Trentotto anni fa, il 18 gennaio del 1987, moriva a Roma Renato
Guttuso, grande siciliano di Bagheria, genio immortale della pittura e
protagonista assoluto dell’arte e della cultura del secolo scorso, tra i più
illustri collaboratori de L'Ora. Lo ricordiamo riproponendo il memorabile
editoriale di Mario Farinella
QUEL PENNELLO INTINTO NEL
SOLE
(L’Ora, lunedì 19 gennaio 1987)
di MARIO FARINELLA
C’era il rosso, c’era il verde, c’erano il giallo e l’azzurro
– e tutti fusi al loro punto più incandescente – nella tavolozza di Guttuso.
Solo in questi ultimi anni vi si era aggiunto un filo di nero, ma restava come
soverchiato dalla prepotenza degli altri colori; e a volte sbiancava e si
faceva pasta grigia, mescolato alla cenere dell’eterna sigaretta che pendeva
dalla labbra dell’artista quando dipingeva. Ora, morto, è come se quel turbinio
di colori improvvisamente s’acquietasse, rientrando nel buio dei suoi occhi
chiusi per sempre.
L’ultima volta che l’ho visto mi disse: faccio i conti con me
stesso; mi sembra di avvertire strani passi felpati ogni sera; è la
“visitatrice” che viene. Qualche mese dopo, quella presenza misteriosa e
impalpabile prendeva forma in uno dei suoi quadri più inquietanti e icastici:
la tigre striata di nero che si aggira nello spento giardino della sua casa
romana, la “visitatrice della sera”, appunto. La morte.
Ma i conti con se stesso, Guttuso li aveva cominciati a fare
da tempo immemorabile, da quando – si può dire – imparò l’arte di macinare i
colori tra spranghe e sponde di carretti, nelle botteghe artigiane della sua
Bagheria. “Mi piaceva sostare nella bottega di Murdolo – mi raccontava in una
delle tante conversazioni – vederlo lavorare. Io ho cercato sempre una pittura
molto comunicativa, tinte forti perché in Sicilia la luce è così forte che
brucia i colori. Se li vuoi far vedere li devi rinforzare. La terra gialla
dell’Aspra, la terra rossa, il giallo dei limoni, ecco i colori che mi sono
rimasti nel sangue. A Bagheria il colore è particolarmente duro, la terra
accesa, le ombre nere. E il mare di Aspra: è diverso da ogni altro, con quella
sua striatura violetta e bianca … Il mare, dovunque lo dipingo, è sempre quel
mare; l’albero, per quanto diversa, lontana sia la campagna che te lo offre, è
sempre quell’albero. Sì, non faccio altro che dipingere la Sicilia”.
E, in altra occasione, così si gloriava : “Ieri sono stato a
Bagheria con tre amici del nord, i quali, a un certo momento, mentre
viaggiavamo in auto, hanno esclamato: ‘qui finalmente abbiamo capito i tuoi
quadri’. Questa scoperta, questa constatazione mi hanno molto commosso. E’
stata una prova, una verifica dell’emozione che ho provato tornando al mio
paese: una specie di siero della verità”.
La Sicilia come pietra angolare della sua arte, come
riferimento perenne dell’ampio dispiegarsi delle sue immagini, ovunque
percepite, ovunque realizzate. La Sicilia di questi nostri anni, con la sua
dolcezza e con la sua violenza, con i suoi eroismi e le sue viltà, con le sue
enfasi e con le sue sconfitte, con la sua convulsa bellezza e le sue durezze:
quasi un lungo raccontare verghiano scandito e sopraffatto dall’imminenza del
dramma.
Era una giornata chiara e densa di aromi autunnali quando
m’incontrai per la prima volta col pittore. Ed erano giorni di fame, di miseria
e di sanguinose lotte operaie, e noi eravamo scesi nel fondo di una zolfara. I
minatori ci guidavano attraverso i cunicoli e le gallerie di quell’inferno
giallo e nero: ascoltavamo la loro voce che si ribellava, i colpi rabbiosi del
piccone che aggredivano la roccia, lo stridore delle perforatrici, il rombo
della morte sempre presente tra le impalcature e i veleni del “grisou”, ma i
volti di quegli schiavi ignudi non riuscivamo a intravvederli se non a sbalzi,
a momenti, ondeggianti sulle fiammelle delle acetilene. Da quel viaggio
sotterraneo, da quell’emozionante incontro con la gente più sfruttata del mondo
doveva nascere, poi, la mirabile serie dei quadri di Guttuso sulla zolfara e
sugli zolfatari siciliani. Così come balzarono, poi, dalla terribile realtà
della Sicilia di allora, i dipinti sull’epopea contadina e i tanti in
dimenticabili volti di carrettieri, zappatori, braccianti-eroi di una Sicilia
fermata per sempre nella gloriosa e tragica pittura di Guttuso.
Ora il grande pittore torna da noi per essere sepolto nella
terra rossa del suo paese. La Sicilia si riprende il suo figlio innamorato e i
colori che gli ha prestato. Vinto lo sgomento della sua morte, tra i suoi
colori non sarà certo il nero a prevalere, ma lo sfolgorio tempestoso dei suoi
gialli, dei rossi, dei verdi e degli azzurri: vale a dire i colori della vita.
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