30 aprile 2012

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI




Oggi è un Giorno dei Lavoratori che si preannuncia assai movimentato. Le manifestazioni di Francia cadono nel sempre più aspro scontro elettorale, e conviene tenere d’occhio anche la Grecia e la Spagna.
Ma è soprattutto negli Stati Uniti che si prospettano cose inaudite. Occupy Wall Street e gli altri movimenti, hanno annunciato lo sciopero generale.
Niente lavoro, niente scuola, niente lavori domestici, niente shopping. Scendete in strada e lottate.
Si può seguire il tutto via twitter, direttamente attraverso @OccupyWallStNYC o, in italiano, tramite Claudia Vago alias @tigella, giunta dalla Via Emilia a Zuccotti Park.
Pare che il 1°maggio sia rinato.


FESTE  E  FIORI


Ogni festa ha il suo fiore,
lo si sa.
A marzo la mimosa
nel giorno della donna
che esige parità.
A Pasqua c’è l’ulivo,
se sposi hai fior d’arancio,
le rose per gli amanti
e il dì dei morti
crisantemi e rimpianti.

E il Primo Maggio?
la festa del lavoro e del sudore?
Propongo che sia posto alla finestra
un ramoscello di ginestra in fiore,
ricordo di Portella che non muore.

 Piero Nissim

29 aprile 2012

LA RIVOLUZIONE DELLE MATITE...



Quanto accaduto a Bolognetta, un paesino della provincia di Palermo, in questi ultimi giorni  per noi  è un segno dei tempi. La Sicilia è più mobile ( e nobile!) di quanto sembra. 
Non era per nulla scontato che ad un atto intimidatorio si reagisse nel modo civile che abbiamo potuto vedere coi nostri occhi. Diverse centinaia di persone  questa mattina in piazza Giovanni Paolo II (già piazza Matrice) al centro di Bolognetta, per la manifestazione di pubblico sostegno al gruppo spontaneo LA RIVOLUZIONE DELLE MATITE, composto da una ventina di ragazze e ragazzi di Bolognetta.
Nei giorni scorsi un attivista del gruppo, Sergio Guttilla, 30 anni, capo scout, era stato minacciato da una telefonata intimidatoria giunta al telefono di casa.

I componenti del gruppo hanno letto gli slogan contro il voto di scambio ed il voto di parentela, che hanno diffuso nelle settimane scorse con volantini e manichini di cartone appesi ai pali della pubblica illuminazione: "Si voti p'u parenti, poi è inutili chi ti lamenti", "Non votu pi chiddu chi dici 'u ziu, votu comu vogghiu iu", etc. Su un ampio cartello biancodecine e decine di aprtecipanti hanno potuto lasciare il proprio nome ed il numero del proprio telefonino, a cui si può rivolgere chi volesse ancora utilizzare minacce ed intimidazioni.
Sergio Guttilla, il giovane cui è arrivata la telefonata minatoria, ha letto un messaggio che riproponiamo di seguito nei suoi passi più significativi.

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"Il 2012 è un anno molto importante. Per chi non lo sapesse, quest’anno ricorre il ventennale delle stragi di Falcone e Borsellino. E’ indicativo: ancora dopo vent’anni, siamo qui a parlare degli stessi temi, con il coraggio però di essere in piazza a viso scoperto, senza paure. In loro ricordo e per tutti gli altri eroi caduti nella lotta alla criminalità organizzata, vogliamo dedicare questo nostro piccolo, minuscolo, impegno e questa nostra così sentita manifestazione"


"Cari amici,

Voglio ringraziarvi a nome del gruppo spontaneo “la rivoluzione delle matite”, per l’immensa solidarietà che abbiamo ricevuto in questi giorni da vicini e lontani.

Vogliamo ringraziare in particolar modo l’associazione Libera di Palermo che ci ha espresso la sua totale solidarietà;  […]

La vostra presenza ci incoraggia e ci onora. Ci fa capire che non siamo soli, e non è affatto poco!
Grazie!

Siamo partiti qualche mese fa con un progetto e un impegno che reputavamo semplice e doveroso: comunicare, al di fuori di ogni schieramento, l’attaccamento a quei valori che spesso nelle campagne elettorali vengono sottaciuti per interesse e che vengono messi da parte per dar spazio ad accuse superficiali di basso livello.

Noi ci abbiamo creduto e abbiamo voluto cominciare affiggendo, utilizzando l’effetto sorpresa, sulle porte di ogni famiglia quella frase che Paolo Borsellino ci ha lasciato come impegno e come monito. Sul volantino vi era scritto:

"La rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello".

La reazione scomposta di alcuni e l’euforico appoggio incondizionato di altri, ci hanno subito fatto capire che quelle semplici parole avevano acquistato un peso nuovo, più forte. E siamo davvero orgogliosi di essere stati gli amplificatori di questo messaggio semplice, vero: che, chissà perché, a qualcuno, ha dato fastidio.

In un secondo momento abbiamo voluto ribadire, a chi per scherzo ci prendeva in giro inventandosi una “rivoluzione delle gomme”, che la matita copiativa che serve per votare è indelebile e non può essere cancellata. Così come non può essere cancellata l’opinione libera e sacrosanta dei cittadini quando vogliono manifestare il loro pensiero.

