30 aprile 2023

IL CASO MORO VISTO DA SCIASCIA

 


Oggi 1° maggio 2023 la rivista DIALOGHI MEDITERRANEI pubblica un mio articolo su un celebre libro di Leonardo Sciascia, letto distrattamente da tanti (me compreso) quando vide la luce. Lo ripropongo di seguito senza le note che possono essere lette sulla rivista accessibile gratuitamente sulla rete. (fv)


Rileggere “L’Affaire Moro” di Leonardo Sciascia

 

di Francesco Virga

 

 

«Lo Stato italiano è resuscitato. Lo Stato è vivo, forte, sicuro e duro.

Da un secolo, da più che un secolo, convive con la mafia siciliana,

con la camorra napoletana, col banditismo sardo.

Da trent’anni coltiva la corruzione e l’incompetenza

 disperde il denaro pubblico

 in fiumi e rivoli di impunite malversazioni e frodi» [1] 

(L. Sciascia, L’affaire Moro, Sellerio 1978: 63). 

 

L’affaire Moro di Leonardo Sciascia viene pubblicato nell’autunno del 1978, qualche mese dopo l’orribile strage della scorta di Aldo Moro, del suo sequestro e successivo assassinio. Il libro viene letto distrattamente da tanti (me compreso) e stroncato da due grandi giornalisti [2]. Apparve frutto di una mente delirante dopo che stampa e tv erano riuscite a convincere l’opinione pubblica che le lettere di Moro non erano state scritte da Moro.

Rileggerlo dopo 44 anni scuote più di quanto non riuscì a fare nel momento in cui vide la luce. Adesso che si sa molto di più sull’accaduto, dopo diversi processi penali, inchieste parlamentari e tanti libri [3] pubblicati sul tema, appare ancora più straordinaria questa singolare opera di Sciascia. Anche se non tutto convince, come vedremo più avanti, impressiona ancora oggi l’acuta e originale analisi delle lettere di Moro compiuta dallo scrittore siciliano [4], in assoluta solitudine, quando tanti preferirono chiudere occhi e cervello.

Sciascia finisce di scriverlo, come si evince dalla data del dattiloscritto, il 24 agosto del 1978. Convinto di avere una bomba in mano, arriva persino a dubitare di poterlo stampare in Italia. Per questa ragione, prima ancora di parlarne con l’editore palermitano Sellerio, si reca a Parigi per accertare che l’editore Grasset sia disponibile a stamparlo in lingua francese. 

Appare utile, per meglio comprendere L’affaire Moro, tenere presente il contesto che lo prepara: nel maggio 1977, presso la Corte di Assise di Torino, inizia il processo contro Renato Curcio e alcuni presunti capi storici delle Brigate rosse. Nell’occasione alcuni membri della giuria popolare rinunciano al mandato di giudicare gli imputati. Pochi giorni dopo, in un’intervista, Eugenio Montale ne giustifica il comportamento condividendo il sentimento di insicurezza dominante in quel periodo in Italia. Si avvia così un’aspra polemica giornalistica circa il coraggio e la viltà degli intellettuali che avrà in L. Sciascia e in G. Amendola i contendenti maggiori [5].

[…]

In questo contesto Sciascia scrive il libro che arriva in tutte le librerie italiane e francesi nell’ottobre del 1978. Oggi sarebbe stato considerato un instant book perché il suo contenuto riguarda quanto accaduto in Italia nei 55 giorni del sequestro Moro, dopo la strage della scorta, avvenuta a Roma il 16 marzo 1978. 

A prima vista siamo di fronte ad un pamphlet, il cui titolo richiama immediatamente alla memoria il celebre libretto di Emile Zola che tanto clamore suscitò alla fine dell’Ottocento. Ma basta leggerne le prime righe per capire che si tratta di ben altro. I primi due capitoli, i più letterari dell’opera, sono dominati e illuminati da due scrittori particolarmente amati dallo scrittore siciliano: Pasolini e Borges. 

Come ha ben visto Massimo Onofri siamo di fronte a un libro profondamente sciasciano: in esso convergono «quella contro-storia d’Italia tracciata dalle Parrocchie in poi» e il dialogo con la tradizione letteraria universale (Borges, Manzoni, Tolstoj, Stendhal, per citare solo alcuni dei nomi a lui più cari), intesa come «sistema trascendentale, repertorio di possibilità, della verità» [6]. Acuta ci appare anche la lettura che ne ha fatto il critico più amato dall’autore, Claude Ambroise, secondo cui il libro è un vero e proprio saggio sulla tragedia e sugli equivoci generati dal linguaggio e dalla comunicazione umana [7]. D’altra parte, in quasi tutti i libri di Sciascia, si sono sempre intrecciati generi diversi. Ma in questo lo stile saggistico prevale nettamente su quello narrativo.

 

Il prologo pasoliniano 

 

Nelle prime sei pagine de L’affaire Moro Sciascia riprende letteralmente brani interi del famoso articolo Il vuoto di potere in Italia, pubblicato da Pasolini sul Corriere della Sera il 1° febbraio 1975, raccolto successivamente nei suoi Scritti corsari col titolo L’articolo delle lucciole. E sembra che sia stata proprio una lucciola intravista nella crepa del muro della sua casa di campagna, alla Noce di Racalmuto, a fargli tornare alla mente Pasolini: 

«Era proprio una lucciola […]. Ne ebbi una gioia immensa. E come doppia. [...]. La gioia di un tempo ritrovato – l’infanzia, i ricordi, […] – e di un tempo da trovare, da inventare. Con Pasolini. Per Pasolini. Pasolini ormai fuori del tempo ma non ancora, in questo terribile paese che l’Italia è diventato, mutato in se stesso […]. Fraterno e lontano, Pasolini per me. Di una fraternità senza confidenza, schermata di pudori e, credo, di reciproche insofferenze» [8]. 

