31 marzo 2018

PASOLINI SULLA GENERAZIONE SFORTUNATA



Lo spirito profetico di Pier Paolo Pasolini si può cogliere anche in questi versi del 1971 più attuali che mai:

Oh generazione sfortunata!
Cosa succederà domani, se tale classe dirigente -
quando furono
alle prime armi
non conobbero la poesia della tradizione
ne fecero un'esperienza infelice perché senza
sorriso realistico gli fu inaccessibile
e anche per quel poco che la conobbero, dovevano dimostrare
di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal gioco.

Pasolini, La poesia della tradizione da Trasumanar e organizzar (1971)

LE METAMORFOSI TRA MITO E REALTA'


Vieste, spiaggia e faraglione di Pizzomunno

Quello delle metamorfosi è un tema centrale nella mitologia classica. Spesso (come in Ovidio) incentrato sulla mutazione dei corpi, talvolta (come nell'opera di un autore quasi sconosciuto del II secolo) descrivono un passaggio di stato e il divenire fondamento della vita. Insomma, una metafora modernissima della condizione umana.

Maria Jennifer Falcone

La metamorfosi come passaggio di stato/identità

C’è un faraglione, nei pressi di Vieste, che porta il nome di Pizzomunno. La sua storia, ora musicata da Max Gazzè, narra l’amore tra l’omonimo pescatore e la bellissima Cristalda. La loro passione è invidiata dalle Sirene che, rifiutate dal giovane, trascinano la ragazza in fondo al mare e trasformano il suo amato in quel monolite calcareo che si staglia di fronte alla costa del Gargano. I due possono incontrarsi per una sola notte ogni cento anni, e così il loro amore, come la pietra, resiste al tempo e vince la morte.

Trasformazione, poesia, amore, punizione, eziologia: sono molti gli ingredienti che rendono la raffinata ballata del cantautore romano un tassello moderno di quell’«infinito racconto delle metamorfosi» che affonda le sue radici nel mondo greco-romano.

Se l’opera antica più nota è senza dubbio il poema di Ovidio, un contenitore importante di racconti di trasformazione è costituito dalla raccolta di Antonino Liberale, Metamorphóseon Synagogé, ora proposta in traduzione italiana, con introduzione e note di commento, da Adelphi (Le metamorfosi, «Piccola Biblioteca», a cura di Tommaso Braccini e Sonia Macrì).

Dell’autore non si sa quasi nulla: il suo nome e alcune caratteristiche del greco in cui scrive lo lasciano collocare tra il II e il III secolo d.C., sotto gli Antonini o i Severi. Rocambolesca è la storia dell’unico manoscritto che riporta il testo, raccontata con chiarezza da Braccini nell’introduzione. Ora conservato presso la biblioteca universitaria di Heidelberg, il Palatinus graecus 398 faceva parte della cosiddetta Collezione filosofica del Palazzo imperiale di Costantinopoli, fatto copiare da Leone il Matematico nella seconda metà del IX secolo.
Il testo delle Metamorfosi è arricchito da didascalie e interventi eruditi stratificati, iniziati nella tarda antichità. Riscoperto nei primi decenni del Quattrocento da un religioso domenicano che lo portò in Occidente, fu prestato, rubato, donato, trasportato, e si trovò così di volta in volta a Basilea, Heidelberg, Roma, Parigi, passando tra le mani di filologi importanti, come il Frobenius e lo Xylander (che lo tradusse per la prima volta in latino), per poi tornare finalmente a Heidelberg solo nel 1816 dopo la caduta di Napoleone.

Le quarantuno storie di trasformazione sono narrate in una prosa piana ma con dovizia di dettagli (mitografici, geografici, culturali in senso lato) sempre opportunamente chiariti nelle note di commento, che – ricche e ben documentate – si rivelano un ottimo strumento per gli specialisti senza spaventare il lettore meno esperto.

Numerosi sono i racconti dedicati agli animali, in particolare agli uccelli. È il caso di Cicno: il giovane, che impone al suo pretendente Filio una serie di prove, si getta in un lago (da allora chiamato Cicneio) dopo che questi si rifiuta di obbedirgli; disperata, sua madre lo segue in acqua e i due vengono trasformati in uccelli lacustri. Oltre a informare che una storia simile è nota da Ovidio, il commento ricorre agli studi sulla fiaba e sui racconti di folklore (in particolare, alla classificazione di Aarne-Thompson) interpretando i compiti dati a Filio come suitor tasks, prove imposte ai pretendenti.

