31 luglio 2023

IL COLONIALISMO VISTO DA AIME CESAIRE


 



110 anni dalla nascita di Aimè Césaire, ex Presidente del Consiglio della Martinica, poeta, scrittore e politico ( 26 giugno 1913, Basse-Pointe, 17 aprile 2008, Fort-de-France )

 

DAL DISCORSO SUL COLONIALISMO DI A. CESAIRE

 

Una civiltà che si dimostra incapace di risolvere i problemi causati dal proprio funzionamento è una civiltà decadente.

Una civiltà che sceglie di chiudere gli occhi di fronte alle questioni cruciali è una civiltà compromessa.

Una civiltà che gioca con i propri principi è una civiltà moribonda.

Il fatto è che la cosiddetta civiltà “europea”, la civiltà “occidentale”, così come è stata forgiata da due secoli di regime borghese, è incapace di risolvere i due problemi principali che la sua stessa esistenza ha generato: la questione del proletariato e la questione coloniale; che, posta sul banco della “ragione” come su quello della “coscienza”, questa Europa é nell’assoluta impossibilità di giustificarsi ; e che, sempre più, essa si rifugia in una ipocrisia tanto più odiosa, quanto ha meno possibilità di trarci in inganno.

L’Europa è indifendibile.

Sembra questa la voce che circola, a livello confidenziale, tra gli strateghi americani.

In sé ciò non è grave.

La cosa grave è che “l’Europa” sia moralmente, spiritualmente indifendibile.

Ed oggi accade che ad incriminarla non siano più soltanto le masse europee, poiché l’atto d’accusa è stato lanciato su scala mondiale da decine e decine di milioni di uomini i quali, dall’inferno della schiavitù, si ergono a giudici.

Si può uccidere in Indocina, torturare in Madagascar, imprigionare in Africa Nera, seviziare nelle Antille. I colonizzati sanno ormai di avere un vantaggio sui colonialisti. Essi sanno che i loro provvisori “padroni” mentono.

Quindi, che i loro padroni sono deboli.

E poiché oggi mi viene chiesto di parlare della colonizzazione e della civilizzazione, è bene affrontare immediatamente e senza preamboli la principale menzogna da cui scaturiscono tutte le altre.

Colonizzazione e civilizzazione ?

Nel trattare questo argomento, il rischio maggiore consiste nel restare vittime in buona fede di un’ipocrisia collettiva, abile nel mal porre i problemi per meglio legittimare le sue abiette soluzioni.

Questo equivale a dire che il punto essenziale consiste nel vederci chiaro, nel pensare in modo limpido, nel non farsi scrupolo alcuno e nel rispondere in modo altrettanto chiaro all’innocente questione iniziale: in che cosa consiste, nei suoi principi, la colonizzazione? Diciamo subito ciò che essa non è: non è evangelizzazione, né un’impresa filantropica, non esprime alcuna volontà di sconfiggere le frontiere dell’ignoranza, della malattia, della tirannide, non é estensione di Dio, né del Diritto, ammettiamo una volta per tutte, senza paura delle conseguenze, che il gesto decisivo è qui quello dell’avventuriero e del pirata, del grande mercante di spezie e dell’armatore, del cercatore d’oro e del commerciante, della bramosia e della forza, su cui si proietta l’ombra, certamente malefica, di una forma di civiltà che, a un dato momento della sua storia, si è trovata costretta, a causa di esigenze interne, ad estendere su scala mondiale il regime della concorrenza delle sue economie antagoniste. 

Aimé CÉSAIRE, Discours sur le colonialisme, 1950

Editions PRÉSENCE AFRICAINE, 1955

 


QUESTA SERA AD AGRIGENTO SI PARLA DI GRAMSCI, PASOLINI E SCIASCIA

 


Questa sera, alle 21, nello splendido Chiostro del Museo Griffo di Agrigento, Beniamino Biondi e Maurizio Masone presenteranno il libro di Francesco Virga, Eredità dissipate: Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Editore, Bologna 2023.

Nell' occasione sarà messo particolarmente a fuoco il rapporto tra Pasolini e Gramsci, per lungo tempo ignorato dalla critica.