 L’amicizia tra Pasolini e Sciascia nasce nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Un’amicizia scaturita dal comune interesse per le diverse forme della poesia popolare e dialettale nazionale. Non a caso sarà proprio Pasolini a introdurre uno dei primi libri dello scrittore siciliano dedicato alla poesia romanesca e quest’ultimo ad ospitarlo nella rivista nissena “Galleria” nei primi anni cinquanta. L’intesa e la reciproca collaborazione tra i due scrittori si allenta negli anni sessanta per riaccendersi nel decennio successivo, fino agli ultimi giorni di vita di Pasolini. Da qui deriva il rammarico espresso da Sciascia di non aver fatto abbastanza per mostrare all’amico quanto egli si sentisse vicino al suo modo di pensare [9]

Le lucciole conducono Sciascia a ripensare all’altra famosa metafora pasoliniana: il Palazzo. Pasolini voleva processare il Palazzo, ossia la classe dirigente democristiana, responsabile ai suoi occhi di aver manipolato il denaro pubblico, di aver trafficato con la mafia, di avere distrutto il paesaggio e di aver fatto un uso illecito dei Servizi Segreti, coprendo i responsabili delle stragi di Milano e Brescia. Pasolini arriverà a chiedere un vero e proprio «processo penale» contro i dirigenti nazionali della DC [10]

Sciascia sottolinea, inoltre, che il famoso articolo pasoliniano sulle lucciole si apre con la perentoria affermazione secondo la quale «il regime democristiano» è «la pura e semplice continuazione del regime fascista» (AM:15) – tesi questa, in più occasioni, ripresa e condivisa dal nostro autore.


Ancora più significativa appare la citazione di un altro testo fondamentale di Pasolini della metà degli anni sessanta, forse uno dei più gramsciani dello scrittore bolognese, notato da Sciascia fin dal 1965 sulle pagine del giornale palermitano L’ORA, in un corsivo intitolato La lingua di Moro


«L’onorevole Moro è un uomo politico meridionale: il che è abbastanza, ma vale la pena di sottolinearlo, se Pasolini si riferisce a un suo testo come alla carta di Capua della lingua che nasce sull’asse Milano-Torino. E dell’uomo politico meridionale ha tutte le qualità e principale quella del non dire. Fino a ieri, il classico modello dell’oratoria politica meridionale poteva considerarsi il discorso che il principe di Francalanza rivolge ai suoi elettori nei Viceré di Federico De Roberto […]. Genialmente, bisogna riconoscerlo, l’onorevole Moro ha inventato un più rigoroso, quasi scientifico non dire. È sua, se non ricordo male, la trovata delle convergenze parallele che non significano assolutamente niente, né nella logica astratta né in quella delle cose concrete» [11]

Sciascia era rimasto talmente colpito dal linguaggio di Moro, e dall’analisi che ne aveva fatto Pasolini nel 1965, da tornarci 13 anni dopo in questo prologo de L’affaire Moro

 

«Pasolini aveva parlato del linguaggio di Moro in articoli e note di linguistica (e si veda il libro Empirismo eretico [12]). […]. “Come sempre – dice Pasolini – solo nella lingua si sono avuti dei sintomi”. I sintomi del correre verso il vuoto di quel potere democristiano che era stato, fino a dieci anni prima, “la pura e semplice continuazione del regime fascista”. Nella lingua di Moro, nel suo linguaggio completamente nuovo e però, nell’incomprensibilità, disponibile a riempire quello spazio da cui la Chiesa cattolica ritraeva il suo latino proprio in quegli anni. [...]. Pasolini non sa decifrare il latino di Moro, quel “linguaggio completamente nuovo”: ma intuisce che in quella incomprensibilità, […], si è stabilita una “enigmatica correlazione” tra Moro e gli altri; tra colui che meno avrebbe dovuto cercare e sperimentare un nuovo latino (che è ancora il latinorum che fa scattare d’impazienza Renzo Tramaglino) e coloro che invece necessariamente, per sopravvivere sia pure come automi, come maschere, dovevano avvolgervisi. In questo breve inciso di Pasolini – “per una enigmatica correlazione” – c’è come il presentimento, come la prefigurazione dell’affaire Moro. Ora sappiamo che la “correlazione” era una “contraddizione”: e Moro l’ha pagata con la vita. Ma prima che lo assassinassero, è stato costretto, si è costretto, a vivere per circa due mesi un atroce contrappasso: sul suo “linguaggio completamente nuovo”, sul suo nuovo latino incomprensibile quanto l’antico. Un contrappasso diretto: ha dovuto tentare di dire col linguaggio del nondire, di farsi capire adoperando gli stessi strumenti che aveva adottato e sperimentato per non farsi capire. Doveva comunicare usando il linguaggio dell’incomunicabilità. Per necessità: e cioè per censura e autocensura. Da prigioniero. Da spia in territorio nemico e dal nemico vigilata»[13]

 

Letteratura e storia. Borges, Pasolini e le ossessioni di Sciascia 

 

Indubbiamente la grande letteratura ha aiutato spesso a comprendere le cose e la stessa verità storica dei fatti più di tanti libri di storia, di sociologia e di scienza della politica. Sciascia ne è stato sempre consapevole e, in una intervista rilasciata a un celebre giornale francese, ha ben sintetizzato il suo punto di vista: 

 

«Credo che all’uomo – all’uomo umano – non resti che la letteratura per riconoscersi e riconoscere la verità. Il resto è macchina, è statistica, è totalitarismo. È il sistema della menzogna: la grande mostruosa macchina che ingoia tante verità per restituirle in menzogna. E lo Stato finirà per identificarsi in questa macchina, se non si è già identificato. Non avrà niente a che fare con l’uomo, con la nozione dell’uomo che ancora abbiamo e che troviamo nella letteratura» [14].