In un terzo momento, sfidando anche gli eventi atmosferici, abbiamo voluto gridare la nostra opposizione al voto di parentela. Le sagome che molti di voi hanno visto appese dappertutto (e che qualche candidato ha preso a calci) ponevano delle domande simpatiche ma serie. In un momento come questo, durante il quale la politica si fa a “pacchetti di parentela”, abbiamo voluto gettare un sasso in quest’acqua torbida cercando di scuotere le coscienze alimentando domande per noi ovvie: che senso ha votare un parente solo perché è parente?

Queste action, a quanto pare, hanno centrato il punto: che non riguarda i semplici schieramenti di lista, ma l’approccio che candidati ed elettori dovrebbero avere davanti alle elezioni comunali.

Troppo spesso ci lamentiamo per le cose che non vanno, per spese che riteniamo assurde, per evidenti speculazioni e favoritismi. Ma tocca a noi far capire a coloro che vogliono rappresentarci, che il nostro voto è e sarà sempre indirizzato verso le persone che possano darci un certificato di onestà vera non soltanto a parole, ma con i fatti concreti.

Ci siamo resi conto che per la prima volta questi temi sono stati affrontati in campagna elettorale e possiamo ben dire che il merito è anche nostro.

Non possiamo tollerare che nel 2012 c’è gente che ancora si fa pilotare, che svende il suo voto, che sta zitta davanti alle minacce che, purtroppo non sono poche. Non sono poche.

Come sapete, anche noi siamo stati contattati con la malriuscita volontà di metterci paura e fermarci.

Ma noi siamo fin troppo fortunati e la partecipazione di oggi ne è la prova. Siamo fortunati perché sappiamo che non siamo affatto soli.

Ma consentiteci di pensare a tutti coloro che sono stati contattati e minacciati e non hanno avuto il coraggio di denunciare perché si sono sentiti soli.

Il percorso che va dalla propria casa alla caserma per la denuncia è una strada sofferta. Tanti sono i dubbi, le paure e le domande. Ma se è in noi la certezza di non essere da soli, allora si trova il coraggio per denunciare, per dire “no”, per metterci ancora la faccia.

Vogliamo dirlo a tutti coloro che, pur manifestando solidarietà, hanno consigliato di non fare “scrusciu”. Perché, dicono, che non c’è più speranza, che la gente non cambierà mai e che è meglio farci i fatti nostri. Questi pensieri, che a nostro avviso offendono chi ha speso la vita affinché qualcosa possa cambiare, non ci appartengono.

Il cittadino non deve avere paura, ha il diritto di essere sostenuto e protetto dalla società e dalle forze dell’ordine, che devono dimostrarsi sempre più vicini ai cittadini con atteggiamenti di vicinanza non solo formali.

Vogliamo dire inoltre a tutti coloro che si sono candidati in passato, a quelli che si candidano oggi e a quelli che si candideranno in futuro: non vi vergognate?
Non vi vergognate quando, per la vostra sete di vittoria, tollerate o peggio ancora vi accordate con coloro che sviliscono la dignità delle persone?

Come fate a stare tranquilli, pensando a vantaggi, numeri, voti, famiglie e calcoli di probabilità, quando i vostri fratelli e le vostre sorelle vengono minacciati, zittiti, impauriti?

Non vi vergognate quando vedete costretti i vostri concittadini a fare i conti con le telefonate anonime, con gli atti intimidatori, con la paura?

Cari amministratori, passati, presenti e futuri,

Noi non ci aspettiamo eroi. E non vogliamo soltanto belle parole di distanza.
Vogliamo gente chiara, che sappia dimostrare con fatti concreti la loro presunzione di essere onesti e leali. A partire dalla scelta dei candidati, dei collaboratori, degli amici, dei sostenitori.

Mettetevi in testa che le generazioni cambiano e che i giovani non si lasceranno più manipolare a vostro piacimento.

Accettatelo e comportatevi di conseguenza.

Abituatevi a sentire le critiche senza scomporvi più di tanto, ricordatevi che quando amministrate siete al servizio dei cittadini e non i podestà. E quando un cittadino si lamenta e protesta considerate che è lui il vostro datore di lavoro e voi i dipendenti.

Non abbiate paura della rete, dei social network, della libertà massima di espressione di tutti, perché non è più il tempo delle azioni nascoste e mute.
Invece di impegnarvi ad accusare chi vi critica, siate più attenti a non fare cose delle quali potreste vergognarvi.

A tutti noi elettori spetta il compito più importante che non è solo votare, ma anche pretendere dai nostri candidati di riferimento, garanzie di onestà e di lealtà. Facciamo sentire loro quanto ci teniamo. Quanto importante è per noi l’espressione del nostro voto che deve essere, necessariamente, libero, incondizionato e di coscienza!

Il gruppo spontaneo "la rivoluzione delle matite” è nato in funzione di queste elezioni amministrative e concluderà il suo impegno a elezioni finite, così come era stato previsto fin dall’inizio.

Ma ormai il dado è tratto e questa corsa che ci vede impegnati ad interessarci e ad essere cittadini attivi non morirà di certo.

Troveremo, insieme ad altra gente di buona volontà, strade nuove per continuare ad essere presenti, per interessarci, per controllare che i nostri amministratori non abusino del loro potere.

Saremo sempre pronti a fare “scrusciu”, per il bene del nostro paese, per i valori nei quali crediamo, per la gente che amiamo.
Rivisitando un’altra frase di Paolo Borsellino vogliamo dire:
“Bolognetta non ci piaceva, per questo abbiamo imparato ad amarla.
Perchè il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.”

