28 agosto 2025

DANILO DOLCI PER LA PACE



                  

                     Nel dicembre del 1975 il Presidente e il vicepresidente del "Peace Memorial Museum" di Hiroshima, invitati da Danilo Dolci, mostrarono ai bambini del Centro Educativo di Mirto (Partinico) alcuni reperti dell'esplosione atomica del 6 agosto 1945 che, per la prima volta, distrusse una intera città: "Abbiamo portato in dono le prove di un crimine che tutti hanno voluto cancellare".

                   Il giornale L' ORA di Palermo il 18 dicembre 1975 dedicò la prima pagina all'iniziativa di Danilo e Alberto Spampinato, nelle pagine interne, scrisse un bellissimo articolo.

                   In quel periodo lavoravo a tempo pieno nel Centro Studi e Iniziative di Danilo e toccò proprio a me preparare il comunicato stampa che illustrava l'evento che prevedeva, tra l'altro, nel pomeriggio - nella sala consiliare del Comune di Partinico - una conferenza di Danilo sul tema "La lezione di Hiroshima e l'educazione alla nonviolenza nelle scuole" e la partecipazione di Ignazio Buttitta.

                   Danilo Dolci, con Aldo Capitini e Bertrand Russell, sono stati forse gli uomini più impegnati del 900 a promuovere il valore della nonviolenza e della Pace nel mondo.

                   Come è noto il massimo teorico italiano della nonviolenza è stato Aldo Capitini (1899-1968) e si sa che il pensiero e l’opera del filosofo perugino sono stati un punto di riferimento costante per Dolci. Fin dal principio, infatti, Capitini gli è stato accanto: dal suo primo digiuno nel 1952 a Trappeto, nel lettino del bambino morto d’inedia, al famoso “sciopero alla rovescia” del 1956, Danilo ha trovato nell’autore de Il potere di tutti (1969) uno dei suoi principali sostenitori.

                   Dolci è rimasto fedele allo spirito del suo insegnamento[1]  persino quando ha dissentito da alcune sue posizioni. Basti ricordare, per tutti, il modo in cui Danilo accolse nel 1958 il Premio Lenin per la Pace conferitogli dall’ URSS di Nikita Krusciov.[2]

                        Partiamo da Capitini allora, anche perché il suo pensiero – per dirla con Hegel – è più noto che realmente conosciuto. Esiste un’ ottima antologia sulla sua opera curata da Giovanni Cacioppo. Peraltro devo a quest’ultimo il mio incontro nel 1975 con Danilo Dolci e la mia successiva collaborazione  con il suo Centro  durata due anni.

                  In un libro che gli dedica nel 1958, Capitini scrive: “Danilo è costante nel portare le cose alte a contatto degli ultimi. Le cose alte sono: l’apertura nonviolenta, le decisioni esatte, la cultura, l’arte, la musica; egli ha fondato a Trappeto un’università popolare, costituito una biblioteca ha eseguito con i dischi davanti a fanciulli e pescatori  musiche di Bach, Vivaldi, Beethoven, Mozart, Brahms […].Gli ultimi sono quelli che non ce la fanno, i malati, i deboli, i doloranti, i pazzi spesso per denutrizione, le prostitute, gli sfruttati, le famiglie dei carcerati con i giovanissimi in pericolo di buttarsi al banditismo, sono i banditi stessi, che Danilo frequenta e conosce bene (dimostra che sono diventati tali per  miseria e disperazione), sono gli analfabeti. Egli vorrebbe che si cominciasse da loro”.

                   Danilo Dolci non lo dimenticherà mai e lo ricorderà, dieci anni dopo la morte, con questi bellissimi versi:

 

                     Aldo:

                     ne sento il vuoto –

                     impacciato a camminare
ma enormemente libero e attivo,
concentrato
ma aperto all’angoscia di ognuno,
non ammazzava una mosca
ma era veramente un rivoluzionario,
miope

                     ma profeta.

                     (Danilo Dolci, da Creatura di creature, 1979)

 

                            Marco Grifo, in un suo recente lavoro storico-critico sull’ opera del  Dolci,  superando nettamente i tratti agiografici che hanno  contrassegnato finora le pubblicazioni sul Gandhi italiano, ha ben documentato i rapporti di Danilo con B. Russell per il disarmo nucleare e contro l’ intervento americano nel Vietnam.  Memorabile rimane, inoltre, la Marcia per la Pace e lo sviluppo della Sicilia occidentale che si svolse nel marzo del 1967. Non si può dimenticare, infine, quanto scrive, già ammalato in un letto di ospedale, contro le basi NATO alla Maddalena, in Sardegna, sede di sommergibili nucleari statunitensi, intorno alla quale vige un sistema di servilismo ed omertà, perché il dominio del complesso militare-industriale agisce come “un tipico esempio di sistema mafioso-clientelare (segreto parossistico e violento) a livello internazionale” (Comunicare legge della vita, 1997), contro il quale è necessario lottare ancora. Del resto, come aveva avvisato già nel 1971 “non è possibile prevedere se gli uomini sceglieranno di sopravvivere o di suicidarsi: ma se sceglieranno la vita – per paura se non per amore – questa scelta significherà l’invenzione sempre più scientificamente organica dell’azione e della rivoluzione nonviolenta” (Non sentite l’odore del fumo?). 