Ma Sciascia ne L’affaire Moro, ripensando a due suoi precedenti racconti, Il Contesto Todo modo, scritti nei primi anni settanta, afferma che con essi era riuscito a prevedere quanto accaduto in Italia negli anni successivi (le cosiddette Stragi di Stato di Milano, Brescia, Bologna, ecc. compresa la strage di via Fani e il sequestro Moro) [15].

Qui diventa opportuno ricordare la recensione fatta proprio da Pasolini di Todo modo che, evidentemente, ha tanto influenzato Sciascia. In un passaggio di essa lo scrittore corsaro afferma: 

«Questo romanzo giallo metafisico di Sciascia (scritto tra l’altro magistralmente, come diranno i futuri critici letterari ad usum Delphini, perché Todo modo è destinato a entrare nella storia letteraria del Novecento come uno dei migliori libri di Sciascia) è anche, credo, una sottile metafora degli ultimi trent’anni di potere democristiano, fascista e mafioso, con un’aggiunta finale di cosmopolitismo tecnocratico (vissuta però solo dal capo, non dalla turpe greggia alla greppia). Si tratta di una metafora profondamente misteriosa, come ricostituita in un universo che elabora fino alla follia i dati della realtà. I tre delitti sono le stragi di Stato, ma ridotte a immobile simbolo. I meccanismi che spingono ad esse sono a priori preclusi a ogni possibile indagine, restano sepolti nell’impenetrabilità della cosca, e soprattutto nella sua ritualità» [16]

Che questa lettura pasoliniana di Todo modo abbia suggestionato Sciascia è indubbio. I suoi amici romani riferiscono che, nei 55 giorni del sequestro Moro, Sciascia era davvero ossessionato dall’idea che l’immaginazione e la scrittura abbiano straordinari poteri creativi [17]

Nel libro che stiamo analizzando lo stesso autore, facendo riferimento ad un racconto di Borges contenuto nelle sue Ficciones (Pierre Menard, autore del Chisciotte), scrive: 


«come il Don Chisciotte, l’affaire Moro si svolge irrealmente in una realissima temperie storica e ambientale. Allo stesso modo che don Chisciotte dai libri della cavalleria errante, Moro e la sua vicenda sembrano generati da una certa letteratura. Ho ricordato Pasolini. Posso anche – non rallegrandomene ma nemmeno rinnegandoli – ricordare due miei racconti, almeno due: Il contesto Todo modo […]. Lasciata, insomma, alla letteratura la verità, la verità – […] – sembrò generata dalla letteratura»[18]

 

Massimo Onofri ha intravisto in queste parole di Sciascia un nuovo modo di intendere la letteratura che, invece di rispecchiare la realtà, profeticamente la crea [19]. Ancora più discutibile mi sembra il punto di vista di Bruno Pischedda secondo il quale lo scrittore siciliano ha ripreso da Pasolini l’«attitudine vaticinante, il piacere inorgoglito del presentimento e della prefigurazione» [20]. Credo che, se si vuole davvero cercare di comprendere il valore di quest’ opera, occorre evitare gli opposti estremismi dell’esaltazione e della denigrazione. Dal punto di vista strettamente letterario non credo che si tratti del capolavoro dello scrittore siciliano. Vale la pena, al riguardo, ripetere quanto scrisse lo stesso Sciascia contro Eugenio Scalfari che, subito dopo le prime anticipazioni giornalistiche del contenuto del libro ancora inedito, ne elogiava ipocritamente la forma letteraria per contestarne meglio il contenuto; al giornalista il maestro di Racalmuto replicò così: «Ma è possibile […] che il libro non abbia qualità letterarie; che sia soltanto una nuda e dura ricerca della nuda e dura verità» [21].

Penso, inoltre, che sia sbagliato ritenere che Sciascia, con questo libro, abbia cambiato il suo modo d’intendere la letteratura. Il pregio maggiore de L’affaire Moro, secondo me, va ricercato soprattutto nel coraggio mostrato dall’autore di andare controcorrente nell’interpretazione delle lettere scritte da Moro durante il suo sequestro, dimostrando ancora una volta di non avere mai avuto timore di contrapporsi a qualsiasi potere costituito [22]. E sta qui una delle cifre distintive dell’intera produzione letteraria di Leonardo Sciascia, come è dimostrato anche da una intervista rilasciata negli stessi giorni in cui scrive L’affaire Moro: 

 

«Le fa piacere passare per uno scrittore impegnato? (Domanda dell’intervistatore)
Certo, io mi sento “impegnato”: ma con me stesso e con gli altri “me stessi”. I due più grandi scrittori impegnati che io conosco sono André Gide e Georges Bernanos, ed essi lo furono veramente, fino in fondo. Tuttavia, il primo, che si sentiva comunista, scrisse la verità sull’Unione Sovietica, e il secondo, che era cattolico, scrisse contro il mondo cattolico che esaltava la crociata di Franco. Ben vengano dunque gli intellettuali impegnati, ma purché si battano sempre contro il Principe, contro i Poteri, contro le Chiese, anche se si tratta di quelle in cui credono» [23]

Sono sempre più convinto che la cosa meno sciasciana da fare di fronte a tutti i suoi libri è quella di prendere per verità assolute tutte le sue affermazioni, le sue opinioni, i suoi giudizi politici, storici e letterari. Credo che non sia mai stato ben compreso il senso pirandelliano di quella sua famosa affermazione: «vorrei che nella mia tomba venissero scritte queste parole: contraddì e si contraddisse».

