30 aprile 2020

PORTELLA DELLA GINESTRA: Una strage da ricordare sempre.






“c’è in Italia un iperpotere cui giova, a mantenere una determinata gestione del potere, l’ipertensione civile, alimentata da fatti delittuosi la cui caratteristica, che si prenda o no l’esecutore diretto, è quella della indefinibilità tra estrema destra ed estrema sinistra, tra una matrice di violenza e l’altra (…). La prefigurazione (e premonizione ) di un tale iperpotere l’abbiamo avuta nella restaurazione democratica, in Sicilia, negli anni cinquanta. Chi non ricorda la strage di Portella, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un paese senza verità. Ne è venuta fuori, anzi, una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo a fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere.” 



Leonardo Sciascia, Nero su nero.

 ***
“ Gli italiani devono sapere che Portella della Ginestra è la chiave per comprendere la vera storia della nostra Repubblica. Le regole della politica italiana di questo mezzo secolo sono state scritte con il sangue delle vittime di quella strage. ” 

Danilo Dolci

CETI MEDI. Ieri e oggi







Si pensa che la questione dell'impoverimento delle cosiddette classi medie e della precarietà della vita sia un problema dell'oggi, addirittura determinato dalla particolare situazione che stiamo vivendo. Non è così.
Grandissima parte delle "classi medie" è fatta di lavoratori salariati, in quanto tale assimilabili alla classe operaia. Altri, pensiamo alle partite IVA, sono autonomi solo di fatto. Ma,  nonostante l'uso enfatico che viene fatto del termine "imprenditore", anche chi come il piccolo commerciante o il piccolo artigiano vive del suo lavoro non se la passa meglio.
 Sembra un dato recente, in realtà è parte integrante da sempre del sistema economico-sociale in cui viviamo, il capitalismo. Edmondo De Amicis, che fu, non dimentichiamolo, uno scrittore socialista, lo scriveva a chiare lettere già all'inizio del secolo scorso. Riprendiamo una pagina del suo opuscolo "La quistione sociale", rivolto esplicitamente ai giovani, che sembra scritta per denunciare la precarietà dell'oggi.
Per questo, non va mai dimenticato che il Primo Maggio non è la festa del lavoro,una sorta di Natale laico, ma una giornata di lotta degli sfruttati, la presa di parola degli "invisibili" che ricordano nelle piazze e nelle strade che in questa società la ricchezza dei pochi si regge sullo sfruttamento del lavoro delle moltitudini, ceti medi compresi. 

Giorgio Amico  curatore del http://cedocsv.blogspot.com/



Edmondo De Amicis

La quistione sociale

Non dovrei ribattere nemmeno coloro che vi consigliano di lasciar da un lato la quistione sociale dicendovi che essa riguarda una classe sola, o certe classi, non la vostra; poichè son certo che voi non siete tanto sdegnati dell'egoismo miserabile di quest'argomento quanto mossi a pietà dell'insensatezza di chi considera come una parte trascurabile della società la parte di lei più importante per il suo numero, più necessaria per la sua funzione, più benemerita per le sue fatiche; quella, senza di cui la nazione non ha fondamento, la patria non ha difesa, e il mondo non ha nè vesti, nè tetto, nè utensili, nè pane. Ma l'argomento, pure intrinsecamente, è falso.

La quistione sociale abbraccia ormai tutte le classi, poichè anche le classi medie, sebbene con minore intensità, per ora, e con effetti meno visibilmente dolorosi, risentono già tutti i danni di cui le inferiori si lagnano.