Qui accanto a me ci sono tutti quelli che hanno collaborato, riscoprendo la bellezza della condivisione e della partecipazione, con il loro lavoro manuale e di pensiero, sporcandosi le mani, ritagliando, scrivendo, sfidando le intemperie, e facendo le ore piccole per realizzare questo progetto.

Grazie di cuore da tutti i membri della rivoluzione delle matite!"
 
Sergio Guttilla

Leonardo Sciascia nella memoria di Stefano Vilardo

Stefano Vilardo tra S. Lombino e F. Virga ad Alpe Cucco (2005)

Stefano Vilardo sta per pubblicare il libro:  A scuola con Leonardo, a cura di Antonio Motta, Editore  Sellerio. Nell’occasione Tano Gullo ha  intervistato il maestro di Delia (CL) che, a 90 anni, conserva intatta la sua lucidità e la sua passione per la letteratura e la vita.
Riproponiamo di seguito la bellissima intervista apparsa ieri sull’edizione palermitana di Repubblica:    
IL MIO COMPAGNO SCIASCIA

Non finirà mai di benedire quella bocciatura al primo anno nel magistrale di Caltanissetta che gli fa rallentare la corsa consentendogli di agganciare la classe successiva, quella in cui è iscritto Leonardo Sciascia. Così Stefano Vilardo, oggi 90 anni e tanta voglia ancora di indignarsi- per i politici corrotti e incapaci, per la gente che li vota, per la viltà degli intellettuali che si girano dall' altra parte - in quel lontano 1935 trova il compagno di banco e l' amico di una vita. Ora, tanto tempo dopo troppe cose (gli anni degli studi, la morte di Sciascia, la fine delle illusioni), Vilardo pubblica "A scuola con Leonardo", un libro intervista curato da Antonio Motta che la Sellerio manderà negli scaffali ai primi di maggio. Che compagno di classe era Sciascia? «Timido e introverso. Per strappargli qualche parola bisognava usare le tenaglie. Ma di ragionamento lucido. Anche da giovanissimo le sue parole erano affilate. Rasoiate. Taciturno ma con un lato segreto, una sorta di doppio, che lo spingeva a ordire scherzi formidabili.E nessuno sospettava che a idearli fosse il compagno mutigno». Può tirare fuori dalla cassapanca dei ricordi qualcuno di questi tiri mancini? «Come no? Una volta per caso venne in possesso della carta intestata di una casa editrice catanese e la utilizzò per scrivere una lettera al vanitoso professore di filosofia, autore di una ignobile commedia, in cui gli si prospettava la pubblicazione dell' opera. Potete immaginare le risate nell' assistere al pavoneggiamento del docente che già si sentiva come minimo Alfieri. E potete intuire le ali cadute del "commediografo" quando contattata la casa editrice si sentì dire che vaneggiava». Eravate bravi a scuola? «Per niente. Diciamo che galleggiavamo nella sufficienza». Come, anche Sciascia? «Anche. Ricordo le sue interrogazioni, un lungo silenzio intercalato da sì e no. Ma in italiano era strepitoso. Soprattutto nei temi. Aiutava tutti, negli attacchi soprattutto. E tutti lo adoravamo». Ricorda qualche episodio curioso accaduto tra i banchi? «Il nostro docente di italiano era Giugiù Granata, uomo coltissimo, e al primo tema, ricordo vagamente che era sulla politica internazionale, Leonardo lo scrisse in modo talmente documentato e scorrevole che il docente non volle credere che fosse farina del suo sacco. Leonardo fu accusato di avere copiato e venne trascinato dal preside Luigi Monaco. Poi per giorni e giorni Granata cercò di individuare la fonte della copiatura. Invano. Naturalmente al secondo, terzo, quarto tema, cominciòa ricredersi.E Leonardo divenne il suo pupillo». Qual era la vita a Caltanissetta in quegli anni di miseria e guerra? «Straordinaria. Eravamo poveri e felici della nostra gioventù. La città era ricca di sollecitazioni: lo scrittore Vitaliano Brancati, il partigiano Pompeo Colajanni, il comunista Gino Cortese, che ci onorava della sua amicizia. E poi, coetanei come Emanuele Macaluso, destinato a una grande carriera politica. Non avevamo una lira, ma traboccavamo di curiosità. Rinunciavamo al panino nella ricreazione per comprarci i primi romanzi americani. Fu