 

 

L’analisi critica delle lettere di Moro. Sciascia diviso tra filologia e ideologia

 

Sciascia non ha dubbi sull’autenticità delle lettere scritte da Moro durante la sua detenzione nella cosiddetta “prigione del popolo”. Moro naturalmente sa di essere usato dai suoi carcerieri e di non potere, pertanto, scrivere tutto quello che vuole. Allora si autocensura «adattando alla funzione del dire il suo antico linguaggio del non dire» [24]. Lo scrittore siciliano, pur non avendo mai stimato né provato alcuna simpatia per l’uomo politico, di fronte al prigioniero inerme, di fronte all’«uomo solo, tradito, dato per pazzo dai suoi stessi amici»[25], prova pietà e intravede nelle lettere che i suoi carcerieri gli consentono di scrivere la disperata ricerca di salvare la sua vita.

Sciascia nell’occasione dimostra una lucidità straordinaria. Quasi da solo, grazie alla sua antica e radicata diffidenza nei confronti dello Stato e di ogni forma di potere costituito, comprende le ragioni che spingono Moro, rinchiuso nella prigione del popolo «sotto un dominio pieno e incontrollato» (AM: 50), a cercare, con la sua collaudata arte del dire e non dire, una via per salvarsi; e comprende benissimo il doppio gioco dei brigatisti che fanno finta di consentire al prigioniero di scrivere in modo riservato quelle lettere per sputtanarlo.

Tutto questo Sciascia lo comprende subito dopo la prima lettera indirizzata al Ministro degli Interni Francesco Cossiga (definito capo degli sbirri nel comunicato delle BR che accompagna la lettera) che gli stessi brigatisti rendono pubblica, inviandola in più copie ai principali quotidiani nazionali. Sciascia, prima di analizzare il testo della lettera di Moro, è colpito da un passo del messaggio delle BR (il cosiddetto terzo comunicato dalla prigione del popolo) che riproduce: 

 

«Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume, la rendiamo pubblica» [26]

Moro, secondo Sciascia, non è mai stato uno statista ma un mediocre politicante. E le stesse lettere che invia alla famiglia e ai suoi amici di Partito stanno a dimostrarlo. Ma la vera ragione per cui Sciascia stima poco Moro è dovuto principalmente al severo giudizio ch’egli, in tutti i suoi precedenti libri e in tutta la sua attività giornalistica, ha sempre espresso sul partito di cui Moro è stato uno dei massimi dirigenti.

 

Al riguardo merita di essere ricordato un particolare riferito da Matteo Collura nella sua eccellente biografia del maestro di Racalmuto. Il giornalista racconta in maniera documentata che Sciascia apprende la notizia del rapimento di Moro e della strage di via Fani in casa di amici siciliani che avevano un vivo ricordo delle polemiche suscitate tanti anni prima dalla candidatura di don Peppino Genco Russo nelle liste locali della Democrazia Cristiana di Mussomeli (CL). In quel periodo Moro era Segretario Nazionale del Partito e venne personalmente investito dalle polemiche perché, dopo aver declinato ogni responsabilità e competenza sul caso specifico, ebbe l’imprudenza di affermare che «non sembra che ci sia qualcuno disposto ad affermare e a provare quanto si addebita a Genco Russo» [27]. Chi non poteva avere dubbi sul carattere mafioso del padrino di Mussomeli, erede di Don Calò Vizzini, era proprio Sciascia che nel 1965 aveva avuto modo di intervistarlo per conto del settimanale Mondo nuovo [28]. Comunque, dopo le polemiche, Genco Russo venne giudicato socialmente pericoloso e allontanato dalla Sicilia. 

 

L’analisi critica compiuta da Sciascia delle lettere scritte da Moro nel periodo del suo sequestro, parzialmente pubblicate dalla stampa, è davvero esemplare. Particolare attenzione il nostro autore presta alla lettera pubblicata dai giornali il 10 aprile 1978, che lascia intravedere una chiave di lettura de L’affaire Moro completamente diversa da quella accreditata dall’opinione pubblica e, almeno in parte, dallo stesso scrittore.  La lettera viene riprodotta quasi integralmente nelle pp. 68-72 del libro, riconoscendone immediatamente l’autenticità e l’importanza, in polemica con Montanelli, Antonello Trombadori e un gruppo di «amici di Moro» che ripetono di non riconoscere nella lettera il Moro che hanno conosciuto.

A prima vista il documento sembra un attacco personale di Moro al senatore Taviani, uno dei principali esponenti della DC contrari all’ipotesi di trattare con le BR; una delle tante polemiche interne tra le correnti democristiane cui quel partito ci aveva abituati. Nella lettera si ricostruisce sommariamente la carriera politica del senatore che, nel periodo in cui era stato Ministro della Difesa e dell’Interno, aveva avuto contatti frequenti con il «mondo americano» e con «Centri di potere e diramazioni segrete» (AM: 71). Alla fine della lettera Moro si pone una domanda inquietante: «Vi è forse, nel tener duro contro di me, una indicazione americana e tedesca?» (AM:74). 

 

Insomma, leggendo attentamente la lettera, sembra che lo stesso Aldo Moro sia arrivato a sospettare «interferenze di ambienti americani» nel suo sequestro. Sciascia lascia cadere la pesante domanda di Moro senza trarne tutte le conseguenze; si limita soltanto ad osservare: 


«se Moro formalmente, retoricamente, se lo domanda, non vuol dire che sostanzialmente ne è certo? E dunque l’azione delle BR – nell’aver catturato Moro, nel tenerlo prigioniero – corrisponde anche a un disegno americano e tedesco, vi concorre involontariamente, casualmente lo agevola o addirittura ne è parte?» (AM: 74-75). 