Vi è già una gran parte della borghesia per cui l'esistenza non è meno minacciosamente precaria che per le classi chiamate con maggior proprietà lavoratrici; vi sono in tutti i campi del commercio e dell'industria le mezze fortune oppresse nella lotta disperata con le grandi; vi è un popolo di possidenti che mendica; v'è una concorrenza di cento paria per ogni stipendio che basti appena alla vita; vi sono migliaia di giovani d'ingegno e di studio a cui non è possibile di guadagnare quanto un bracciante prima dei trent'anni; v'è la vecchiezza pensionata che disputa il posto alla gioventù esordiente, la donna che lo contende all'uomo, l'uomo che lo contrasta al ragazzo; v'è una tal ressa di naufraghi intorno a ogni trave galleggiante, che quando uno per negligenza o per forza lascia andare la sua, non gli resta quasi più speranza d'afferrarne un'altra, e annega le più volte nella miseria.

NAVIGARE NELL' INSICUREZZA








Mi chiedi perché navigo
nell'insicurezza e non tento
un'altra rotta? Domandalo
all'uccello che vola illeso
perché il tiro era lungo e troppo larga
la rosa della botta.

Anche per noi non alati
esistono rarefazioni
non più di piombo ma di atti,
non più di atmosfera ma di urti.
Se ci salva una perdita di peso
è da vedersi.

Montale/Il tiro a volo/ Diario del '71

29 aprile 2020

E' passato il tempo dei dogmi e delle verità assolute






C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove
e a quale scopo.

Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel tritadocumenti,
e le persone ignote
dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
– per fortuna mi passa

Wislawa Szymborska

27 aprile 2020

GRAMSCI SEMPRE PIU' VIVO




Il 27 aprile 1937 si spegne  Antonio Gramsci. Aveva soltanto  46 anni e aveva già trascorso  11 dei 20 anni di carcere  a cui era stato condannato, per motivi politici, dal Tribunale Speciale  Fascista. Le sue lettere dal carcere, insieme ai Quaderni, sono riconosciute  oggi da tutti come una delle espressioni più alte della cultura mondiale del 900. La lettera, che parzialmente riproduciamo, mostra con semplicità  tutta la sua grandezza umana. (fv)


15 dicembre 1930     


Carissima mamma, ecco il quinto natale che passo in privazione di libertà e il quarto che passo in carcere. Veramente la condizione di coatto in cui passai il natale del 26 ad Ustica era ancora una specie di paradiso della libertà personale in confronto alla condizione di carcerato. Ma non credere che la mia serenità sia venuta meno. Sono invecchiato di quattro anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di avere arricchito la mia esperienza degli uomini e delle cose. Del resto non ho perduto il gusto della vita; tutto mi interessa ancora e sono sicuro che se anche non posso più "zaccurrare  sa fae arrostia" (sgranocchiare le fave arrostite) [...]. Dunque non sono diventato vecchio, ti pare? Si diventa vecchi quando si incomincia a temere la morte e quando si prova dispiacere a vedere gli altri fare ciò che noi non possiamo più fare.
In questo senso sono sicuro che neanche tu sei diventata vecchia nonostante la tua età. Sono sicuro che sei decisa a vivere a lungo, per poterci rivedere tutti insieme e per poter conoscere tutti i tuoi nipotini: finché si vuol vivere, finché si sente il gusto della vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie. [...]. Tanti auguri e saluti a tutti di casa. Ti abbraccio teneramente
                                                            Antonio

RIFLESSIONI ERETICHE





RIFLESSIONI  ERETICHE
di Sergio Benvenuto
1.
 Da bambino, sentii parlare prima dell’influenza “spagnola” e poi della prima guerra mondiale. Mia nonna materna teneva nella sua stanza una grande foto in bianco e nero, sfocata come voleva la maniera romantica dell’epoca, di una bambina triste di nove anni. Si chiamava Sina, era la sua figlia maggiore e, mi si disse, era “morta di spagnola” nel 1919. Quindi, nella mia famiglia ci fu una vittima di quella pandemia. Mentre invece le mie due famiglie – materna e paterna – non ebbero vittime nel corso della guerra del 1915-18, che pure fece 600.000 morti. Pare che la spagnola abbia fatto altrettante vittime in Italia. Eppure nei libri di storia che poi lessi, si parlava tanto della prima guerra mondiale e dei massacri che provocò, non si diceva nulla o quasi della “spagnola”, questa restò per me un sapere privato, domestico. Discrasia tra ciò che è notevole nelle vite private e ciò che è notevole nella vita delle nazioni. I morti per la guerra fecero storia, quelli morti per una influenza no. Eppure le vittime della spagnola furono molti di più di quelli morti sui campi di battaglia (a seconda dei calcoli, si va da 17 a 100 milioni di morti per l’influenza). Ma la prima guerra mondiale cambiò l’assetto politico dell’Europa, la spagnola non cambiò nulla.