LA LEGGENDA DEL GRANDE INQUISITORE A MARINEO

 


Di questo celebre testo classico della letteratura mondiale ci siamo occupati più volte in questo blog. Di seguito ripropongo un pezzo pubblicato nel 2015:


RILEGGERE DOSTOEVSKIJ 

 di Francesco Virga

La famosa Leggenda del Grande Inquisitore, contenuta ne I fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij è stata recentemente ristampata, isolata dal contesto. La lettura di questo grande romanzo di Dostoevskij ha avuto un peso notevole nel processo della mia formazione. Avevo allora solo diciott’anni e ricordo che mi colpì particolarmente proprio il capitolo che l’editore Salani ha pubblicato autonomamente con il titolo Il Grande Inquisitore.
Dostoevskij nel suo libro immagina il ritorno di Gesù Cristo sulla terra, ambientando la storia nella Spagna del XVI secolo, dominata dalla Santa Inquisizione. Gesù, imprigionato dagli scribi e farisei di quel tempo, accusato d’eresia e di sedizione, viene condotto davanti al Grande Inquisitore che svolge un’arringa indimenticabile. Ne riportiamo di seguito alcuni passi:

“Abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge, hanno gioito che i loro cuori fossero finalmente sgravati dal dono terribile della libertà che tanti tormenti aveva loro causato (…). Non abbiamo forse amato l’umanità, riconoscendo con tanta umiltà la sua impotenza (…), permettendo anche il peccato alla sua debole natura, ma con il nostro permesso? Perché dunque sei venuto a disturbarci?”.

Per il Grande Inquisitore Gesù è stato un “cattivo maestro” soprattutto per aver sopravvalutato gli uomini. L’Inquisitore, dal momento che rappresenta la Chiesa come “struttura di potere”, non può considerare altro che folle il messaggio evangelico fondato sulla libertà e l’amore. Per l’Inquisitore gli uomini anteporranno sempre il piacere e l’interesse egoistico alla libertà e all’amore disinteressato. Da questo punto di vista Gesù non ha capito che gli uomini non vogliono essere liberi e considerano troppo pesante il fardello della scelta e della responsabilità.
A questo punto l’Inquisitore invita l’accusato a difendersi per evitare il rogo. Ma Gesù, che ha ascoltato mite e in silenzio le parole inquietanti del principe della Chiesa, non replica e lo bacia sulle labbra. Il Grande Inquisitore, di fronte a quest’ultimo gesto del Cristo, turbato, lo manda via libero.

La ristampa di questa memorabile leggenda dostoevskijana è arricchita da un bel saggio dell’ex magistrato Gherardo Colombo intitolato Il peso della libertà. Mi piace  concludere questa recensione riprendendo un passo dell’interpretazione del testo proposta da Colombo. 

Il Grande Inquisitore è un mistificatore sottile perché presuppone nell’uomo l’incapacità di essere libero senza dimostrarla. E’ pure presuntuoso perché delega a se stesso un potere che, se così fosse, sarebbe di Dio. Di qui l’urgenza di un’alternativa: quella cristiana di Dostoevskij, secondo cui l’amore di Dio dà all’uomo la forza di scegliere e la possibilità, non l’obbligo, di scegliere il bene; quella laica, illustrata con religiosa passione dall’ex magistrato, per la quale il rispetto dell’uomo verso l’altro può bastare a costruire una comunità di cittadini adulti contro ogni forma di potere che ci vorrebbe eternamente sudditi e bambini.

FRANCESCO VIRGA

L' ESSENZA DI TOTO' IN UNA FOTO DI UGO MULAS

 

Catturare l'essenza: Totò fotografato da Ugo Mulas a Milano nel 1957

INCENDI E MAFIA

 

ph. di MELANIA MESSINA

Ormai non fa più notizia nei giornali in TV, liquidata la faccenda come un evento imputabile al clima ed ai piromani, mai citata la parola mafia, rimangono i danni e la desolazione, la Sicilia terra di rapina e terra bruciata, colpevoli i siciliani indifferenti che esprimono una classe dirigente nel migliore dei casi inetta, altrimenti troppo impegnata a spartirsi risorse, prime vittime il bene comune e le future generazioni...io voglio documentarli questi danni al patrimonio naturale...puntata prima: il bosco di San Martino delle Scale.