il professor Granata a darci i soldi per comprare "Un mucchio di quattrini" di Dos Passos». Nel tempo libero cosa facevate? «Quando avevamo i soldi andavamo al cinema, a teatro. E leggevamo tantissimo. Amavamo girovagare per le campagne. Ci portavamoi libri dietro e all' ombra di un albero declamavamo, ci confrontavamo. Ore e ore a leggere versi e a discutere di poesia. I nostri preferiti erano Montale e Ungaretti. Ci siamo scervellati su "M' illumino d' immenso" e su "Ossi di seppia"». Oltre a Sciascia chi era della compagnia? «Eravamo un trio inseparabile, ci chiamavano i tre dell' Avemaria. Io, detto Steste, Leonardo, Nanà, e Calogero Bernardo, Lilly. Nei nostri sogni io dovevo fare l' attore, Nanà il regista e l' altro lo scrittore. Ma la realtà ha scompigliato le illusioni. La guerra ha forse cambiato i nostri destini; infatti, mentre meditavamo di andarci a iscrivere alla scuola di cinema di Firenze, l' Italia venne segata in due dall' avanzata degli americani. Così restammo qui». Sciascia era vicino alle posizioni comuniste, e collaborò anche alle attività clandestine? E lei? «Io, per educazione familiare, ero rigidamente cattolico, quindi democristiano sfegatato, addirittura segretario della sezione della Dc del mio paese, Delia. Leonardo mi diceva che sarebbe stata inevitabile la mia fuoriuscita, come quella di tutte le persone oneste. E così è stato». Lei credente e lui laico. Grandi dispute? «Nottate intere e interrogarci su Dio, dogmi e anima. Alla fine lui chiosava: "Senti Steste, parliamo parliamo, ma non arriviamo a niente. E allora visto che non è possibile rivelare il mistero, leviamoci mano. Parliamo di cose terra terra». Lei è ancora credente? «Non più. La terra è un granellino nell' immensità dell' universo e noi uomini siamo nemmeno punte di spillo. Perché un dio avrebbe dovuto ordire tutto ciò? E perché dovrebbe consentire queste sofferenze a creature da lui create? No, è assurdo. Diciamo che anche in questo mi sono avvicinato alle posizioni sciasciane». Cioè? «Quando Leonardo era molto malato, il suo medico, nostro amico d' antica data, Totò Bellomo, comunista e ateo, gli disse che se avesse stretto i denti e collaborato alle cure avrebbe potuto convivere con il suo male per anni. E aggiunse che valeva la pena di allungarsi la vita su questa terra perché dopo nulla c' è. Leonardo mi riferì la conversazione e commentò: "A lui chi glielo disse che non c' è nulla? Può essere sì e può essere no. Ma chi lo sa?" Da tempo anche io sono agnostico. Uomo del dubbio come il mio vecchio compagno di banco». Con un gran balzo nel tempo, eccoci a oggi. Silvano Nigro da noi intervistato ha detto che oggi la letteratura siciliana è povera cosa. È così? «Sono totalmente d' accordo con lui. Morto Consolo non rimane nulla. Solo il grande vecchio Camilleri, uomo generoso e di forte impegno civile, continua a tenere scena, anche se il suo dialetto inventato ha perso vigore, comincia a stancare. La lingua di Consolo è più vigorosa. Diciamo che lui soffriva nella scrittura, Camilleri si diverte. Quest' ultimo peròè autore di tre romanzi di spessore: "Un filo di fumo", "La concessione del telefono" e "Il birraio di Preston". Altra cosa è Montalbano e peggio ancora, la scia di giallie noir che hanno alimentato». Con Leonardo andavate a scovare giovani pittori. anche nell' arte oggi c' è decadenza? «Diciamo che va meglio. Ci sono degli anziani di talento, Piero Guccione e Giuseppe Tuccio, poi quelli un po' più giovani come Nicolò D' Alessandro e Maurilio Catalano, Totò Caputo. E tanti trenta-quarantenni di sicuro avvenire: Franco Mulaf, i fratelli Lanfranco e Vanni Quadrio, Enzo Nucci. Il più bravo di tutti però è Vincenzo Piazza». Come vive la politica? «Malissimo. È uno scempio. Ci sono due derive, la politica con tutti questi gnomi che la praticano, e l' antipolitica. Ma più che con i partiti corrotti, ce l' ho con gli italiani che li votano. Come abbiamo potuto sopportare per vent' anni un ometto mediocre e vanesio come Berlusconi?».