A differenza della malattia da coronavirus, che uccide per lo più vecchi pensionati e malati, la spagnola uccideva soprattutto persone tra i venti e i quarant’anni, nel pieno del loro vigore fisico e mentale. Fece mancare molti uomini e donne illustri, ricordo Max Weber e (a 27 anni) Egon Schiele. Ma l’economia si riprese subito, anche se fiaccata dalla guerra.

2.

Quante volte sentiamo dire in questi giorni, con molta sicumera: “Dopo questa pandemia, niente sarà più come prima!” È un’asserzione immancabile ogni volta che capita un evento che ci impressiona tutti. Ma molto spesso si confonde la spettacolarità di un evento con la sua significazione storica.

 Si disse che nulla sarebbe stato come prima giusto dopo l’11 settembre 2001. Vaticinio che allora presi con molto scetticismo. Che cosa di veramente fondamentale poteva cambiare? È vero che gli americani dovettero andare in Afghanistan, ma diciotto anni dopo, quando si profila il ritiro delle truppe americane e delle altre, che cosa è cambiato veramente in Afghanistan? È al punto di partenza: un paese ampiamente controllato dai talebani e le più importanti città in mano a un potere debole. È vero che Bush Jr attaccò l’Iraq di Saddam Hussein, ma l’avrebbe attaccata lo stesso perché questo era il suo pallino “edipico”, il 9/11 gli servì solo come pretesto per farlo. Oggi il 9/11 ci appare come l’acme, certo molto fotogenico, di un tormento storico che agita il mondo islamico nel suo insieme, di cui la guerra che una parte dell’Islam vuole condurre contro il mondo ebraico-cristiano è solo un aspetto, un dramma che esprime – secondo me – le grandi difficoltà delle società islamiche a entrare nella modernità. Il 9/11 in sé non cambiò le cose, fu un episodio di un cambiamento già da tempo in corso.

Dopo il 9/11 si disse che il pericolo del terrorismo avrebbe cambiato il nostro quotidiano, in particolare i viaggi aerei non sarebbero più stati gli stessi perché sottoposti a controlli stringenti. Certo nel traffico aereo sono aumentate le ispezioni, non si possono portare liquidi di una certa entità, né forbici e altri oggetti appuntiti, ma non possiamo dire che i nostri viaggi aerei siano radicalmente mutati dopo il 2001. Essi hanno continuato ad aumentare proprio come prima del 2001.

Così con l’esplosione dell’AIDS negli anni 1980 tutti i profeti di professione dissero che i nostri costumi sessuali sarebbero radicalmente mutati. E in effetti i rapporti tra gli omosessuali in particolare per un certo tempo furono molto più circospetti. Ma non mi pare che i costumi amorosi delle nuove generazioni siano cambiati rispetto a quelli della nostra generazione di baby boomers, tutt’altro. Non basta un’epidemia per far cambiare direzione a certe rivoluzioni del costume, in questo caso, l’omologazione dei comportamenti sessuali femminili a quelli maschili.

