22 gennaio 2025

GRAMSCI VISTO DA PASOLINI

 


22 gennaio del 1891 nasceva Antonio #Gramsci. Noi ricordiamo Gramsci attraverso la rievocazione della visita di Pier Paolo #Pasolini alla sua tomba, con un bellissimo scatto di Paolo Di Paolo che ferma il tempo.

"Le ceneri di Gramsci" (1954) fa la differenza tra Pasolini e tutti gli altri poeti, scrittori del suo tempo perché in ogni sua opera poetica fa emergere questa equazione unica e irripetibile, originalità e diversità che insieme producono una grande bellezza. Originalità di scrittura e di genio poetico.

Pasolini, quella sera di maggio, visita il Cimitero degli inglesi a Roma al crepuscolo di un pomeriggio mentre percepisce che il giorno è freddo e grigio come se fosse una giornata autunnale. Tra Porta San Paolo e Testaccio, la strada nuda e deserta, immota era immersa in una luce vivida che di sbieco illuminava le pietre brune e le rovine della mura aureliane.
Egli si accorge che in questa giornata tutte le sue speranze e illusioni di rifare la sua vita personale e di cambiare l’Italia sono svanite. Il grigio del cielo, il verde scuro dei pini e dei cipressi, il rosa e l'ocra dei mattoni delle case, erano spenti.

Quella sera di maggio, adagiato su un lieve declivio ai piedi della Piramide Cestia, emerge il Cimitero degli Inglesi, con una selva di tombe di pietra in un labirinto di siepi annegate nella penombra dei muri lacerati. Tutto era velato come certi fotogrammi di un vecchio film.

A questo punto si rivolge a Gramsci, sepolto nella tomba di quel cimitero, non lontano da John Keats e Percy Bysshe Shelley, e Pasolini dice che lui, nel maggio del 1919, aveva avuto la forza e anche il coraggio di "delineare l'ideale che illuminava" con la speranza di cambiare l’Italia e "già con la sua magra mano" scriveva l’ideale (politico e filosofico) che ancora oggi illumina il silenzio di Pasolini.

Però Gramsci, "umile fratello" del nostro poeta, non può più guidargli, perché è sepolto e confinato in quel cimitero; al cimitero arriva solo dal quartieri limitrofo, il Testaccio, qualche colpo di martello mentre "intorno spiove".

📷 Pasolini davanti alla tomba di Gramsci© Paolo Di Paolo/Archivio Di Paolo/Tutti i diritti riservati


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IL GRAMSCI DI PASOLINI

 L' anno scorso sono stati pubblicati gli atti di un importante Convegno di studi, svoltosi a Casarsa della Delizia (UD), intitolato IL GRAMSCI DI PASOLINI (Marsilio Editori, Venezia 2022). Il curatore degli Atti, Paolo Desogus (docente di letteratura italiana alla Sorbona di Parigi) nell'Introduzione ha dovuto riconoscere che sono stati ben pochi gli studi che hanno messo a fuoco il rapporto  tra   Gramsci e  Pasolini. Tra i pochi è stato notato il saggio che lo scrivente ha pubblicato, nel novembre del 2011, sulla rivista dell'Università di Barcelona  Quaderns d' Italià , con il titolo Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini.  

Dopo 22 anni è stato finalmente riconosciuto che in questo saggio, riprendendo e sviluppando originalmente, in modo documentato, una intuizione del compianto Prof. Tullio De Mauro, sono stato tra i primi a dimostrare l'origine gramsciana di gran parte dell'opera pasoliniana.   

Il poeta e regista bolognese, dopo le sue prime letture del grande pensatore sardo, nei primi anni sessanta, sulle pagine del settimanale comunista Vie Nuove, ha mostrato di aver ben assimilato la lezione pedagogica gramsciana e, fin dal 1965, dopo aver rilevato la deformazione dogmatica del creativo pensiero critico di Marx e Gramsci, si è posto il compito di costruire «un nuovo modo d’essere gramsciani» per comprendere meglio il neocapitalismo. Più precisamente Pasolini, dopo aver rivendicato con orgoglio di essere stato un marxista critico  e di aver dato un contributo originale allo storicismo gramsciano, afferma, memore della classica lezione marxiana:

bisogna tenere presente l’assioma primo e fondamentale dell’economia politica, cioè che chi produce non produce solo merci, produce rapporti sociali, cioè umanità. 