TANO GULLO  su  La Repubblica del 28.04.2012 ed. Palermo.



28 aprile 2012

VERSO UNA VERA FESTA DEL LAVORO



 


Riprendo dal sito http://lapoesiaelospirito.wordpress.com un intervento di Giovanni Nuscis che condivido:



1.       SONO CINQUE MILIONI
Osservando i dati Istat più recenti, apprendiamo che sono cinque milioni in Italia le persone che cercano  un’occupazione, tra inattivi, sottoccupati e disoccupati. Persone, dunque, che hanno perso il lavoro a seguito di un licenziamento o che non l’hanno mai trovato, o che sono alla ricerca  di un’attività che li impegni maggiormente, poiché quella che svolgono è insufficiente. Tutti, ad ogni modo, potenzialmente impiegabili nel processo produttivo.
2.       UN’IPOTESI.
Attribuire un reddito a chi non ne ha (o un’integrazione per chi ne percepisce uno insufficiente) nella misura massima di 20 mila euro all’anno, costerebbe allo Stato 100 miliardi, al lordo di imposte e contributi previdenziali. Resterebbe allo Stato l’Irpef trattenuta alla fonte nella misura del  23-27%, vale a dire, complessivamente, circa 24 miliardi. E tornerebbero inoltre allo Stato, come tasse ed imposte indirette, altre consistenti somme per effetto degli irrinunciabili  acquisti; sui 76 miliardi residui, circa 15,2 miliardi di euro (IVA al 20%).  Lo Stato arriverebbe così a spendere, in concreto, circa 60,8 miliardi, poco meno della metà dell’evasione fiscale stimata per il 2012 (130 miliardi). Nel 2011 sono stati recuperati circa 12,5 miliardi, che nel  2012 si suppone aumentino in misura consistente, considerate le nuove strategie anti evasione e un’economia sommersa calcolata in 540 miliardi di euro.  Il Bilancio dello Stato – Previsione 2012-2014 (Cassa) prevede nel 2012 un disavanzo tra entrate e spese di 78,653 miliardi, ma dentro una proiezione di pareggio nel 2015, osservando gli incrementi annuali delle entrate e il graduale contenimento delle spese (nel 2014, il disavanzo previsto è infatti di 24,414 miliardi).
3.       IL GOVERNO SI DICE PRONTO A DESTINARE CENTO MILIARDI DI EURO PER INTERVENTI NEL BREVE – MEDIO PERIODO
“Tra infrastrutture, lavori, investimenti a favore delle aziende che investono, recupero dello scaduto”, ha detto in un’intervista il Ministro dello sviluppo Corrado Passera, si prevedono oltre 100 miliardi di interventi anche nel breve medio periodo.  Una notizia che rincuora e che preoccupa. Rincuora per la somma ragguardevole che si renderebbe disponibile, preoccupa invece per la sua dichiarata destinazione. Si è infatti dell’avviso che al di là dei necessari interventi per la “crescita”, sia ben più  urgente e prioritario adottare misure dirette a porre fine alla condizione di povertà della popolazione.  Limitarsi a rilanciare  l’economia, dentro un sistema che ha prodotto e produce patologie sociali evidenti a tutti (evasione fiscale, corruzione, sfruttamento, precarizzazione e licenziamenti, compensi spropositati ai  supermanager), sarebbe un errore.  Ancor meno opportuno sarebbe finanziare ulteriormente le banche (ricordiamo che nel 2011 l’Italia, attraverso i Tremonti bond, ha concesso 4,1 miliardi di euro a quattro banche: Mps, Bpm, Banco Popolare e Credito valtellinese). Leggendo le cronache, che confermano purtroppo l’inveterato malcostume della classe politica e dirigente, non si può non temere per il destino dei nostri soldi. Una cifra enorme che scatenerebbe, con ogni probabilità, una lotta cruenta in un paese infestato da squali del malaffare.  Il sostegno, dunque, dovrebbe essere dato prioritariamente ai singoli lavoratori in quanto parte debole, nel fallimento di strategie politiche e di modelli economici da ripensare. E’ la sopravvivenza delle singole persone, pertanto, la vera emergenza a cui lo Stato deve far fronte. Bisogna infatti ricordare che  “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”( Art. 38, 2° co. Cost.)
4.       CON UN LAVORO PER TUTTI, LA CRESCITA…
L’intervento diretto a beneficio dei cittadini non avrebbe una natura meramente assistenziale, l’ennesimo costo ad incremento della spesa pubblica, bensì un investimento. La spesa pubblica di per sé non deve ritenersi un disvalore, se produce i risultati auspicati. L’intervento comporterebbe infatti una massiccia e strategica immissione nel mondo del lavoro – in maniera diversificata a seconda dei contesti territoriali e degli obiettivi da stabilirsi – di professionalità da preordinare allo sviluppo del Paese, potenziando l’azione degli enti pubblici (a partire dalla scuola, dalla ricerca, dalla formazione professionale veri volani del cambiamento) e convogliando la nuova forza-lavoro nei settori sviluppabili (turismo, ambiente, energie alternative, tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, industria, agricoltura – ridotta al 3,9%  rispetto ai settori dell’industria e dei servizi). Milioni di persone – operai e laureati, compresi quelli emigrati all’estero – che grazie a un‘intelligente regia politico-organizzativa possono ribaltare il destino del Paese: incrementando la produzione e il prodotto interno lordo; eseguendo direttamente molte opere pubbliche in modo da evitare o contenere il ricorso agli appalti, coi conseguenti rischi di corruzione e di sfruttamento dei lavoratori; consentendo consistenti risparmi e un intervento diretto sulle opere da realizzare. Si potrebbero così costruire case a basso costo per chi non ne ha, lavorare e far produrre le numerose terre incolte a vantaggio dei bisognosi, creare e sviluppare servizi a sostegno delle famiglie e delle categorie più deboli.  Stato ed Enti, insomma, si farebbero attori e propulsori di una nuova strategia che tutti coinvolge e nessuno esclude, interagendo con le imprese più affidabili, disposte ad investire e/o ad impegnarsi a stabilizzare i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, o  a coinvolgere gli stessi nella gestione dell’impresa, sull’esempio tedesco (diritto anche questo previsto nella nostra Costituzione all’art. 46:  “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”). Costanti controlli e monitoraggi consentirebbero di indirizzare gli investimenti e l’apporto di risorse umane verso gli enti e le aziende più virtuose (nella qualità delle prestazioni, nell’eliminazione degli sprechi e nella creazione di  benessere sociale. La nuova filosofia dovrebbe essere quella di considerare ogni posto di lavoro stabile una cellula della stabilità complessiva, che come tale va tutelata, aiutata, gratificata. Per far questo si renderebbe necessario tagliare le spese inutili e i privilegi, sopprimendo enti, riducendo stipendi e pensioni oltre una certa soglia.
5.      I PERICOLI IN AGGUATO
Un’ipotesi ed un progetto, inutile dire, da approfondire e migliorare in tutti i suoi aspetti, finanche nei possibili pericoli da prevenire. Mettere al riparo la comunità dai continui mutamenti degli assetti economici e politici, dall’aggressività mafiosa e famelica dei grandi capitali, della grande industria e della finanza, dovrebbe essere comunque la missione principale di uno Stato,  accentuando la lotta contro la corruzione, gli sprechi, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata (a cui verrebbe a mancare la manovalanza, convertita  in un’attività lavorativa lecita); prevedendo sanzioni efficaci non solo di carattere penale, come ad esempio la sospensione del diritto di voto attivo e passivo, della patente di guida, del passaporto.
La classe politica responsabile in buona parte della crisi economica e  sociale del Paese, lungi dal tirarsi da parte o dall’ideare progetti di rinnovamento radicale, si prepara ad assumere altre vesti, con nuove denominazioni e immancabili promesse, con campagne mediatiche  che possiamo fin da ora supporre spregiudicate e accattivanti, contando per l’ennesima volta su un elettorato acritico e senza memoria, assuefatto ormai da troppi anni al degrado etico e culturale. Solo scelte forti  e coraggiose potranno costituire una controffensiva vincente, imponendo un nuovo equilibrio sociale in cui nessuno resti più ai margini. GN