Si disse che nulla sarebbe stato più come prima dopo “il 68”, lo si ridisse dopo il disastro di Chernobyl, e di nuovo dopo le manifestazioni di Tien An-Men in Cina, e così dopo la crisi del 2008…. Ma sarebbe facile mostrare che dopo questi eventi memorabili non c’è stato un vero cambiamento. In realtà, molti grandi cambiamenti non sono visibili, perché sono lenti e continui, e quando a un certo punto ci rendiamo conto che le cose sono cambiate… l’evento è già dissolto. I fatti veramente importanti negli ultimi trent’anni sono accaduti al rallentatore. In particolare la conversione della Cina, e poi dell’India, a grande potenza economico-industriale capace di promuovere un modello anche politico alternativo a quello delle democrazie occidentali. O la mutazione elettronica della nostra società, avvenuta a tappe, che trasformerà sempre più il rapporto tra vita e lavoro, e i rapporti tra persone. Per non parlare delle ondate migratorie, che stanno dissolvendo la definizione etnica di “nazione”.

La paradossalità dell’evento-shock è che diventa un evento mutante solo quando la mutazione è già in corso… È quel che accadrà con la crisi coronavirus: accentuerà trasformazioni che già stavano occorrendo. In particolare, la divaricazione tra paesi in fioritura economica e paesi in declino economico.

Siccome la pandemia ha colpito quasi tutti i paesi industriali e ricchi del mondo, la crisi economica – in teoria – dovrebbe essere tra tutti equamente distribuita, grazie all’indifferenza del virus a frontiere e sistemi sociali. Temo però che la crisi economica che ne seguirà – che è già in atto – acuirà le sperequazioni tra i paesi “virtuosi” e quelli “viziosi”, ovvero, in una chiave non morale, tra paesi più forti e paesi più deboli. Rafforzerà le economie di Germania e Cina, per esempio, e indebolirà quelle già deboli di Italia e Grecia (Spagna e Portogallo sono sospese tra i due ranghi). E in effetti l’FMI già prevede le recessioni più gravi proprio nei paesi che erano più mal messi, come Italia e Grecia. Può darsi che il coronavirus moltiplicherà delle diseguaglianze che già ci sono. Come in un universo in espansione, le distanze tra paesi si allargheranno.
3-

 Certamente la pandemia di covid-19 potrebbe avere conseguenze lunghe e consistenti nel caso che non si riuscisse a debellarla mai: il fatto di conviverci stabilmente cambierebbe la nostra vita sociale. Così, si studiano fabbriche, uffici, ristoranti, bar in cui ciascuno resterà separato, magari con una lastra di vetro tra uno e l’altro, si eviteranno gli affollamenti nei mezzi di trasporto, negli stadi, nei concerti, nei cinema…

Ma se si troverà un vaccino, o se l’epidemia verrà contenuta entro limiti accettabili, tutto tornerà come prima. O meglio, si accentueranno processi di mutazione che erano comunque già in corso, ad esempio la concentrazione della nostra vita nelle nostre case, che diventeranno sempre più anche luoghi di lavoro e persino di svago sociale (come ho cercato di mostrare in “Estizzazione. La nostra vita dopo il coronavirus”, https://www.doppiozero.com/materiali/estizzazione-la-nostra-vita-dopo-il-coronavirus). Non diventeremo migliori per essere stati chiusi a lungo in casa, si tratta solo di una retorica consolatoria. Come non diventa migliore, di solito, chi esce di galera dopo mesi o anni.

In realtà, le pandemie passate hanno lasciato pochi segni, come abbiamo visto per la spagnola. Un discorso analogo andrebbe fatto per le varie epidemie di colera che imperversarono nel XIX° secolo, e, andando sempre più a ritroso, fino alla peste nera che, secondo i calcoli, in pochissimo tempo eliminò un terzo della popolazione europea verso la metà del XIV° secolo. Ebbene, se leggiamo un libro di storia politica su quell’epoca, a stento ci accorgeremmo che quel secolo è stato attraversato da un genocidio di quella portata. Prima della peste, il re d’Inghilterra Edoardo III aveva invaso la Francia, e questa guerra continuò indisturbata durante e dopo l’epidemia per circa un centinaio di anni. Gli assetti politici non cambiarono per nulla, e, se sono cambiati, non lo sono stati per la peste nera. In realtà dopo l’epidemia trecentesca ci fu una ripresa economica perché molti sopravvissuti si trovarono eredi di proprietà molto cospicue, e questa concentrazione della ricchezza permise nuovi investimenti e quindi un rilancio dell’economia.