Diverse sono le storie riguardanti amori incestuosi, con interessanti note storico-antropologiche sul tema dell’incesto nel mondo antico. Come la vicenda dell’irrefrenabile passione di Biblide nei confronti di Cauno, suo fratello gemello: la ragazza viene trasformata in una ninfa Amadriade, mentre dalla roccia dalla quale era pronta a gettarsi scorre ancora un’acqua detta dai locali «Lacrime di Biblide». O come quella di Smirna, follemente innamorata di suo padre, del quale rimane incinta (il bellissimo figlio di questa colpa, Adone, farà innamorare la dea Afrodite) e si trasforma nell’albero della mirra: «si dice che quest’albero ogni anno faccia trasudare il suo frutto dal legno come se piangesse».

Ci sono poi storie di amori osteggiati, come quello di Eracle e Ila: del ragazzo si innamorano le ninfe, che lo rapiscono e lo trasformano in eco per ingannare Eracle e costringerlo così a interrompere le ricerche. E non mancano vicende legate a mutamenti di identità sessuale, come quella di Leucippo, nato femmina ma allevato dalla madre come maschio per esaudire il desiderio del padre di avere un figlio, e infine trasformato in ragazzo dalla dea Leto: Antonino inserisce nel racconto altri protagonisti di cambiamenti sessuali, come l’indovino Tiresia, passato da uomo a donna e poi di nuovo da donna a uomo.
    Ermete e Batto

Proprio come per il Pizzomunno in Puglia, anche nel mondo antico le metamorfosi spesso sono legate a scogli e sassi: come quella di Batto, punito da Ermes per aver rivelato un suo segreto e per questo trasformato in pietra, le cosiddette «Vedette di Batto».

Se il fascino e l’attualità tematica di certi racconti di trasformazione narrati da Antonino ne dimostrano la vicinanza alla nostra cultura, nell’interessantissima prima sezione dell’introduzione Macrì mette in guardia dal rischio di sovrapposizione, ponendo l’attenzione sulla lingua e ricorrendo a un approccio antropologico. Mentre, infatti, l’italiano, parlando di ‘metamorfosi’ e ‘trasformazione’, fa riferimento anzitutto al mutamento del sembiante, ovvero della ‘forma’ (morphé, in greco), nella raccolta di Antonino Liberale il verbo metamorphóo compare solo due volte e il tema dell’aspetto sembra essere eluso. Piuttosto, viene sottolineata l’idea del ‘divenire’, dell’avvicendamento di condizioni che si sostituiscono ad altre, come dimostrano i verbi egéneto (‘divenne’), metébalen o katébalen (‘cambiò’), éllaxe tèn phýsin (‘cambiò la natura’).
Piuttosto che sui corpi, come faceva Ovidio nelle Metamorfosi (vv. 1-2: in nova fert animus mutatas dicere formas / corpora, «l’ispirazione mi spinge a narrare il mutare delle forme in corpi nuovi»), Antonino si concentra sui passaggi di stato e sul tema dell’identità personale. Questa è inserita in un contesto sociale caratterizzato da una successione chiara di tappe prestabilite, il cui superamento è necessario per portare a compimento la propria natura, come dimostrano e contrario i miti narrati: Biblide, per esempio, che dovrebbe diventare adulta nel matrimonio, resta eternamente una Ninfa a causa del suo amore colpevole.

Altrettanto importante e opportunamente messa in luce da Macrì è la prospettiva fortemente antropocentrica che caratterizza il paesaggio antico, contemporaneamente sfondo e risultato delle vicende, e che sostanzia il ricorso all’aition (la narrazione, cioè, che giustifica un toponimo o un rituale legato a un luogo) in quanto fondamento della memoria culturale della comunità.
Dalla Grecia a Vieste, passando per tutte le città in cui il manoscritto di Heidelberg è stato letto e studiato, la metamorfosi è davvero «un’esperienza che ancora oggi non cessa di esercitare fascino e di essere raccontata», che è capace di dare vita a piante, luoghi, animali.

Grazie alla filologia e allo studio di raccolte come quella di Antonino, non dimentichiamo storie lontane (e, come visto, espressione di una cultura altra) come quelle di Cicno, Biblide e Smirna, Ila, Leucippo, Batto. Allo stesso tempo, grazie al folklore, alla poesia e alla musica, ne recuperiamo e apprezziamo di più vicine, come quella di Pizzomunno, scoglio e pescatore eterno del Gargano: «e quell’ira accecante lo fermò per sempre. E così la gente lo ammira da allora, gigante di bianco calcare che aspetta tuttora il suo amore rapito e mai più tornato!».

il manifesto – 11 marzo 2018

Michel de Montaigne, Il corpo e l'anima.