                                E’ troppo ricca la vicenda umana, sociale e culturale di Danilo Dolci per poterla riassumere in poche righe.  La cosa che mi colpì maggiormente di Danilo, dopo i primi incontri, fu la sua straordinaria capacità di ascolto e di comunicazione. Parlava poco ma le sue parole colpivano sempre nel segno. Somigliava tanto il suo modo di comunicare a quello essenziale dei vecchi contadini da cui Danilo ha appreso tanto ( vedi le sue Conversazioni contadine, Einaudi 1962). Un elemento portante della sua opera, generalmente trascurato dalla critica, va ricercato nell’attenzione particolare prestata sempre, in modo non accademico, alle questioni linguistiche. Danilo ha compreso immediatamente che - “PER ESSERE INTESO DA GENTE CHE SPESSO SI ESPRIME PER PROVERBI (…) ED IN  UNA LINGUA CHE E’ INSIEME CLASSICA E DIALETTALE” ( Il limone lunare, Laterza  1970, p. 5) - occorre saper parlare con la stessa semplicità ed essenzialità dei vecchi contadini.

CU IOCA SULU ‘UN PERDI MAI”: è questo uno dei più diffusi proverbi siciliani con cui cozza Dolci, appena arrivato in Sicilia, e su cui  riflette a lungo per capire la psicologia e la storia del popolo siciliano. Non a caso lo utilizza  per intitolare uno dei suoi libri in cui  più apertamente affronta il nodo mafioso: “CHI  GIOCA SOLO”, Einaudi 1966.

 Danilo sa che dietro al  proverbio, oltre ad una concezione del mondo, c’è la memoria delle sconfitte subite nella storia delle classi subalterne meridionali, dai Fasci dell’ 800 alle più recenti lotte per il superamento del feudo e la riforma agraria.

 Dolci ha sempre creduto nella forza liberatrice della parola. Oltre ad essere stato un grande comunicatore, Danilo sapeva ascoltare e stimolare a parlare come pochi. Nei suoi gruppi di  AUTOANALISI  – dai primi, con i contadini e i pescatori di Trappeto, agli ultimi con i bambini di Mirto – l’esercizio espressivo ha occupato sempre un posto centrale. Per Danilo ogni liberazione passa  attraverso la potenza espressiva della parola, la stessa scoperta di sé e del mondo avviene grazie al linguaggio. Basti rileggere, da questa prospettiva, i suoi libri per verificarlo. Soprattutto nei suoi primi libri appare evidente come Danilo sia capace di valorizzare il dono naturale della parola che hanno tutti, anche gli analfabeti: si ricordi, per tutti, la testimonianza  del giovane pastore Vincenzo che Danilo incontra  nel 1956 all’Ucciardone - dove viene rinchiuso per aver organizzato il famoso sciopero alla rovescia per riparare una vecchia trazzera -   e che, non a caso, trascrive e pone come preambolo al suo famoso  Processo all’art. 4, Einaudi 1956 .

 Danilo ha compreso bene la Sicilia e i siciliani. E, soprattutto, quella parte del popolo che Gramsci chiamava “classi subalterne”, di cui apprezzava le potenzialità creative. D’altra parte il suo rapporto con la storia e le tradizioni del popolo siciliano è stato sempre dialettico. Dolci amava la dialettica non meno dei vecchi braccianti che, come Fifiddu Rubino, avevano partecipato all’occupazione delle terre incolte. Ricordo che, conoscendo le mie simpatie per Gramsci e per il giovane Marx, mi raccomandava sempre la lettura di un eretico marxista come Ernst Bloch. La sua stessa originale teoria e pratica della nonviolenza ha preso le mosse da una antica forma di lotta del movimento contadino: lo SCIOPERO ALLA ROVESCIA.

 

FRANCESCO VIRGA     aprile 2025

 

 

 

 

 

 

 



[1]  Sul tavolo di lavoro di Danilo Dolci negli anni settanta spiccava la bella antologia di scritti di Capitini, curata e pubblicata nel 1977 da Giovanni Cacioppo: Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria.

[2] Una attenta ricostruzione della storia di questo Premio e dell’animata discussione che Danilo ebbe nell’occasione sia con Capitini che con Ignazio Silone si può leggere in:  Stefano Raia, L’ideologia del nemico e il premio Lenin a Danilo Dolci, SEGNO, Anno XVI, n.117-118, settembre-ottobre1990, pp. 43-60.