalle sue
foto trasmettevano. Le sue opere grondano di messaggi ed è evidente che questo
intento era prevalente per lei: era anche un suo limite, allo stesso tempo.
Eppure, ai miei occhi - sicuramente condizionati
dall’artificialità degli sviluppi che la fotografia odierna sta vivendo - il
suo modo di raffigurare la realtà meriterebbe il titolo di «artistico», o
perlomeno di pionieristico avvio di un percorso artistico (quello del realismo
fotografico, antisala dell’iperrealismo). Nel non considerarsi un’artista lei
stava forse eccedendo in modestia (dote rara per i tempi correnti), ma io sarei
portato a pensare che in fondo non avesse ragione.
E questo perché Tina esercitava l’arte della fotografia,
nel senso che sapeva replicare la realtà con grande maestria, utilizzando i
procedimenti più avanzati della tecnica fotografica dell’epoca sua: una
delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, com’è spesso considerata.
Basti osservare la differenza tra le sue fotografie e quelle di Edward Weston
per capire che c’è modo e modo di catturare un momento del reale.
Quest’antologia rappresenta un omaggio a una figura complessa
e affascinante, il cui nome è rimasto a lungo avvolto dal silenzio. A partire
dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, ricerche pionieristiche di studiosi
italiani - come Riccardo Toffoletti e Pino Cacucci - hanno contribuito alla sua
riscoperta, ciascuno a suo modo: Toffoletti con la ricostruzione del suo
itinerario fotografico, Cacucci con la ricostruzione della vita di Tina esposta
con la sua prosa avvincente. È grazie a loro, e ad altri studiosi e artisti,
che l’opera e la vita di Tina hanno trovato nuovo spazio nel panorama
editoriale e culturale. Un fenomeno che ha portato alla realizzazione di
numerose mostre in tutto il mondo.
In particolare, va segnalata la bella esposizione al Palazzo
Roverella di Rovigo (sett. 2023-genn. 2024), curata da Riccardo Costantini (n.
1981). Ho avuto il piacere di visitarla ed è lì che è nata l’idea di questo
libro. Davanti a quelle immagini ho provato un forte senso di coinvolgimento
nel mondo ideale di Tina, trovandomi immerso in un percorso di forte valenza
emotiva, che intreccia la sua arte, la sua lotta e il suo destino.
L’antologia qui presentata è costruita seguendo criteri vòlti
a esplorare soprattutto l’epopea politica di Tina Modotti, vale a dire un
aspetto centrale troppo spesso trascurato nelle analisi a lei dedicate. Sono
stati inclusi materiali in gran parte sconosciuti, e la scelta degli autori ha
mirato a dar voce a figure che, come Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli
e Roberto Massari, condividono una prospettiva fortemente antistalinista,
contribuendo a una riflessione più completa e critica della sua esperienza di
vita. L’aver dato voce, poi, a vari eminenti studiosi non italiani, è stata una
scelta mirata a contestualizzare la vicenda di Tina in un quadro
internazionale. Una tale selezione mira a far emergere oltre all’artista e alla
fotografa di talento, anche la donna che ha vissuto intensamente e in modo
contraddittorio le grandi trasformazioni del suo tempo.
L’antologia, con i suoi contributi inediti e
l’approfondimento della dimensione politica, vuole dunque essere un tributo
alla scoperta o riscoperta di una donna straordinaria, il cui lascito ci parla
sicuramente del passato, in gran misura del presente e, perché no?, fors’anche
del nostro futuro…
Nessun commento:
Posta un commento