La bellezza è un grande elemento di stima nei rapporti umani; è il primo mezzo di conciliarsi gli uni con gli altri, e non c’è uomo tanto barbaro e arcigno che non si senta in qualche modo toccato dalla sua dolcezza. Il corpo ha grande importanza nella nostra esistenza, vi tiene un gran posto; così la sua struttura e la sua costituzione sono giustamente tenute in gran conto. Quelli che vogliono dividere le nostre due parti principali e separarle l’una dall’altra, hanno torto. Al contrario, bisogna riaccoppiarle e ricongiungerle. Bisogna ordinare all’anima non di isolarsi, di coltivarsi in disparte, di disprezzare e abbandonare il corpo (del resto non potrebbe farlo se non per un’artificiosa impostura), ma di tenerglisi stretta, di abbracciarlo, vezzeggiarlo, assisterlo, controllarlo, consigliarlo, raddrizzarlo e correggerlo quando si fuorvia, sposarlo insomma e fargli da consorte, affinché le loro azioni non appaiano diverse e contrastanti, ma concordi e uniformi.

Michel de Montaigne, Saggi,II, cap.XVII , Adelphi 1966

30 marzo 2018

A. Zagajewski, Scrivi sull'amore





[...] Scrivi sull'amore,
sulle serate lunghe,
sul mattino,
sugli alberi,
sull'infinita pazienza
della luce.


Adam Zagajewski
Leopoli, 21 giugno 1945, poeta, scrittore e saggista

NICOLA GRATO, Venerdì Santo 2018

ph. salvina chetta

VENERDÌ SANTO

quel vecchio ha disegnato sulla faccia
il paese: sa quando volta il mese
dal sole e dalle ombre, riconosce
la voce di chi passa: lo saluta,
gli dà benedizione, non gli importa
niente delle fandonie del potere,
del comitato delle querele
seduto in adunanza plenaria—
mentre sulle rose chiuse di marzo
soffia il primo caldo di primavera.

Nicola Grato
#lacasadelleparoletransumanti

PASOLINI HA AVVERTITO CON FORZA IL BISOGNO DI "UN NUOVO MODO D'ESSERE GRAMSCIANI".




Questa mattina nelle pagine di un bel gruppo FB che seguo - Pier Paolo Pasolini - Le Pagine Corsare – sono apparsi alcuni degli ultimi versi friulani di Pasolini che avevo preso in esame nell’ultimo capitolo di un mio saggio pasoliniano, pubblicato nel 2011, su una rivista scientifica dell’Università di Barcelona. Poiché i versi suddetti, per essere ben compresi, hanno bisogno di qualche spiegazione li ripropongo di seguito accompagnati da un mio breve commento. (fv)

Saluto e augurio

A è quasi sigùr che chista
a è la me ultima poesia par furlàn;
e i vuèj parlàighi a un fassista
prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.
È quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano: e voglio parlare a un fascista, prima che io, o lui, siamo troppo lontani.
Al è un fassista zòvin,
al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassùt ta un paìs,
e al è zut a scuela in sitàt.
È un fascista giovane, avrà ventuno, ventidue anni: è nato in un paese ed è andato a scuola in città.
Al è alt, cui ociàj, il vistìt
gris, i ciavièj curs:
quand ch’al scumìnsia a parlàmi
i crot ch’a no’l savedi nuja di politica
È alto, con gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti: quando comincia a parlarmi, penso che non sappia niente di politica
e ch’al serci doma di difindi il latìn
e il grec, cuntra di me; no savìnt
se ch’i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpìn.
e che cerchi solo di difendere il latino e il greco contro di me; non sapendo quanto io ami il latino, il greco - e i capelli corti. Lo guardo, è alto e grigio come un alpino.
"Ven cà, ven cà, Fedro.
Scolta. I vuèj fati un discors
ch’al somèa un testamìnt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns
"Vieni qua, vieni qua, Fedro. Ascolta. Voglio farti un discorso che sembra un testamento. Ma ricordati, io non mi faccio illusioni
su di te: jo i sai ben, i lu sai,
ch’i no ti às, e no ti vòus vèilu,
un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir:
ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài.
su di te: io so, io so bene, che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore libero, e non puoi essere sincero: ma anche se sei un morto, io ti parlerò.
Difìnt i palès di moràr o aunàr,
in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.
Difendi i paletti di gelso, di ontano, in nome degli Dei, greci o cinesi. Muori d’amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.
Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.
Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat
Per il capo tosato dei tuoi compagni. Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato

tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.
I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,
tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienila nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia,
ti lu sas, a è sapiensa santa.
Difìnt, conserva prea. La Repùblica
a è drenti, tal cuàrp da la mari.
I paris a àn serciàt, e tornàt a sercià
lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega! La Repubblica è dentro, nel corpo della madre. I padri hanno cercato e tornato a cercar
di cà e di là, nass’nt, murìnt,
cambiànt: ma son dutis robis dal passàt.
Vuei: difindi, conservà, preà. Tas:
la to ciamesa ch’a no sedi
di qua e di là, nascendo, morendo, cambiando: ma son tutte cose del passato. Oggi: difendere, conservare, pregare. Taci! Che la tua camicia non sia
nera, e nencia bruna. Tas! Ch’a sedi
’na ciamesa grisa. La ciamesa dal siun.
Odia chej ch’a volin dismòvisi
e dismintiàssi da li Paschis...
nera, e neanche bruna. Taci! che sia una camicia grigia. La camicia del sonno. Odia quelli che vogliono svegliarsi, e dimenticarsi delle Pasque...
Duncia, fantàt dai cialsìns di muàrt,
i ti ài dita se ch’a volin i Dius
dai ciamps. Là ch’i ti sos nassùt.
Là che da frut i ti às imparàt
Dunque, ragazzo dai calzetti di morto, ti ho detto ciò che vogliono gli Dei dei campi. Là dove sei nato. Là dove da bambino hai imparato

i so Comandamìns. Ma in Sitàt?
Scolta. Là Crist a no’l basta.
A coventa la Gl’sia: ma ch’a sedi
moderna. E a coventin i puòrs.
i loro Comandamenti. Ma in Città? Là Cristo non basta. Occorre la Chiesa: ma che sia moderna. E occorrono i poveri
Tu difìnt, conserva, prea:
ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs
Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità. Ama la loro voglia di vivere soli nel loro mondo, tra prati e palazzi
là ch’a no rivi la peràula
dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,
dove non arrivi la parola del nostro mondo; ama il confine che hanno segnato tra noi e loro; ama il loro dialetto inventato ogni mattina,
par no fassi capì; par no spartì
cun nissùn la so ligria.
Ama il sorel di sitàt e la miseria
dai laris; ama la ciar da la mama tal fì.
per non farsi capire; per non condividere con nessuno la loro allegria. Ama il sole di città e la miseria dei ladri; ama la carne della mamma nel figlio
Drenti dal nustri mond, dis
di no essi borghèis, ma un sant
o un soldàt: un sant sensa ignoransa,
un soldàt sensa violensa.
Dentro il nostro mondo, dì di non essere borghese, ma un santo o un soldato: un santo senza ignoranza, o un soldato senza violenza.
Puarta cun mans di sant o soldàt
l’intimitàt cu’l Re, Destra divina
ch’a è drenti di nu, tal siùn.
Crot tal borghèis vuàrb di onestàt,
Porta con mani di santo o soldato l’intimità col Re, Destra divina che è dentro di noi, nel sonno. Credi nel borghese cieco di onestà,
encia s’a è ’na ilusiòn: parsè
che encia i parons, a àn
i so paròns, a son fis di paris
ch’a stan da qualchi banda dal momd.
anche se è un’illusione: perché anche i padroni hanno i loro padroni, e sono figli di padri che stanno da qualche parte nel mondo.
Basta che doma il sintimìnt
da la vita al sedi par diciu cunpàin:
il rest a no impuàrta, fantàt cun in man
il Libri sensa la Peràula.
È sufficiente che solo il sentimento della vita sia per tutti uguale: il resto non importa, giovane con in mano il Libro senza la Parola.
Hic desinit cantus. Ciàpiti
tu, su li spalis, chistu zèit plen.
Jo i no pos, nissun no capirès
il scàndul. Un veciu al à rispièt
Hic desinit cantus.
Prenditi tu, sulle spalle, questo fardello. Io non posso: nessuno ne capirebbe lo scandalo. Un vecchio ha rispetto
dal judissi dal mond; encia
s’a no ghi impuarta nuja. E al à rispièt
di se che lui al è tal mond. A ghi tocia
difindi i so sgnerfs indebulìs,
del giudizio del mondo: anche se non gliene importa niente. E ha rispetto di ciò che egli è nel mondo. Deve difendere i suoi nervi, indeboliti,
e stà al zoùc ch’a no’l à mai vulùt.
Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri
e stare al gioco a cui non è mai stato. Prenditi tu questo peso, ragazzo che mi odii: portalo tu. Risplende nel cuore. E io camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre
la vita, la zoventùt.
la vita, la gioventù".

- Pier Paolo Pasolini, ora in La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi 1975, pp.255-259.

Ed ecco il mio commento:
3. Nostalgia del volgar’eloquio e il bisogno di un nuovo modo d’essere gramsciani

     Ormai in conclusione, non posso eludere l’ultimo intervento pubblico in cui Pasolini affronta di petto il tema suggerito dal titolo di questo saggio.
È un documento di fondamentale importanza, colpevolmente trascurato dalla critica;81 una sorta di summa, in cui si ritrovano i principali temi dibat­tuti appassionatamente dall’autore nel corso della breve vita. Esso, peraltro, conferma la sostanziale coerenza della riflessione di Pasolini e la centralità che ha nella sua opera la questione dei rapporti tra lingua e potere.
L’intervento, come accennato, si svolse al Liceo Palmieri di Lecce il 21 ottobre 1975, pochi giorni prima della tragica morte, nell’ambito di un Corso di aggiornamento per docenti di Scuola Media Superiore sul tema «Dialetto a scuola».
Fu Pasolini a voler dare all’incontro il titolo dantesco, così evocativo della tradizione letteraria italiana.82 Lo scrittore esordisce affermando di non saper parlare e di non essere in grado di tenere una lezione. Propone, pertanto, di passare immediatamente al dibattito. Ma di fronte al silenzio imbarazzato degli astanti decide di leggere, come introduzione, il monologo finale del dramma, allora inedito, Bestia da stile, che gli ha fornito l’idea d’intitolare l’incontro in quel modo bizzarro.
Ecco solo i versi iniziali della nota poesia, per rendersi conto del suo stile comunicativo e del singolare rapporto con le patrie lettere:83
Il volgar’eloquio: amalo.
Porgi orecchio, benevolo e fonologico,
alla lalìa («Che ur a in!»)
che sorge dal profondo dei meriggi,
tra siepi asciutte,
nei Mercati —nei Fori Boari—
nelle Stazioni —tra Fienili e chiese—.84

Era uno spunto dichiaratamente provocatorio. Come confermano vari testimoni, lo smarrimento dell’uditorio, a lettura finita, non poteva che cre­scere, tanto più che l’invito ad amare il Volgar’eloquio era rivolto a un inesi­stente giovane di un’immaginaria «Destra sublime», che solo Pasolini poteva inventarsi!
Ma per comprendere meglio quanto avvenne quel giorno, conviene ripren­dere le parole di uno degli organizzatori dell’incontro, Gustavo Buratti, pre­sidente dell’AIDLCM (Associazione internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate), che aveva direttamente invitato Pasolini, ricordan­dogli l’antica «militanza» per quelle che Frédéric Mistral chiamava «li lengo meprisado» (le lingue disprezzate):
Ma questi temi (l’amore per il «volgar’eloquio» e l’impegno conseguente), diceva Pasolini, sono una specie di palla al piede per noi, uomini della sinistra. [...] Tuttavia, noi che abbiamo lottato per la nostra lingua, sappiamo quanto Pasolini avesse ragione... sovente i nostri discorsi sono travisati; siamo accu­sati di dividere, con problematiche sovrastrutture, la classe operaia; di «fare il gioco dei padroni» e della destra, magari financo di essere razzisti.85
In effetti, nell’intervento, Pasolini ammette di non avere alcuna ricetta:
È tutto problematico, ed è problematica soprattutto un’azione politica chiara, che non vedo da nessuna parte.86
Torna allora a discutere dei rapporti tra lingua e dialetti, con cui aveva fatto i conti fin da giovane; rimette a fuoco, aggiornando l’analisi, l’annosa questione dei rapporti tra lingua e società, evidenzia come i rapidi mutamen­ti delle abitudini linguistiche degli italiani fossero uno dei frutti della scom­parsa della civiltà contadina. Nel riconoscere infine la crisi della vecchia ide­ologia marxista-leninista, incapace di comprendere il neocapitalismo, invoca la necessità di «un nuovo modo d’essere gramsciani». Più precisamente, dopo aver rivendicato con orgoglio di essere stato un marxista critico da trent’anni87 e di aver dato un contributo originale allo storicismo gramsciano, afferma, memore della classica lezione marxiana:
bisogna tenere presente l’assioma primo e fondamentale dell’economia poli­tica, cioè che chi produce non produce solo merci, produce rapporti sociali, cioè umanità.88
Ora, aggiunge Pasolini, dato che il neocapitalismo ha rivoluzionato il vec­chio modo di produzione e tramite la produzione di beni superflui e il consumismo ha trasformato antropologicamente gli italiani, i vecchi comunisti non sanno più cosa fare. Nella confusione tendono a trasformarsi in «un nuovo tipo di chierici» che, non tenendo conto dei cambiamenti profondi avvenuti negli ultimi dieci anni, ripetono salmodicamente il catechismo marxista-leni­nista, accusando di eresia tutti coloro che la pensano diversamente:
dove ho scritto che bisogna ritornare indietro? Dove? Vedete punto per punto, e io [...] vi dico no: avete capito male, vi siete sbagliati, non intendo affatto ritornare indietro, appunto perché mi pongo i problemi più attuali, fiuto i problemi del momento [...] Gramsci lavorava quaranta anni fa, in un mondo arcaico che noi non osiamo neppure immaginare [...] puoi ricordarmi Gram­sci come anello di una catena storica che porta a fare nuovi ragionamenti oggi, a riproporre un nuovo modo di essere progressisti, un nuovo modo di essere gramsciani.89
Come si vede, anche queste parole confermano l’immagine data di sé nell’intervista ad Arbasino del 1963: «la mia caratteristica principe è la fedeltà».

