22 gennaio 2025

IL RISORGIMENTO SECONDO ANTONIO GRAMSCI

 



         Sembra che Roberto Andò nel suo ultimo film  L' ABBAGLIO abbia seguito le indicazioni di Antonio Gramsci  e di Leonardo Sciascia nel proporre la sua interpretazione del Risorgimento italiano di cui racconta un episodio. 

          Prima di Andò altri registi si erano occupati del nostro Risorgimento. Ricordiamo, per tutti, IL GATTOPARDO di Ludovico Visconti e  BRONTE di Florestano Vancini.

          Oggi provo a riassumere il punto di vista gramsciano su questo nodo centrale della nostra storia nazionale. (fv)


IL RISORGIMENTO  SECONDO  ANTONIO GRAMSCI

 

Gramsci ha seguito criticamente l’indicazione crociana se­condo la quale l’esercizio filosofico più serio da compiere è quello di cercare di comprendere  il passato per sapere cosa fare nel presente. Anche per questo è stato sempre attratto dallo studio della storia  cercando di capirla nel modo migliore. La sua attenzione, in particolare, è sta­ta rivolta a due nodi cruciali della storia nazionale, strettamente legati tra loro, il Risorgimento e la questione meridionale. Fin da giovane il sardo ha mostrato di avere le idee chiare su questi temi. Infatti, in un articolo pubblicato su L’Avanti nel 1919, scrive:

 

                        “Il Risorgimento italiano ha significato la conquista del potere poli­tico della borghesia commerciante, industriale e intellettuale della città, che ha dato ai già ricchi proprietari rurali    beni ecclesiastici e ha sciolto i vincoli feudali che gravavano sulla terra: ai contadini poveri ha dato la mitraglia dei carabinieri e la storia scolastica del ‘brigantaggio meridionale’.” (Gramsci, Il rivoluzionario e la mosca cocchiera)

 

Il Risorgimento è un caso esemplare di “rivoluzione passiva”. Il sardo riprende dallo storico napole­tano Vincenzo Cuoco il termine dandogli anche nuovi signi­ficati. Per Gramsci è stata la borghesia a dirigere e guidare il processo di unificazione nazionale, attraverso Cavour e Vittorio Emanuele II. Questi ultimi sono riusciti abilmente a mettersi in tasca i mazziniani e il Partito d’Azione attraverso la cooptazione di alcuni loro esponenti. Esemplare, per tutti, il caso Crispi, ri­voluzionario nel ‘48, reazionario e colonialista dopo la spietata repressione del movimento socialista dei Fasci siciliani. Gramsci coglie nel trasformismo un tratto tipico della storia nazionale dal 1870 fino al regime fascista. Scrive infatti nel suo primo quaderno che porta la data 1929-1930:

 

                             Tutta la politica italiana dal ‘70 ad oggi è caratterizzata dal trasfor­mismo, cioè dall’elaborazione di una classe dirigente nei quadri fissati dai moderati dopo il ‘48, con l’assorbimento degli elementi attivi sorti dalle classi alleate e anche da quelle nemiche. (Quaderni  del carcere)

 

In questa stessa pagina Gramsci espone con chiarezza il suo concetto di egemonia offrendo anche un piccolo saggio del me­todo seguito per studiare la storia:

                             Il criterio storico-politico su cui bisogna fondare le proprie ri­cerche è questo: che una classe è dominante in due modi, è cioè dirigente e dominante. È dirigente delle classi alleate, e dominan­te delle classi avversarie. Perciò una classe già prima di andare al potere può essere dirigente (e deve esserlo); quando è al potere diventa dominante ma continua ad essere anche dirigente. [...] Ci può e ci deve essere una egemonia politica anche prima dell’anda­ta al Governo e non bisogna contare solo sul potere e sulla forza materiale che esso dà per esercitare la direzione o egemonia po­litica. (Quaderni)

 

Il sardo tiene presente questo criterio quando spiega l’ege­monia che i moderati hanno avuto nel corso del Risorgimento:

 

                               L’affermazione di Vittorio Emanuele II di avere in tasca […] il Partito d’Azione è esatta e non solo per i suoi contatti persona­li con Garibaldi; il Partito d’Azione storicamente fu guidato da Cavour e da Vittorio Emanuele. […]. I moderati continuarono a dirigere il Partito d’Azione anche dopo il ‘70 e il trasformismo è l’espressione politica di questa azione di direzione.

 

Secondo Gramsci la principale debolezza del Partito d’Azio­ne è stata quella di non aver saputo porre all’ordine del giorno una riforma agraria capace di mobilitare le masse contadine. E il sardo non risparmia critiche a Garibaldi e ai garibaldini che non seppero distribuire ai contadini i beni ecclesiastici espro­priati alla Chiesa e schiacciarono implacabilmente i contadini insorti contro i baroni.

Gramsci torna ad occuparsi della storia del Risorgimento in uno dei suoi ultimi quaderni tra il 1934 e il 1935. Qui riprende i suoi primi appunti, preci­sando meglio il suo pensiero. Particolarmente significativa ap­pare oggi una sua pagina che sembra parlare, mutatis mutandis, del nostro presente, delle classi dirigenti dei nostri giorni «che annunziano un sole che mai vuole spuntare» e che hanno contribuito a creare confusione tra Destra e Sinistra:

 

                                        Risulta che non c’è stato nessuno cambiamento essenziale nel passaggio dalla Destra alla Sinistra: il marasma in cui si trova il Paese non è dovuto al regime parlamentare (che rende pubblico e notorio ciò che prima rimaneva nascosto) ma alla debolezza e inconsistenza della classe dirigente e alla grande miseria e arretra­tezza del paese.

 

FRANCESCO  VIRGA

   PS: Una ricostruzione più ampia e approfondita del punto di vista gramsciano la trovate nel mio libro  EREDITA' DISSIPATE Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Editore, Bologna 2023, II edizione rivista ed ampliata.

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento