Sembra incredibile
ma, a quanto pare, tra i consiglieri di Trump c’è anche qualcuno che ha letto
Gramsci. Non si spiegherebbe altrimenti il riferimento ad un concetto
particolarmente caro al grande pensatore sardo: la rivoluzione del senso
comune. Così, mentre in
Italia quel poco che rimane di Sinistra ha dimenticato Gramsci, nel resto del
mondo lo si continua a leggere. (fv)
Giovanni Orsina, Quel
senso comune che supera le paure
La Stampa, 24
gennaio 2025
Oggi firmerò
una serie di decreti esecutivi. Cominceremo così la completa restaurazione
dell’America e la rivoluzione del senso comune. Il nocciolo di tut to è il
senso comune». Questa è la frase cruciale del discorso inaugurale di Donald
Trump, e qui si trova la chiave della sua vittoria. Eppure, il passaggio mi
sembra sia sta to alquanto trascurato nel diluvio di commenti di questi giorni,
un po’ troppo spesso impegnati più a stigmatizzare quando non irridere le
iniziative del nuovo presidente, a infilzare questa o quella sua contraddizione
o fake news, a piangere amare e pensose lacrime sui destini della democrazia,
che a fare realistica mente i conti con quel che sta accadendo. E invece
dobbiamo farci i conti, perché la rielezione di Trump non è detto apra le porte
al mondo di domani, ma è quasi certo che abbia chiuso quelle del mondo di
ieri.
Il tema del
senso comune, variamente declinato, è il cuore del la rivolta politica
dell’ultimo decennio. «Rivoluzione del buon senso» era lo slogan della Lega per
le elezioni italiane del 2018. L’anno prima, alle presidenziali francesi,
Marine Le Pen aveva promesso un’«autentica rivoluzione della vicinanza».
«Vicinanza democratica: voglio che le decisioni siano prese il più vicino
possibile ai cittadini e direttamente controllate da loro. Vicinanza economica:
si tratta di riqualificare il nostro territorio, di trovarvi servizi pubblici
ovunque, di rilocalizzare le nostre aziende e quindi i nostri posti di lavoro».
Sempre nel 2017 il programma della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon aveva
messo l’accento sulla dimensione umana, riprendendo per altro il manifesto del
2012 che s’intitolava, appunto, «L’Humain d’abord». «La Repubblica - dichiarava
il documento - è una parola vuota se ignora le condizioni concrete di vita
della gente». Nel 2019 Podemos si proponeva senz’altro di rimettere «la vita al
centro».
Che
cos’hanno in comune questi slogan? Una diagnosi: la politica tradizionale si è
venuta sempre più distaccando – moralmente, cognitivamente, socialmente – dai
cittadini in carne e ossa, si dimostra sempre più insensibile alle loro
preferenze, alla percezione che essi hanno del loro mondo, ai loro bisogni. E
una cura: nuovi partiti devono promuovere un’offerta politica che sappia
parlare agli elettori della loro esistenza concreta, che affondi le radici
nella loro esperienza diretta e quotidiana della vita. «Il nocciolo di tutto è
il senso comune», appunto. Abbiamo sentito con testare questi slogan
un’infinità di volte, negli ultimi dieci anni. Si è detto che la politica del
senso comune non tutela affatto gli interessi autentici dei cittadini, ma
sfrutta le loro paure per convincerli di priorità che sono più ideologiche
ancora di quelle della politica tradizionale. Si è aggiunto poi che sollecita i
loro istinti peggiori, li rincretinisce di fake news, vende loro sogni
irrealizzabili. Si è obiettato che la politica tradizionale non è affatto
astratta – semmai razionale, responsabile, attenta al lungo periodo. Che non
trascura affatto la vita concreta delle persone, ma la tutela di più e
meglio.