CONTRO L'INDIFFERENZA



Oggi, per ricordare il 75° anniversario della morte di Gramsci,  segnaliamo un breve articolo di Massimo  Ragnedda  che, in modo semplice, spiega il senso della critica gramsciana all’indifferenza. Ci piace concludere il pezzo con la citazione di due appunti  scritti in carcere dal grande sardo che confermano l’originalità di un pensiero libero da schemi ideologici precostituiti. 

Era il 27 Aprile 1937 e si spegneva a Roma una delle più grandi figure dell’Italia contemporanea, apprezzata e stimata ovunque nel mondo. I suoi scritti e le sue opere sono tradotti in decine di lingue e non c’è al mondo biblioteca universitaria che si rispetti che non ha copia delle sue opere. La sua pagina Wikipedia è tradotta in più di 50 lingue diverse. Il 27 aprile di 75 anni fa moriva Antonio Gramsci, dopo aver trascorso quasi 10 anni nelle prigioni fasciste e gli ultimi tre anni della sua vita tra cliniche e regime di semilibertà. Gramsci è stato un filosofo, un giornalista, un critico letterario, ma prima di tutto un uomo che ha lottato con forza e dignità ed ha pagato, sino in fondo, per le sue idee.
Ed è del Gramsci come uomo che voglio parlare, del suo impegno civile e del suo senso dello Stato. Il suo è stato un insegnamento di vita che ancora oggi dovremmo tener presente.
Il suo odio verso gli indifferenti è un monito, oggi più che mai, vitale. “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Gramsci ha perfettamente ragione e noi tutti dovremmo ricordare questo semplice insegnamento. Perché l’indifferenza agisce potentemente nella storia, opera passivamente, ma agisce. Le cose non accadono per opera di una ristretta minoranza, ma perché l’indifferenza della stragrande maggioranza lascia che accadano. Ciò che succede avviene perché la massa abdica alla propria volontà, lascia promulgare leggi che la penalizzano, lascia salire al potere persone che non sono degne di governare o amministrare la cosa pubblica. È inutile il piagnisteo di una parte dei cittadini dinanzi alla miseria dell’umanità. Perché invece, come ci insegna Gramsci, non domandarsi: “se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”
Apprezziamolo oggi questo insegnamento. Apprezziamolo oggi, dinanzi al dilagante populismo, alla demagogia e all’antipolitica galoppante, alla corruzione incessante e al debito pubblico, al razzismo che avanza e alla miseria di certi comportamenti umani. Fermiamoci un attimo e riflettiamo: è successo per caso? È successo come un fatto del destino o un evento naturale? Se anche noi avessimo fatto il nostro dovere, non chiedendo favori ai politici e aumentando, così, il sistema clientelare, se avessimo sempre pagato le tasse, se non avessimo fatto i furbi sugli autobus, se avessimo pagato il canone, se avessimo chiesto la fattura e fatto il nostro dovere di onesti cittadini, saremmo arrivati a tutto questo oggi? Se ad ogni torto subito avessimo protestato, se ci fossimo sempre rifiutati di accettare favori per saltare una fila nelle liste di attesa degli ospedali o di chiedere favori per un concorso, forse oggi l’Italia non sarebbe quel mostro burocratico, corrotto e antimeritocratico nel quale viviamo. Non si ha il diritto di protestare se non si è fatto niente per cambiare il sistema, né tanto meno se si è parte integrante del sistema.
Le decisioni che riguardano tutti noi e il nostro vivere collettivo vengono prese da poche mani e da poche menti, tra il disinteresse e l’assenteismo, tra l’indifferenza e la non curanza. E l’opinione pubblica ignora tutto questo, perché in fondo non se ne preoccupa e lascia che le cose accadano. Perché, come sottolinea Gramsci, non ci deve essere chi sta “alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Non si può essere indifferenti dinanzi alle piccole o grandi ingiustizie che ogni giorno ci circondano. È necessario prendere parte ed essere partigiani, se non si vuole essere complici dell’ingiustizia. È necessario essere cittadini per non essere corresponsabili dei mali che critichiamo. Perché in definitiva, come ci ha insegnato Gramsci “chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano”.

 Massimo Ragnedda , Fonte: http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ragnedda/3178/articoli/Odio-gli-indifferenti-Un-omaggio-a-Gramsci.html.