Sciascia non va oltre questi punti interrogativi. Ma l’ipotesi della regia e della diretta partecipazione dei servizi segreti americani nell’affaire Moro sarà ripresa vent’anni dopo da un Magistrato, fratello di Aldo Moro [29]. Né può essere dimenticata la testimonianza della vedova Eleonora Moro che, di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, affermerà candidamente che l’assassinio del consorte «è stato deciso molto in alto», convinta che le BR hanno soltanto svolto l’apparente funzione di esecutori e manovali di morte [30] . 

 

È strano che Sciascia su questo punto appaia evasivo e finisca per contraddirsi. Infatti, dimenticando quanto affermato precedentemente, sposta la sua attenzione critica dalla DC al PCI, accusando quest’ultimo d’essere stato il principale ostacolo ad una trattativa con le BR che potesse salvare la vita di Moro. Così nella parte finale del libro la polemica e la critica al partito comunista di Enrico Berlinguer supera in veemenza quella contro la DC. Avrà sicuramente influito ad alimentare le critiche al PCI l'aspra polemica con Giorgio Amendola sulle vicende del processo torinese contro alcuni esponenti delle BR e l'ottuso attacco di Aniello Coppola al suo silenzio che lo scrittore non mancherà di riprendere in alcune pagine de La Sicilia come metafora [31].

Avrà avuto anche la sua parte il discutibile editoriale di Rossana Rossanda apparso sul Manifesto del 28 marzo 1978 che attribuiva ai brigatisti una patente marxista-leninista di stampo sovietico. Tant’è che lo stesso Sciascia ideologicamente li considera «figli, nipoti o pronipoti del comunismo stalinista», che si fanno grottescamente interpreti di «un’etica […] carceraria maturata sulla lettura – o sul sentito dire – dei testi di Foucault», per introdurre una «esile vena libertaria nella loro pietrificata ideologia» (AM:17) 

 

Brigate rosse e mafia 


Nel penultimo capitolo de L’affaire Moro Sciascia analizza acutamente le somiglianze tra il comportamento delle Brigate rosse e quello della mafia siciliana (Cosa nostra): 

«Le BR funzionano perfettamente ma (e il ma ci vuole) sono italiane. Sono una cosa nostra, quali che siano gli addentellati che possono avere con sette rivoluzionarie o servizi segreti di altri paesi» [32]

 

Evidentemente questo passo finale del suo libro dimostra tante cose: 1) Sciascia non ha dimenticato il contenuto inquietante della lettera di Moro del 10 aprile 1978, precedentemente analizzata, in cui, parlando dei rapporti del senatore Taviani coi servizi segreti americani e tedeschi, arriva ad ipotizzare la regia straniera del suo sequestro; 2) lo scrittore siciliano, pur avendo sempre rifiutato d’essere considerato un mafiologo, è stato uno dei maggiori esperti di Cosa nostra e non c’è un suo libro  dove, in un modo o in un altro, non c’entri la mafia; 3) particolarmente illuminante risulta il riferimento al bandito Giuliano e alla strage di Portella – nodo cruciale della storia d’Italia, secondo Sciascia – quando scrive: «è facile sentir dire, specialmente in Sicilia, che questa delle Brigate rosse è tutta una storia come quella di Giuliano [32]: e ci si riferisce a tutte quelle acquiescenze e complicità dei pubblici poteri che i siciliani conoscevano ancor prima che diventassero risultanze (queste sì, risultanze) nel famoso processo di Viterbo. Atteggiamento che si può anche disapprovare, non poggiando su dati di fatto; ma che trova giustificazione in quel distico di Trilussa che dice «la gente non fidarsi più della campana poiché conosce la mano che la suona» [33];  4) infine, mostrando di non aver mai preso sul serio la matrice rossa del brigatismo italiano, conclude con una battuta che ritorna frequentemente negli ultimi scritti di Sciascia: «La loro ragion d’essere, la loro funzione (delle BR), il loro servizio stanno esclusivamente nello spostare dei rapporti di forza […]. Di spostarli nel senso di quel cambiare tutto per non cambiar nulla che il principe di Lampedusa assume come costante della storia siciliana e che si può oggi assumere come costante della storia italiana» [34].

Ritengo pertanto che non sia forzato concludere questa mia lettura critica de L’affaire Moro con le stesse parole di Leonardo Sciascia: 


«C’è in Italia un iperpotere cui giova, a mantenere una determinata gestione del potere, l’ipertensione civile, alimentata da fatti delittuosi la cui caratteristica, che si prenda o no l’esecutore diretto, è quella della indefinibilità tra estrema destra ed estrema sinistra, tra una matrice di violenza e l’altra (…). La prefigurazione (e premonizione) di un tale iperpotere l’abbiamo avuta nella restaurazione democratica, in Sicilia, negli anni cinquanta. Chi non ricorda la strage di Portella, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un paese senza verità. Ne è venuta fuori, anzi, una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo a fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere» [35]

 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 

 

 

 

 

 

 

 

COSA FARE PER IMPEDIRE CHE LA TERRA DIVENTI UN DESERTO

 