Rileggendo gli scritti di Pasolini si rimane colpiti dalla loro intatta forza espressiva e comunicativa, dalla loro resistenza al tempo. Il fatto stesso che alcune sue parole-chiave (Palazzo, omologazione, mutazione antropologica, svi­luppo senza progresso) siano diventate senso comune mi sembra un’ulteriore prova dell’attualità della sua analisi. Soprattutto centrata è la critica al consu­mismo, percepito e vissuto come «un vero e proprio cataclisma antropologico».90 È vero che in essa si ritrovano motivi già presenti nella Scuola di Francoforte,91 ma sono certo una novità il linguaggio usato, l’estrema chiarez­za ed immediatezza che l’hanno resa comprensibile a tutti. Pasolini, con il suo acume antropologico, è stato tra i primi a capire la centralità dei mass media nella società contemporanea. Fin dagli anni ‘60,92 sviluppando la geniale intu­izione gramsciana rilevante lo stretto nesso tra lingua, società e potere, aveva colto nelle prime manifestazioni del linguaggio tecnocratico l’emergere di una nuova classe sociale tendenzialmente egemone. Ma, a differenza di tanti intellettuali odierni, non ebbe paura di andare contro corrente, di mettersi in gioco in prima persona, rompendo schemi e logiche di schieramento consolidati.

Più volte, dopo la sua morte, si è cercato di metterci una pietra sopra. I più cinici hanno persino usato la sua orribile fine per farlo. Solo Sciascia, a modo suo, ha tentato di mantenere viva la sua lezione. E non è un caso che proprio un discepolo di quest’ultimo, Vincenzo Consolo, insieme a pochi altri, abbia utilizzato, in un manifesto del giugno 2000, il lessico di Pasolini per tentare di aggiornarne l’analisi:

Caduto il regime democristiano per corruzione interna, per mafia, per crimi­ni, è subentrato ad esso un partito di destra il cui leader (Silvio Berlusconi) è proprietario (caso unico in Europa) di tre reti televisive, oltre che di giornali e case editrici. Queste reti televisive, che poggiano la loro esistenza e la loro potenza sui messaggi pubblicitari, hanno negli anni inciso enormemente sulla cultura e sulla lingua italiana. La televisione statale, per ragione di concorren­za o di volontaria omologazione, si è conformata alla cifra culturale e stilistica di quella privata. Sempre più piccolo borghese, consumistico, fascista, il paese, telestupefatto, ha perso ogni memoria di sé, della sua storia, della sua identità. L’italiano è diventato un’orrenda lingua, un balbettio invaso dai linguaggi mediatici che non esprime altro che merce e consumo.93
E, in un momento in cui l’Italia sembra davvero andare alla deriva, può essere di conforto ricordare che un giovane scrittore come Roberto Saviano, che ha riscosso con il suo Gomorra un meritato successo internazionale, abbia additato tra i suoi maestri il poeta di Casarsa.

Francesco Virga, Novembre 2011 

 Brano estratto dal saggio intitolato:  Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini
 Pubblicato in Quaderns d’Italià n.16, 2011, pp. 175-196. Per ovvie ragioni ho omesso  le note presenti nel testo originale del mio articolo.