Dai Quaderni del carcere

"Tutti i più ridicoli fantasticatori che nei loro nascondigli di geni incompresi fanno scoperte strabilianti e definitive, si precipitano su ogni movimento nuovo persuasi di poter spacciare le loro fanfaluche.
D'altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinnanzi ai peggiori errori e non si esaltino ad ogni sciocchezza".
                                           
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“ il pericolo di non vivacità morale è rappresentato dalla teoria fatalistica (…) per cui tutto è giustificato dall’ambiente sociale. Ogni senso di responsabilità individuale si viene così ad ottundere e ogni responsabilità singola è annegata in una astratta e irreperibile responsabilità sociale . Se questo concetto fosse vero, il mondo e la storia sarebbero sempre immobili. Se, infatti, l’individuo, per cambiare, ha bisogno che  tutta la società sia cambiata prima di lui, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana, nessun cambiamento avverrebbe mai”.   
    
Antonio Gramsci

27 aprile 2012

CONTRO TUTTE LE MAFIE. SOLIDARIETA' AI GIOVANI DI BOLOGNETTA




Nel meridione d'Italia l'esercizio del voto non è mai stato libero. Da sempre i condizionamenti ambientali, anche di natura non mafiosa, hanno pesato. Contro questi condizionamenti un gruppo di giovani di Bolognetta (PA) hanno preso posizione.
Pubblichiamo di seguito una  sommaria ricostruzione della storia del gruppo La Rivoluzione delle Matite ed il comunicato stampa diffuso poche ore fa:

 
Domenica 22 Aprile 2012 Bolognetta si è risvegliata con un  messaggio del gruppo de “La Rivoluzione delle Matite”.Un centinaio di sagome tricolori sono state affisse a sorpresa in ogni palo per le vie del paese, secondo lo stile del gruppo, con delle frasi ironiche in siciliano:


 "nzoccu dici tò ziu nun cunta cchiù, ´u candidatu l´ha scegliri tu!"

 “Se voti i parenti, te ne penti"
 
 In contemporanea, sono state diffuse sulla pagina facebook queste sagome virtuali. La sagoma tricolore rappresenta la coscienza civile che si interroga sul senso del proprio voto dato spesso con leggerezza o per ottenere in seguito vantaggi personali, o legati a vincoli che nulla hanno a che vedere con i valori che i candidati devono rappresentare.
Che senso ha votare un parente se quest'ultimo non ha le capacità o la volontà di adoperarsi per il bene comune?
Che senso ha votare senza conoscenza di ciò che rappresenta chi si propone ancora nello scenario politico di Bolognetta?
La chiara indicazione ad un voto di coscienza ed aggiungiamo di conoscenza è rivolto a tutti quelli che hanno perso la memoria storica di Bolognetta ed in particolar modo ai giovani che hanno il dovere ed il diritto di conoscere la storia politica del proprio paese:
“Conoscere il passato per capire il presente e sperare in un futuro migliore”.




                                                           
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COMUNICATO STAMPA

Manifestazione di solidarietà dopo le minacce al gruppo "la Rivoluzione delle Matite".
29 aprile - ore 10.30 - Piazza Matrice - Bolognetta.

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Domenica 29 maggio, il nostro gruppo aveva già in programma l'ultima action di sensibilizzazione per il voto libero e di coscienza, in vista delle elezioni amministrative a Bolognetta.

In questi giorni però un membro del nostro gruppo è stato pesantemente minacciato attraverso una telefonata anonima che abbiamo subito denunciato alle forze dell'ordine: "ti finisce male, ti spezzo le gambe, finisci nella sedia a rotelle".

Per questo la manifestazione già programmata acquista una nuova forza: perché è purtroppo evidente che il voto libero e cosciente non è qualcosa di scontato.

Noi ovviamente non ci fermiamo.

Vi invitiamo anzi domenica 29 aprile ad essere presenti e vicini al nostro gruppo, manifestando con la vostra presenza che la libertà non può essere uccisa dalla paura e che oggi più che mai esiste un popolo che è stufo di essere manipolato.

Ci vedremo tutti quanti a Bolognetta in piazza Giovanni Paolo II alle ore 10.30, per dire agli autori di questi atti vigliacchi che le idee non hanno paura e non muoiono.

Le nostre azioni hanno avuto inizio con le parole del giudice Paolo Borsellino: "la matita è più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello"; per noi quella matita adesso non è soltanto il segno della sacralità del voto ma anche simbolo della nostra dignità di siciliani liberi e stanchi di dover pagare con la paura la nostra libertà e la nostra coscienza.

Per questo vi invitiamo a partecipare numerosi, portando con voi una matita, da tenere in vista dietro l'orecchio per manifestare la vostra solidarietà poiché questa minaccia, fatta ad un nostro membro, è stata fatta a tutti noi, è stata fatta a tutti voi!

Vogliamo essere liberi!

Vi aspettiamo!

(se non potete essere presenti e volete inviare una mail di solidarietà o per informazioni scrivete a rivoluzionedellematite@gmail.com, oppure contattate gli amministratori della pagina FB ufficiale https://www.facebook.com/larivoluzionedellematite)




26 aprile 2012

Servire Dio e lo Spread...