Foto di G.C. da Pixabay

Il lungo caldo

Alberto Castagnola
30 Aprile 2023

Gli ultimi controlli indicano che la concentrazione media di metano in atmosfera ha raggiunto le 1894 parti per miliardo, e quindi il secondo per importanza tra i gas serra diventerà responsabile del 52% del riscaldamento globale, evento che non si verificava da 800.000 anni. Secondo uno studio pubblicato su Nature, tra il 1700 e il 2020 il pianeta ha perso più del 20% delle zone umide e la perdita è concentrata soprattutto in Europa, negli Stati Uniti e in Cina. Uccelli migratori e molte specie acquatiche  si sono ridotti al 90% nell’ultimo decennio. Infine, secondo il Programma Alimentare Mondiale, 22 milioni di persone in Somalia, Etiopia e Kenya rischiano la fame a causa della siccità che ha colpito il Corno d’Africa. La rassegna periodica di Alberto Castagnola sugli andamenti climatici globali, gli eventi estremi e i meccanismi economici di danno ambientale


  1. Andamenti climatici globali

In base ai dati della Noaa, il 2022 è stato il secondo anno più caldo per l’Europa dopo il 2020  e il sesto più caldo a livello globale dopo il 2016, il 2020, il 2019, il 2015, e il 2017. Un altro anno quindi che conferma la tendenza inesorabile del riscaldamento atmosferico, con i dieci anni più caldi tutti successivi al 2010, e ciò malgrado la presenza per oltre dieci mesi de La Nina che comporta un qualche raffreddamento specie sugli Oceani. Il Nino, che costituisce invece un fattore riscaldante, e la Nina in genere durano ciascuno dai sei ai nove mesi ma a volte possono durare più di un anno. In generale, durante il Nino, si verifica un indebolimento degli alisei, i venti che soffiano da est verso ovest vicino all’equatore, con acque oceaniche insolitamente calde in prossimità della costa cilena. Con la Nina avviene l’opposto, con venti alisei più forti e acqua insolitamente calda spinta verso l’Asia, mentre al largo delle coste sudamericane risale un’acqua più fredda. Si può prevedere che tra febbraio e marzo La Nina perderà di intensità e gli effetti riscaldanti del Nino potrebbero sommarsi a quelli causati dai gas serra già a partire da aprile.

Gli ultimi controlli indicano che la concentrazione media di metano in atmosfera ha raggiunto le 1894 parti per miliardo, e quindi il secondo per importanza tra i gas serra diventerà responsabile del 52% del riscaldamento globale, evento che non si verificava da 800.000 anni.

La temperatura globale continua quindi a mantenersi elevata rispetto alle tendenze degli anni passati.  A New York, per la prima volta da quando  sono iniziate le rilevazioni, al 29 gennaio non era ancora stata registrata la prima neve che caratterizzava le passate stagioni invernali. Il governo argentino ha proclamato lo stato di allerta per il caldo eccezionale in nove delle 23 province del paese. Dall’inizio dell’estate australe il paese ha registrato otto ondate di caldo. Secondo uno studio pubblicato su Nature, tra il 1700 e il 2020 il pianeta ha perso più del 20% delle zone umide e la perdita è concentrata soprattutto in Europa, negli Stati Uniti e in Cina. In Europa il paese più colpito è l’Irlanda, più del 90%, seguito da Germania, Lituania e Ungheria, più dell’80%, e poi da Inghilterra, Olanda e Italia, più del 75%. Secondo il Guardian, siamo ancora in tempo per salvare le zone umide nel nord del  Canada, in  Siberia, e nei bacini del Congo e del Rio delle Amazzoni. Invece negli Stati Uniti, nel sud dell’Oregon, il lago Abert è in via di sparizione a causa della siccità e dei prelievi idrici. Si è infatti prosciugato quasi interamente nel 2014 e nel 2015, e poi ancora nel 2021 e nel 2022. Uccelli migratori e molte specie acquatiche  si sono ridotti al 90% nell’ultimo decennio. Infine, secondo il Programma Alimentare Mondiale,  22 milioni di persone in Somalia, Etiopia e Kenya rischiano la fame a causa della siccità che ha colpito il Corno d’Africa.

  • Eventi estremi

L’ondata di caldo eccezionale che ha colpito il nordovest del Sudafrica ha causato la morte di almeno otto persone in maggioranza operai agricoli. Secondo un rapporto del Nsidc, il centro nazionale statunitense per la neve e il ghiaccio, la quantità di ghiaccio marino che circonda l’Antartide ha toccato un minimo storico il 13 febbraio, nel corso dell’estate australe. La banchisa si è ridotta a 1,91 milioni di chilometri quadrati, il dato più basso da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1978. Sempre in Antartide, segnalato il 22 gennaio il distacco dell’iceberg A-81, grande due volte l’estensione della città di New York. La spaccatura, chiamata Chasm 1, era stata segnalata già negli anni ’70. poi era seguito un lungo periodo di stasi, e il movimento era ricominciato nel 2019. L’iceberg faceva parte della piattaforma di ghiaccio Brunt, e un altro iceberg, A-74, si era staccato dalla stessa piattaforma nel febbraio 2021.

Almeno 25 persone sono morte o risultano disperse nel passaggio del ciclone o tempesta tropicale Cheneso sul Madagascar. A metà febbraio il passaggio del ciclone Gabrielle sull’Isola del Nord in Nuova Zelanda ha causato 4 morti e ha costretto più di diecimila persone a lasciare le loro case.