Ora, aggiunge Pasolini, dato che il neocapitalismo ha rivoluzionato il vecchio modo di produzione e tramite la produzione di beni superflui e il consumismo ha trasformato antropologicamente gli italiani, i vecchi comunisti non sanno più cosa fare. Nella confusione tendono a trasformarsi in «un nuovo tipo di chierici» che, non tenendo conto dei cambiamenti profondi avvenuti negli ultimi dieci anni, ripetono salmodicamente il catechismo marxista-leni­nista, accusando di eresia tutti coloro che la pensano diversamente:

dove ho scritto che bisogna ritornare indietro? Dove? Vedete punto per punto, e io [...] vi dico no: avete capito male, vi siete sbagliati, non intendo affatto ritornare indietro, appunto perché mi pongo i problemi più attuali, fiuto i problemi del momento [...] Gramsci lavorava quaranta anni fa, in un mondo arcaico che noi non osiamo neppure immaginare [...] puoi ricordarmi Gram­sci come anello di una catena storica che porta a fare nuovi ragionamenti oggi, a riproporre un nuovo modo di essere progressisti, un nuovo modo di essere gramsciani.

Come si vede, anche queste parole confermano l’immagine data di sé nell’intervista ad Arbasino del 1963: «la mia caratteristica principe è la fedeltà».

Uno dei lettori più attenti delle ultime opere di Pasolini (Dagli Scritti corsari agli ultimi versi friulani, dalle Lettere luterane a Salò) è stato Gianni Scalia. Amico e collaboratore del poeta fin dagli anni cinquanta, quando si ritrovarono, insieme a Franco Fortini, Francesco Leonetti, Angelo Romanò e Roberto Roversi, a redigere la rivista Officina.

I due vecchi amici, dopo aver seguito strade diverse, si ritrovano di nuovo in sintonia un mese prima che Pasolini venga assassinato. Lo dimostra un importante carteggio che si trova oggi in Appendice alla riedizione arricchita di un libro dello Scalia (La mania della verità. Dialogo con Pier Paolo Pasolini, Portatori d'acqua Editori, Urbino 2020, pp. 242-245) È quest’ultimo a riaprire il dialogo con l’amico nel settembre del 1975, con una lettera in cui si compiace di notare come solo chi non vuole capire si ostina a fraintendere il senso dei suoi ultimi articoli pubblicati sul Corriere della Sera, accusandolo di “irrazionalismo, vitalismo, arcaismo eccetera eccetera”. Al contrario Scalia, intravedendo tra le righe pasoliniane l’antico spirito critico marxiano, propone di “tradurre” in termini marxisti gli articoli dell’ amico.

Il successivo 3 ottobre Pasolini risponde con entusiasmo a Scalia affermando: «La tua idea di “tradurre” in termini di economia politica ciò che io dico giornalisticamente mi sembra non solo bellissima, ma da attuarsi subito». Purtroppo il poeta non fa in tempo a leggere la “traduzione” dell’amico che, comunque, mantiene l’impegno scrivendo, tra l’altro: «Credo che l’ultima ricerca di Pasolini (la sua scoperta di Marx) sia tutta qui: capire la società del capitale nella sua ultima figura; chiedere di essere aiutato a capire sempre di più, e più profondamente; di essere aiutato cioè tradotto. Insomma, Pasolini stava facendo, a suo modo, con i suoi mezzi e la sua cultura, attraverso le sue intuizioni, un’analisi della società del capitale da marxista, (…), in mezzo a marxisti progressisti e storicisti: ritrovava l’analisi della totalità del Capitale, della sua produzione non solo di merci e di plusvalore ma di rapporti sociali (…) totalmente alienati nella mercificazione (…). Riconosceva, in mezzo a un marxismo endemico, o, meglio, introuvable, l’analisi marxiana, incentrandola in tre grandi questioni: la “mutazione antropologica” prodotta dal capitale nella sua ultima figura di ‘modernità’; la totalizzazione e socializzazione del modo di produzione capitalistico nel ‘produttivismo-consumismo’; il “genocidio delle culture” (secondo una espressione marxiana del Manifesto, che continuava a ‘recitare’) nella produzione culturale capitalistica».

La storia di Pasolini è stata, in gran parte, una storia di incomprensioni. Come ha ben visto Gianni Scalia, dopo la sua morte, i mezzi di comunicazione di massa si sono impadroniti di lui: 

il poeta bolognese è stato «interpretato, giudicato, commemorato: encasillado (come direbbe Unamuno). Ma non compresoChiedeva di essere aiutato nella sua ricerca dei “perché” della condizione presente […]. Faceva domande e sollecitava risposte[...]. Gli si rispondeva con i silenzi puntuali, le polemiche […], o, come diceva con il “silenzio”». (G. Scalia, La mania della verità. Dialogo con Pier Paolo Pasolini, Portatori d'acqua Editori, Urbino 2020, p. 51).

Naturalmente quanto sopra esposto in modo sommario lo potete leggere, in modo più articolato e documentato, nel mio ultimo libro Eredità dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Multimedia, Bologna 2023, II edizione rivista  ed ampliata.

FRANCESCO VIRGA



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