IL "NUOVO" CHE AVANZA...



M5S e le tre direttrici

Dove va Grillo e i suoi blog

 
Quello di Beppe Grillo e della Casaleggio Associati è stato dal 2005 un affascinante laboratorio di marketing politico rivoluzionario. Il Movimento 5 Stelle sta sperimentando da anni forme innovative, in cui il nuovo medium della connessione digitale si intreccia con le forme tradizionali o arcaiche della comunicazione e della rappresentanza. È un terreno inesplorato, dove si possono fare (e si sono fatte) grandi scoperte, e si possono commettere gravi errori. Dalla parabola del Movimento 5 Stelle, come dalle parallele vicende di Wikileaks e Cambridge Analytica, abbiamo ancora molto da imparare sugli intrecci di politica e comunicazione.
Il successo elettorale del 4 marzo 2018 ha radici antiche per i ritmi della rete e una storia brevissima se guardiamo all'orizzonte storico dei movimenti politici. Era il gennaio 2005 quando Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio lanciavano il sito beppegrillo.com, probabilmente senza pensare che 13 anni dopo avrebbe assunto un ruolo politico determinante nella fragile democrazia italiana e nelle traballanti architetture della Comunità Europea. 

Nella prima fase, le comunità riflessive dei meet up e la personalità carismatica del comico genovese, con il supporto tecnologico e di marketing della Casaleggio Associati, hanno raccolto e dato forma a un profondo disagio politico. Cinque anni fa, l'imprevisto successo elettorale ha dato al Movimento 5 Stelle responsabilità politiche a livello nazionale. Cinque anni dopo, quello guidato da Di Maio è il primo partito a livello nazionale, indispensabile in qualunque assetto politico. 
Guardando la composizione del Parlamento, l'unica coalizione con qualche prospettiva di stabilità a medio termine sarebbe una alleanza tra il M5S e la Lega. In questa direzione è andata anche l'elezione dei presidenti di Camera e Senato. Ancorare il M5S a sinistra grazie al sostegno del PD è impossibile, considerando anche le faide interne che dilaniano quel che resta del glorioso Partito Comunista da almeno vent'anni e lo rendono inaffidabile.

Per capire quello che può succedere, è opportuno ripercorrere le recenti evoluzioni delle piattaforme informatiche sulle quali Grillo & Co. hanno costruito il loro successo. Il blog di Grillo è stato per tredici anni il principale strumento del Movimento. Questo portale che svolgeva diverse funzioni: ufficio marketing e ufficio stampa di un comico di successo, piattaforma comunicativa di un movimento politico emergente, comunità virtuale in cui raccogliere i simpatizzanti del movimento, strumento di consultazione, proposta, discussione attraverso i meet up e i seggi elettorali delle Parlamentarie... E inoltre blog/rivista, aggregatore, archivio... Tutto questo convogliava un forte traffico verso il sito, con un notevole valore economico.


Tutto questo ora non c'è più. O meglio, questa idra dalle cento teste si è scissa, a partire dal gennaio 2018, lungo tre direttrici che corrispondono ad altrettante diverse forme politiche e impostazioni culturali. 
Il successo elettorale ha proiettato il Movimento 5 Stelle verso la tradizionale rappresentanza politica, con le sue necessità di mediazione e compromesso. I dirigenti del partito, Di Maio in testa, si sono assunti la responsabilità di compiere una serie di scelte (necessarie) anche senza richiedere ogni volta agli iscritti di votare e decidere: una classe dirigente che si è auto selezionata ha rimpiazzato il principio “uno vale uno”, anche perché dopo il 4 marzo in Parlamento il partito non rappresenta solo poche migliaia di attivisti, ma quasi 11 milioni di elettori. Tutto questo trova espressione nel sito ufficiale del movimento, e soprattutto nel blog delle Stelle. Sono canali che comunicano la posizione ufficiale e le iniziative politiche di un partito controllato dal suo gruppo dirigente.