  • Meccanismi economici di danno ambientale

Il petrolio rende come non mai. Realizzati 200 miliardi di euro di profitti sfruttando la crisi energetica mondiale. Inoltre il 10 febbraio la Russia rende noto che ridurrà del 5% la produzione di greggio. I dati più recenti sottolineano che i profitti dei Big Oil hanno raggiunto i 219 miliardi di dollari, così ripartiti: ExxonMobil 56 miliardi, Shell 40, Chevron 37, British Petroleum 27,7, Equinor norvegese 22. L’Eni non fa parte di questa categoria, ma comunque aveva raggiunto i 18 miliardi a fine settembre 2022. Come hanno impiegato cifre così ragguardevoli. Fonti attendibili sottolineano che in molti casi hanno riacquistato sul mercato le rispettive azioni e poi le hanno annullare, redistribuendo questi utili agli azionisti, che sono però in genere altre imprese. Si è molto parlato a livello dei governi della possibilità di imporre della tasse su questi extra profitti per far fronte ai danni causati dalla crisi energetica, ma i tentativi sono stati modesti e di piccole dimensioni. Ovviamente pochissimi sono stati gli investimenti per interventi sul clima.

Sembra che nel 2021 per la prima volta l’energia da fonti rinnovabili (22% del totale) ha superato le fonti fossili (20%). Sempre nel 2021 nelle energie rinnovabili sono stati investiti 382 miliardi di dollari, ma all’Africa ne sono arrivati solo 13, cioè il 3,2% del totale. Una cifra analoga è stata registrata nel sud est asiatico. Quindi in Africa più di tre quarti dell’energia è prodotta da petrolio, gas e carbone. In Sudafrica, l’azienda pubblica Eskom produce energia per l’80%  in centrali a carbone e solo dal 2021 sono stati realizzati i primi investimenti (8,5 miliardi di dollari) per uscire dal fossile.

In Brasile, dal 10 febbraio iniziate le operazioni di polizia e militari per eliminare i 20.000 minatori illegali di oro, a Roraima, nel nord del paese, nel territorio degli Yanomami.

In Perù, a Cuzco, c’è l’importante  miniera di rame a cielo aperto. Il paese è il secondo produttore mondiale di rame e argento e uno dei pricipali di oro. La multinazionale Glencore ha in concessione più del 40% del territorio, sfrutta le popolazioni locali di lingua quechua, consuma molta acqua, mentre gli abitanti hanno tracce di minerali nei polmoni e nel sangue.

La Foresta Amazzonica, per un terzo minacciata da incendi, siccità, sfruttamento forestale, costruzione di dighe e strade, inquinamento proveniente dalle miniere, caccia e pesca senza regole. La foresta ospita più del 10% delle specie di piante e animali del mondo. E’ responsabile del 16% del meccanismo della fotosintesi terrestre, e quindi il suo degrado conduce ad un aumento della Co2 nell’aria.

Sabbia dura, raccoglierla è faticoso e dannoso per l’ambiente, ma è tra i materiali più usati del mondo. Capo Verde, a Santiago, l’isola principale dell’arcipelago, enormi cumoli di sabbia nera, raccolta a mano in mare, spesso da donne, che la trasportano a riva. E’ un lavoro illegale ma tollerato dalle autorità. Viene usata nell’edilizia, nell’elettronica, nella cosmetica e in molte altre produzioni. Nel mondo, Il 70% delle spiagge sta scomparendo. In media per una casa si usano 200 tonnellate di sabbia, per un ospedale 3000, ma nel nostro immaginario le spiagge sono solo bagni di mare e ombrelloni. 

La Cambogia detiene il record mondiale di deforestazione illegale, il legname contrabbandato in Vietnam arriva anche in Europa. Tra il 2001 e il 2020 il paese ha perso circa 2,5 milioni di ettari di foresta pluviale, su 10 alberi abbatturi, nove sono illegali. Esportato dal Vietnam, nel 2022 legname e derivati hanno fruttato 16,3 miliardi di euro, mentre le esportazioni di mobili dal 2015 sono aumentate del 2% all’anno. Il narra e il palissandro sono elencati tra le specie minacciate di  sparizione. Inoltre, al posto degli alberi tagliati vengono piantati alberi della gomma, fondamentali per le ruote delle auto ma che non costituiscono certo una foresta pluviale.  L’ecosistema del fiume Mekong, il più importante del paese, è andato in crisi per le dighe sugli affluenti.

E’ ormai accertato Il salto di specie dell’influenza aviaria. I visoni di un allevamento in Spagna hanno contratto una versione mutata della malattia. Ne sono stati abbattuti 52.000 nell’allevamento. L’aviaria imperversa in Europa, con cinquanta milioni di polli e tacchini abbattuti, ma anche gabbiani e pellicani. Si dovrebbero con urgenza  mettere a punto vaccini e cure per ogni tipo di influenza animale.

La Groenlandia dipende dalla Danimarca, ma è diventata sempre più autonoma, anche se continua a ricevere consistenti sovvenzioni dalla Danimarca e dall’Europa. Misura 2,1 milioni di km quadrati, la metà dell’UE e 50  volte la Danimarca, ma ha  solo 56.000 abitanti, il 90% indigeni inuit. L’81% del territorio è ricoperto da ghacciai, una calotta glaciale spessa fino a tre chilometri. E’ quindi difficile costruire aereoporti e fino ad oggi i trasporti vengono effettuati solo con aerei da 37 passeggeri. I mari sono frequentati da frammenti di banchisa e da icerberg, mentre tempeste improvvise ostacolano i voli. Pochissime le miniere già chiuse in passato. Dovrebbe invece aprire tra poco una miniera di terre rare.