Sono tutte
obiezioni più che fondate. Ma dovranno fare i conti, prima o poi, con i
settantasette milioni di voti che ha raccolto Trump. Un dato di realtà duro
come la pietra, la dimostrazione di come la politica del senso comune, agli
occhi degli elettori, sia apparsa più forte delle sue controindicazioni. Quanti
continuano a ripetere quelle obiezioni, pur fondate, paiono incapaci di fare i
conti con questo dato di realtà. E finiscono così per dare ragione alla
diagnosi populista, a chi ritiene che la politica tradizionale e
l’establishment istituzionale e intellettuale siano ormai sideralmente distanti
da fasce assai consistenti di elettorato, ne siano separati da un invalicabile
muro di incomprensione. Quel muro, fatto di autoreferenzialità, supponenza e
moralismo, della cui esistenza chiunque in questi ultimi anni abbia frequentato
anche solo sporadicamente i salotti dell’establishment, i corridoi delle
istituzioni europee, le aule delle università non può non essersi reso conto,
se solo ha tenuto gli occhi e le orecchie un po’aperti.
Malgrado il
6 gennaio 2021, l’elezione di Trump, piaccia o non piaccia, è stata un grande
esercizio di democrazia nel più antico e forte Stato liberaldemocratico che ci
sia sulla Terra. Con la raffica di decreti esecutivi che ha emanato appena
entrato in carica, piacciano o non piacciano, il presidente ha mantenuto le
promesse che aveva fatto ai suoi elettori. E se presentarsi alle urne con un
programma per poi realizzarlo non è condizione sufficiente per la democrazia,
certo è condizione necessaria. La politica del senso comune non tutelerà magari
i «veri» interessi dei cittadini, ma guarda al mondo così come lo guarda la
maggioranza di loro, prova a rispondere ai loro bisogni così come li pensa la
maggioranza di loro. Chiunque, in maniera del tutto legittima, detesti Trump e
voglia vederlo sparire il prima possibile, dovrà confrontarsi col senso comune
al quale lui parla, dovrà trovare dei modi alternativi per entrare nella
concreta vita quotidiana dell’elettore medio. Ma, ad ascoltare il diluvio di
parole che si stanno producendo in questi giorni contro il nuovo presidente, mi
pare che quell’obiettivo sia ancora molto lontano.
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere
Quaderno 10, §48, Introduzione
allo studio della filosofia.
(1). Il senso comune o buon senso. In che consiste
esattamente il pregio di quello che suol chiamarsi «senso comune» 0 «buon
senso»? Non solamente nel fatto che, sia pure implicitamente, il senso comune
impiega il principio di causalità, ma nel fatto molto più ristretto, che in una
serie di giudizi il senso comune identifica la causa esatta, semplice e alla
mano, e non si lascia deviare da arzigogolature e astruserie metafisiche,
pseudo-profonde, pseudo-scientifiche ecc. Il «senso comune» non poteva non
essere esaltato nei secoli XVII e XVIII, quando si reagì al principio di
autorità rappresentato dalla Bibbia e da Aristotele: si scopri infatti che nel
«senso comune» c’era una certa dose di « sperimentalismo» e di osservazione
diretta della realtà, sia pure empirica e limitata. Anche oggi, in rapporti
simili, si ha lo stesso giudizio di pregio del senso comune, sebbene la
situazione sia mutata e il «senso comune» odierno abbia molta più limitatezza
nel suo pregio intrinseco.
Quaderno 11, §13, Osservazioni
e note critiche su un tentativo di "Saggio popolare di sociologia"
Un accenno al senso comune
e alla saldezza delle sue credenze si trova spesso in Marx. Ma si tratta di
riferimento non alla validità del contenuto di tali credenze ma appunto alla
loro formale saldezza e quindi alla loro imperatività quando producono norme di
condotta. Nei riferimenti è anche implicita l'affermazione della necessità di
nuove credenze popolari, cioè di un nuovo senso comune e quindi di una nuova
cultura e di una nuova filosofia che si radichino nella coscienza popolare con
la stessa saldezza e imperatività delle credenze tradizionali.
Quaderno 3, §48, Passato
e presente. Spontaneità e direzione consapevole
Questa unità della
"spontaneità" e della "direzione consapevole", ossia della
"disciplina" è appunto la azione politica reale delle classi
subalterne, in quanto politica di massa. Si presenta una quistione teorica
fondamentale, a questo proposito: la teoria moderna può essere in opposizione
con i sentimenti "spontanei" della masse?
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