La verità amara su una cosa amara come le pestilenze è che la caterva di morti che esse producono incide ben poco sulla storia. La vita comune, quella fisica, reale, la “nuda vita” che se ne va, è importantissima per chi le è vicino, per chi la ama, insignificante storicamente. La storia è immorale, anzi crudele, perché sul valore della vita fa sempre prevalere il valore del senso.

Ammettiamo che oggi morissero tutti gli anziani dai 65 anni in su (me compreso, che ne ho 72), che cosa cambierebbe? Cambierebbe qualcosa in meglio, direbbe un fool shakespeariano. Certamente questo allevierebbe l’onere delle pensioni, i giovani che lavorano e producono si sentirebbero sgravati dal fardello di anziani che costano tanto, in pensioni e in cure mediche. I più giovani diventerebbero ipso facto più ricchi, e il sistema sanitario, oggi sommerso dagli acciacchi senili, funzionerebbe molto meglio. Certo ogni famiglia piangerebbe la scomparsa dei propri anziani, almeno di quelli che amavano (perché non tutti gli anziani sono amati né amabili, tutt’altro), ma appunto, ogni famiglia piangerebbe il proprio anziano. Se questo anziano fosse morto di infarto, lo avrebbe pianto lo stesso. I lutti individuali non si sommano, restano cordogli individuali. Strana aritmetica del senso, che non addiziona il valore di ogni morte. La loro somma è solo un’astrazione sociologica, che interessa economisti e pianificatori. Non è il numero di morti che conta, è il loro senso, ovvero la loro incidenza storica. Un solo morto può cambiare il corso della storia – ad esempio, la morte di Franz Ferdinand a Sarajevo nel 1914 – milioni di morti possono non cambiare assolutamente nulla. Diceva il presidente Mao nel libretto rosso: “Certe morti pesano come macigni, altre sono lievi come piume.”
[Immagine: L’epidemia di Spagnola].
DA  http://www.leparoleelecose.it/?p=38213

26 aprile 2020

A COSA SERVONO QUESTI 'ESPERTI'?







Mi domando, ogni giorno di più, a cosa servono tutti questi esperti arruolati dal Governo per combattere la pandemia.
Medici e virologi confessano di aver capito ancora poco di questo virus che sembra mutare forma e aggressività, anche secondo il contesto ambientale in cui si manifesta. Gli uomini di scienza, d'altra parte, sono stati sempre divisi, al loro stesso interno, dalle diverse scuole di pensiero.
I manager e i tecnici della protezione civile, fino a qualche giorno fa, non riuscivano neppure a fare arrivare le mascherine chirurgiche e i reagenti necessari per fare i tamponi negli Ospedali Pubblici.
Tutti questi straordinari esperti fino ad oggi sono riusciti a ideare solo le ottuse AUTOCERTIFICAZIONI  e uno slogan assurdo RESTATE A CASA (a casa sono morte tante persone). Forse sono riusciti a salvare gli Ospedali ma senza salvare la vita a tanti medici e infermieri. Non aggiungo altro per carità di patria.

 Infine mi domando: come si fa a decidere in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale? Mi sembra molto discutibile dare le stesse indicazioni per regioni con situazioni diverse: Basilicata con 0 contagi e Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna con ancora tanti. (fv)











P. CELAN E I. BACHMANN : storia di un amore in versi



Paul Celan e Ingeborg Bachmann



Nei fiumi a nord del futuro
getto la rete che tu,
esitante, carichi
di ombre scritte
da pietre


(Paul Celan)


La mia vita è alla fine.
Lui è affogato, trasportato nel fiume, lui era la mia vita.

(Ingeborg Bachmann)

AUMENTANO LE DISTANZE TRA RICCHI E POVERI