Una seconda direttrice riguarda invece la dimensione innovativa del movimento, il tentativo originario di innescare meccanismi di democrazia diretta e non rappresentativa. È un modello che ha mostrato molti limiti, ma lascia anche intuire le potenzialità di una democrazia 2.0. Questo vettore si incarna nella piattaforma Rousseau, inglobata nel blog delle Stelle. Ospita la discussione sulle proposte politiche del movimento, con i progetti di legge in Italia e in Europa; presenta un livello “interno”, riservato agli iscritti ovvero agli attivisti, e un secondo livello “aperto”, consultabile da tutti, dove è possibile esaminare le proposte al termine della discussione.
L'ultima dimensione riguarda il “garante” del Movimento. Con una decisione assai discussa sulla stampa nazionale, all'inizio del 2018 il sito personale di Grillo e quello del Movimento si sono separati, anche dal punto di vista della gestione: il primo, secondo alcuni osservatori economicamente assai appetibile, è gestito da una società di Roma, la happygraphic. Il secondo resta affidato alla Casaleggio Associati, che dunque mantiene anche il controllo della piattaforma Rousseau. Fin dagli inizi, Grillo ha dato al suo blog un'impronta fortemente culturale: oltre che pubblicizzare i suoi show, tiene viva la dimensione utopica del movimento, l'idea che una tecnologia innovativa e “buona” possa garantire un radioso futuro all'umanità, superando i limiti del capitalismo predatorio e miope delle multinazionali.

Grillo ha dunque abbandonato la maschera del capo carismatico per tornare a indossare quella del profeta: “Sto inseguendo un po' questo futuro che ogni volta che arrivo lui non c'è, va avanti, va avanti. È l'utopia che ti porta ad andare avanti. E con voi voglio farlo tornando al blog come era, nel senso che facciamo interviste, Mohamed Yonus, Stiglitz, Fo, c'erano premi Nobel che ci scrivevano e adesso abbiamo un sacco di interviste, se vedete qui in basso ci sono le interviste di persone che lavorano nei robot, di qua ci sono persone nel hyper-loop, nell'alta velocità, smart city. Abbiamo sistemi di comunicazione meravigliosi che stanno arrivando, come il Li-Fi. Quindi bisogna capire che bisogna essere sempre curiosi, il mio mantra è questo qui, la vita è essere curiosi”, ha scritto presentando il nuovo progetto.

Il primo decennio del Movimento è stato trainato da questi due ultimi vettori. Da un lato il sogno di una democrazia diretta e partecipata, inclusiva. Dall'altro il carisma del leader, in grado di offrire visibilità, riconoscibilità e un punto di convergenza. Con i successi elettorali degli ultimi anni, si sono resi necessari meccanismi di delega e rappresentanza, molto simili a quella delle tradizionali forze politiche, anche se in forme fragili e opache. L'imperativo, nelle prime settimane successive al voto, è stato quello della Realpolitik: occupare maggiori spazi di potere, al di là dei principi fino a quel momento sbandierati come irrinunciabili, costruendo compromessi pragmatici con altri attori politici.

A decidere il futuro del Movimento 5 Stelle (e dunque del paese) non saranno tanto le beghe interne dei vari leader, o lo scontro tra le presunte anime “di destra” e “di sinistra”. A determinare la dinamica politica sarà il difficile equilibrio tra tre diversi progetti culturali, ciascuno a sua volta sottoposto alle proprie dinamiche. Per quanto riguarda il confronto-scontro con la Lega, sarà prima di tutto una guerra sul piano culturale. Da un lato il capitalismo “sovranista” e produttivo della Lega, che rimpiange il mondo “prima della globalizzazione” (e della rete, in fondo). Dall'altro il post-capitalismo utopistico di Grillo, emancipato dal lavoro, aperto, partecipato, inclusivo. Con un paradosso: il M5S ha trionfato al Sud, ovvero nelle zone economicamente e tecnologicamente meno avanzate del paese, mentre il Nord più produttivo, prospero e dinamico si è affidato al conservatorismo identitario della Lega. Al Nord domina la paura di perdere precari privilegi, veri o presunti. Al Sud vince la speranza di un messianico riscatto, ma attraverso forme di welfare che promettono consumo senza sviluppo. Ma i due progetti hanno alcuni punti in comune, oltre al rifiuto della casta ormai di prammatica: la denuncia della globalizzazione (e dunque il rifiuto dello straniero), la diffidenza nei confronti dell'euro e dei suoi burocrati, una scarsa attenzione alla sostenibilità (si tratti di flat tax o di reddito di cittadinanza), e la volontà di demolire quello che resta della sinistra. Che nel frattempo si è cancellata da sola e continua nel suo trend autodistruttivo.



CARFAGNA, BERLUSCONI,CASELLATI,
CALDEROLI,SALVINI : il nuovo che avanza ... verso il baratro.
E le Stelle stanno a gu
CARFAGNA, BERLUSCONI,CASELLATI,
CALDEROLI,SALVINI : il nuovo che avanza ... verso il baratro.
E le Stelle stanno a guardare
ardare