Sembra che Roberto Andò nel suo ultimo film L' ABBAGLIO abbia seguito le indicazioni di Antonio Gramsci e di Leonardo Sciascia nel proporre la sua interpretazione del Risorgimento italiano di cui racconta un episodio.
Prima di Andò altri registi si erano occupati del nostro Risorgimento. Ricordiamo, per tutti, IL GATTOPARDO di Ludovico Visconti e BRONTE di Florestano Vancini.
Oggi provo a riassumere il punto di vista gramsciano su questo nodo centrale della nostra storia nazionale. (fv)
IL RISORGIMENTO SECONDO
ANTONIO GRAMSCI
Gramsci ha
seguito criticamente l’indicazione crociana secondo la quale l’esercizio
filosofico più serio da compiere è quello di cercare di comprendere il passato per sapere cosa fare nel presente.
Anche per questo è stato sempre attratto dallo studio della storia cercando di capirla nel modo migliore. La sua
attenzione, in particolare, è stata rivolta a due nodi cruciali della storia
nazionale, strettamente legati tra loro, il Risorgimento e la questione
meridionale. Fin da giovane il sardo ha mostrato di avere le idee chiare su
questi temi. Infatti, in un articolo pubblicato su L’Avanti nel 1919, scrive:
“Il
Risorgimento italiano ha significato la conquista del potere politico della
borghesia commerciante, industriale e intellettuale della città, che ha dato ai
già ricchi proprietari rurali beni ecclesiastici e ha
sciolto i vincoli feudali che gravavano sulla terra: ai contadini poveri ha
dato la mitraglia dei carabinieri e la storia scolastica del ‘brigantaggio
meridionale’.” (Gramsci, Il rivoluzionario e la mosca cocchiera)
Il
Risorgimento è un caso esemplare di “rivoluzione passiva”. Il sardo riprende
dallo storico napoletano Vincenzo Cuoco il termine dandogli anche nuovi significati.
Per Gramsci è stata la borghesia a dirigere e guidare il processo di
unificazione nazionale, attraverso Cavour e Vittorio Emanuele II. Questi ultimi
sono riusciti abilmente a mettersi in tasca i mazziniani e il Partito d’Azione
attraverso la cooptazione di alcuni loro esponenti. Esemplare, per tutti, il
caso Crispi, rivoluzionario nel ‘48, reazionario e colonialista dopo la
spietata repressione del movimento socialista dei Fasci siciliani. Gramsci
coglie nel trasformismo un tratto tipico della storia nazionale dal 1870 fino
al regime fascista. Scrive infatti nel suo primo quaderno che porta la data
1929-1930:
Tutta la politica italiana dal ‘70
ad oggi è caratterizzata dal trasformismo, cioè dall’elaborazione di una
classe dirigente nei quadri fissati dai moderati dopo il ‘48, con
l’assorbimento degli elementi attivi sorti dalle classi alleate e anche da
quelle nemiche. (Quaderni del
carcere)
In questa
stessa pagina Gramsci espone con chiarezza il suo concetto di egemonia offrendo
anche un piccolo saggio del metodo seguito per studiare la storia:
Il
criterio storico-politico su cui bisogna fondare le proprie ricerche è questo:
che una classe è dominante in due modi, è cioè dirigente e dominante. È
dirigente delle classi alleate, e dominante delle classi avversarie. Perciò
una classe già prima di andare al potere può essere dirigente (e deve esserlo);
quando è al potere diventa dominante ma continua ad essere anche dirigente. [...]
Ci può e ci deve essere una egemonia politica anche prima dell’andata al
Governo e non bisogna contare solo sul potere e sulla forza materiale che esso
dà per esercitare la direzione o egemonia politica. (Quaderni)
Il sardo
tiene presente questo criterio quando spiega l’egemonia che i moderati hanno
avuto nel corso del Risorgimento:
L’affermazione di
Vittorio Emanuele II di avere in tasca […] il Partito d’Azione è esatta e non
solo per i suoi contatti personali con Garibaldi; il Partito d’Azione
storicamente fu guidato da Cavour e da Vittorio Emanuele. […]. I moderati
continuarono a dirigere il Partito d’Azione anche dopo il ‘70 e il trasformismo
è l’espressione politica di questa azione di direzione.
Secondo
Gramsci la principale debolezza del Partito d’Azione è stata quella di non
aver saputo porre all’ordine del giorno una riforma agraria capace di
mobilitare le masse contadine. E il sardo non risparmia critiche a Garibaldi e
ai garibaldini che non seppero distribuire ai contadini i beni ecclesiastici
espropriati alla Chiesa e schiacciarono implacabilmente i contadini insorti
contro i baroni.
Gramsci
torna ad occuparsi della storia del Risorgimento in uno dei suoi ultimi
quaderni tra il 1934 e il 1935. Qui riprende i suoi primi appunti, precisando
meglio il suo pensiero. Particolarmente significativa appare oggi una sua
pagina che sembra parlare, mutatis mutandis, del nostro presente, delle
classi dirigenti dei nostri giorni «che annunziano un sole che mai vuole
spuntare» e che hanno contribuito a creare confusione tra Destra e Sinistra:
Risulta che non c’è stato nessuno
cambiamento essenziale nel passaggio dalla Destra alla Sinistra: il marasma in
cui si trova il Paese non è dovuto al regime parlamentare (che rende pubblico e
notorio ciò che prima rimaneva nascosto) ma alla debolezza e inconsistenza
della classe dirigente e alla grande miseria e arretratezza del paese.
FRANCESCO
VIRGA
PS: Una ricostruzione più ampia e approfondita del punto di vista gramsciano la trovate nel mio libro EREDITA' DISSIPATE Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Editore, Bologna 2023, II edizione rivista ed ampliata.
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