 In Uganda, dove nascono il Nilo e il fiume Congo, sono appena cominciate le trivellazioni petrolifere  e la costruzione di un mega oleodotto di 1400 chilometri che dovrebbe arrivare in Tanzania e quindi all’Oceano indiano, porto di Tanga. L’estrazione è stata affidata a imprese cinesi, e si parla  di almeno 1,4 miliardi di barili di petrolio. Si tratta quindi dell’ennesima iniziativa cinese in Africa, e tutto ciò avviene nel  cuore del Murchison Falls National Park.

 i danni ambientali del conflitto in Ukraina sono immensi. Era il secondo paese più vasto del continente europeo dopo la Russia con i suoi 60 milioni di ettari di territorio e nel 2017 era riuscita a superare i 4,5 milioni di ettari di zone protette. La vegetazione naturale e seminaturale copre il 29% del paese,  vantando circa 220 tipi differenti di paesaggio. Occupa meno del 6% dell’area europea eppure detiene il 35% della sua diversità. Dall’inizio dell’invasione, almeno 1,24 milioni di ettari di riserve naturali sono state colpite dalla guerra. Sono stati danneggiati 3 milioni di ettari di foreste e altri 450.000 ettari sono attualmente territorio occupato o zone di combattimento. Vi si trovano anche impianti nucleari, impianti di stoccaggio di rifiuti pericolosi (fertilizzanti, minerali schiuma poliuretanica,vernici, olio e lubrificanti, ecc.) Non si contano gli incendi di depositi di petrolio, stazioni di servizio, discariche, danni agli impianti di riscaldamento, depurazione e approvvigionamento idrico. E’ stata pubblicata una “Mappa dei danni ambientali” a cura di Greenpeace europa ed Eco-action, la più grande Ong ambientalista del paese. (Sintesi su Il Manifesto del 24 febbraio 2023)

La rabbia dei cittadini dell’Ohio, avvelenati dal treno deragliato a East Palestine, negli Usa. Il convoglio della Norfolk Southern conteneva 50 vagoni cisterna con sostanze velenose come il cloruro di vinile, glicole dietilenico, acido acrilico, isobutene, butilacrilato e fosgene. Metà della popolazione è stata prima evacuata e poi fatta rientrare.

  • Qualche notizia con aspetti positivi

I coralli nel Pacifico orientale sembra che stiano imparando a resistere alle alte temperature. Le barriere coralline che si trovano lungo le coste di Panama, Costarica, Messico e Colombia, colpite da episodi di sbianchimento nel 1982-83, i997-98 e 2015-2016, hanno aumentato la presenza di coralli del genere Pocillopora, capaci di ospitare alghe più adatte alle alte temperature, come la Durusdinium glynnii.

Mumbai, separata dalla terraferma indiana, è diventata a sorpresa un rifugio dei fenicotteri rosa, grazie all’espansione urbana che ha aumentato la presenza di acque reflue.  I 26 chilometri quadrati dell’insenatura, circondata da grattacieli, ponti e raffinerie, diventano tutti rosa per l’arrivo di migliaia di fenicotteri maggiori e minori. Gli esemplari sono passati dai 10.000 del 2007 ai 130.000 del 2022. Nella zona arrivano anche 150 specie di altri uccelli migratori.

Un articolo di Internazionale n. 1499, pag.74, descrive l’evoluzione di un paesino bosniaco, Pecka, quasi abbandonato, che però grazie alle iniziative di alpinisti e turisti, nonché di consistenti finanziamenti, sta cambiando rapidamente natura

 5. Due notizie sull’Italia

 Nel nostro paese, il suolo è  poco conosciuto e molto trascurato: senza lo strato fertile che fa crescere le piante,  non avremmo il 95% del cibo globale. Invece l’Italia sta perdendo due metri quadri al secondo, 19 ettari al giorno nel 2021, il valore più alto registrato negli ultimi dieci anni. Invece il suolo è la pelle viva del pianeta, brulicante di vita. In un grammo di terreno ci sono migliaia di batteri e di funghi. Lombrichi e formiche sono gli ingegneri dei suoli. I funghi che vediamo sono solo il corpo fruttifero; nel terreno il fungo vero e  proprio è costituito da una enorme rete di filamenti, le ife. Un suolo fertile può essere profondo da qualche diecina di centrimetri in montagna a qualche metro in pianura. Oltre a far crescere le piante, stocca il carbonio, alleggerendo il problema della Co2 nell’aria, e trattiene e purifica l’acqua. E’ una risorsa limitata nel breve periodo. I cambiamenti climatici contribuiscono all’erosione del terreno e alla desertificazione. L’erbicida danneggia l’intero ecosistema. La salinizzazione succede in zone vicine al mare, ma anche all’interno a causa di irrigazioni sbagliate. L’erbicida glifosato, di recente mantenuto in vita in sede europea, continua a danneggiare in particolare il suolo. Dovremmo Invece applicare ovunque una Agricoltura rigenerativa e organica (AOR).

Quanto al riscaldamento climatico, un solo dato per l’Italia: la siccità continua ad estendersi e dobbiamo prepararci ad un’altro anno di crisi idrica. Servirebbero infatti almeno 50 giorni di piogge diffuse e intense che però finora hanno colpito solo alcune regioni  e per poche ore. Il Po è di nuovo in secca, con meno 4,3 metri al di sotto del livello normale. E analoga situazione caratterizza i suoi principali affluenti. La quantità di neve sulle Alpi è dimezzata.

  • Strumenti

Greta Thunberg, The climate book, Mondadori, Milano, ottobre 2022

Edgar Morin, Di guerra in guerra, dal1940 all’Ucraina invasa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023

AA. VV. Rojava, una democrazia senza stato, Eleuthera, 2017

Gianfranco Bettin, Profezie verdi, le origini del pensiero e dell’azione ecologista, testi di Carson, Conti, Gorz,  Langer, Fondazione Feltrinelli, Milano, novembre 2021

Giuseppe Barbera, Agrumi, una storia del mondo, Il Saggiatore, febbraio 2023

Articolo ripreso da  https://comune-info.net/il-lungo-caldo/