Il  ritorno dello Spread ai livelli dell’autunno scorso sta contribuendo a mettere in crisi il Governo Monti. La fiducia taumaturgica che era stata riposta nel Governo Tecnico vacilla. Sono sempre più numerosi coloro che pensano che la via intrapresa  per risolvere la crisi non sia quella giusta.
Lo scorso mese di gennaio Daniele Bivona ha provato a spiegarci, da un  punto di vista strettamente  finanziario, le ragioni dell’impennata dello Spread. Una spiegazione diversa ce la offre oggi Raniero La Valle in un articolo,  pubblicato ieri su MicroMega, che riproponiamo:

SERVIRE DIO E LO SPREAD
Il martedì nero è stato un brutto risveglio dopo la radiosa notte di Pasqua. Lo Spread, cioè il differenziale tra i titoli italiani e tedeschi, è schizzato di nuovo sopra quota 400, come ai peggiori tempi di Berlusconi, e le Borse sono sprofondate.
Il magico professor Monti, che si trovava in Egitto, ha fatto sapere che lui non poteva farci niente, che la cosa non dipendeva da cause “endogene”, cioè italiane. Erano i Mercati. Gli speculatori, cioè i signori del Mercato, avevano preso un’altra rincorsa per arricchirsi a spese nostre e di altre economie dell’Occidente.
Poi si sono ritirati, fino alla prossima occasione.
La delusione è stata cocente. Noi avevamo fatto tutto per lo Spread. Per lo Spread avevamo mandato via Berlusconi, dopo non esserci riusciti per anni per altre cose, anche più gravi, che stava facendo ai danni della Repubblica.
Per lo Spread avevamo venduto l’anima, e la politica, a una squadra di tecnici che sembrava fossero gli unici a sapere che cosa si dovesse fare (né mancavano di dircelo).
Per lo Spread avevamo gettato nella disperazione quelli che avrebbero dovuto essere pensionati e d’improvviso più non lo furono.
Per lo Spread avevamo tolto soldi ai Comuni e alle Imprese, togliendo assistenza ai vecchi, asili ai bambini, guide ai ciechi, e mettendo in mezzo alla strada lavoratori nel pieno della loro capacità operativa.
Per lo Spread avevamo aumentato le tasse, di ogni genere e misura.
Per lo Spread avevamo aperto a freddo un conflitto caldissimo sull’art. 18 e sui diritti del lavoro.
Per lo Spread avevamo liberalizzato perfino i tassì, che ora riempiono tutte le strade e non sappiamo dove metterli.
Ed ecco che lo Spread si rivolta contro di noi, non era un idolo a cui bastassero i sacrifici umani. E ci dicono che non c’è niente da fare, bisogna stare nei rifugi aspettando che finiscano i bombardamenti, come quando c’era la guerra, e qualcuno ancora se lo ricorda.
Ma a chi è posta la questione?
La questione non è posta all’economia, è posta alla politica. Perché l’economia, dopo che le abbiamo sciolto le briglie, le abbiamo tolto lacci e lacciuoli, le abbiamo permesso di battere non solo moneta, ma derivati, usure e prodotti finanziari di ogni tipo, corre libera e felice lì dove trova profitti rendite e potere. Ma è stata la politica che ha fatto questa scelta. È lei che si è invaghita del liberismo, che nemmeno Einaudi immaginava così incontrollato.
E a rovesciare le conquiste costituzionali e internazionaliste del dopoguerra, prima sono arrivate le politiche reaganiane e tatcheriane, poi le politiche dei neofiti del capitalismo nei Paesi dell’Est, poi le politiche subalterne delle sinistre europee, di Tony Blair, dei partiti postcomunisti.
La conseguenza è che gli Stati, le democrazie, non hanno più in mano gli strumenti per governare il corso delle cose. Non la moneta, non la leva del credito, degli investimenti, delle politiche industriali, delle partecipazioni statali. Siamo in mano a poteri incondizionati e incontrollabili, siamo affidati a automatismi che nessuno può fermare.
Abbiamo manomesso anche la Costituzione, facendo del pareggio di bilancio non un’opzione politica ma un obbligo giuridico, e in quattro e quattr’otto abbiamo cambiato l’art. 81; e quando entrerà in vigore il “Fiscal compact” firmato a Bruxelles, i governi dovranno andare a giustificare le loro politiche economiche non davanti ai Parlamenti ma alle Corti di giustizia.
Un monito si leva allora da questa lezione: non compiamo altri atti irreversibili, che ci mettano in condizioni di sempre maggiore impotenza. Non continuiamo a fare scelte che decidano per noi una volta per tutte. Non continuiamo a firmare trattati, a cambiare Costituzioni, a alienare diritti per cui, ai figli che chiedono pane, dovremo dare pietre, dicendo che è Maastricht, che è l’euro, che è il Patto di stabilità, che è la Banca centrale, che è il debito.
Cioè, torniamo alla politica. Chi non vede che la crisi dei partiti sta anche nel fatto che in realtà non possono fare più nulla per dare vere risposte, per dare aiuto alla vita della gente che rappresentano?
La Repubblica non può fare più nulla di quelli che sarebbero i suoi compiti secondo la Costituzione: garantire, tutelare, curare, provvedere, rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e così via. E non potendo fare nulla per il bene comune, i partiti sono rimasti senza causa. È rimasto solo il potere, e la lotta per il potere.
È colpa loro, hanno tagliato i rami su cui erano seduti.
Ed è qui il vero incentivo alla corruzione: i soldi dei finanziamenti statali, non impiegati per mettere in grado i partiti di fare politica, di servire gli interessi pubblici, sono destinati, dai partiti disonesti e dagli amministratori infedeli, ai godimenti privati. Non solo perciò bisogna rendere trasparenti i soldi dei partiti, ma bisogna vincolarli a fini sociali. Se non vogliono più fare i comizi, che almeno facciano una scuola.
Raniero La Valle 25 aprile 2012 

fonte:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/04/25/raniero-la-valle-servire-dio-e-lo-spread/