MELANIA MESSINA

© Testo e photo Melania Messina che ringrazio per avermi concesso di riprodurre tutto. (fv)


A. SCHOPENHAUER contro la "buona società"

 


"La cosiddetta buona società ci obbliga a mostrare una pazienza sconfinata verso la stoltezza, la follia,
la stravaganza e l’ottusità; i meriti personali per contro debbono chiedere perdono, oppure nascondersi, dal momento che la superiorità intellettuale ferisce per il semplice fatto
di esistere, senza che la volontà vi aggiunga nulla.
La società chiamata buona ci obbliga, per armonizzarci con gli altri, a impicciolire o addirittura a deformare noi stessi. In tale società noi dobbiamo quindi rinnegare dolorosamente noi stessi e abbandonare i tre quarti di noi, per renderci simili agli altri."
Arthur Schopenhauer

B. SPINOZA, UN FILOSOFO IDEALISTA RIVOLUZIONARIO

 



"Il fine dello Stato non è quello di trasformare gli uomini da esseri razionali in bestie o in automi, ma quello di permettere che la loro mente e il loro corpo adempiano con sicurezza alle loro funzioni e gli uomini si avvalgano liberamente della ragione, non si combattano con odio, con ira o con inganno, né si sopportino con animo iniquo. Il fine dello Stato è dunque, nei fatti, la libertà."
B. Spinoza, "Trattato teologico-politico"

FILOSOFIA E COSCIENZA CRITICA


 

"Il filosofo deve essere la cattiva coscienza della sua epoca"
Friedrich Nietzsche

LEONE

 










Anche se ammansito 
resto, pur sempre, un leone! (fv)

30 luglio 2023

FISCO e LOTTA DI CLASSE

 

Il risveglio del "terzo stato"


La questione fiscale come manifestazione della 

lotta di classe

La questione fiscale non è come solitamente si pensa un fatto di bassa cucina politica, ma una espressione diretta dei rapporti di classe. Lo dimostra bene un articolo di Paolo Favilli, apparso su il Manifesto del 29 luglio, di cui proponiamo le parti salienti.

Paolo Favilli

L'ossimoro del riformismo neoliberista

(...)

Alla vigilia della Rivoluzione francese si scontrano due progetti di riforma del sistema fiscale dello Stato, un sistema fiscale che è la risultante dei continui aggiustamenti conseguenti alle diverse fasi dell’assestamento assolutistico e che quindi non ha più la forma della fiscalità feudale. Lo scontro, durissimo, ha, dunque, come oggetto la direzione dell’ormai necessario mutamento di forma, della riforma appunto. E la durezza dello scontro fu direttamente proporzionale al fatto che non di scelta tra diverse tecniche finanziarie si trattava, bensì di scelte che implicavano un profondo mutamento di equilibrio rispetto allo status quo sociale. Insomma, la riforma veniva definendosi come l’esito di una fase della lotta di classe, un esito che finì per determinarne la direzione.

Due i termini dello scontro: a) scegliere una modernità che legasse la soluzione del deficit pubblico ad un forte e decisivo allargamento della platea dei soggetti fiscali (nobili e chiesa compresi), un allargamento che di fatto preludeva anche a necessari e profondi mutamenti politico-giuridici nel rapporto tra le classi; b) scegliere di ripristinare aspetti della fiscalità feudale ormai andati in disuso e quindi scaricare totalmente il problema del deficit pubblico sulle classi subalterne.

AMBEDUE LE SOLUZIONI possono essere considerate come cambiamenti in meglio per il deficit dello Stato. Dal punto di vista dei rapporti sociali è necessario, però, rispondere al quesito meglio per chi? La risposta che per più di duecento anni ha dato la storia è estremamente chiara: le riforme sono quelle proposte da Turgot. Per gli altri si usa il termine di reazione.

(...)

IL BALZO ALL’INDIETRO nei «trenta ingloriosi» [1993-2023, gli anni del neoliberismo berlusconiani – nota nostra] si è concretizzato nel trasferimento di 12 punti di Pil da salari e pensioni a rendite e profitti. Una sinistra che proponesse un progetto di lotta per riforme tendenti alla restituzione alle classi subalterne di quell’immenso surplus loro sottratto, sarebbe esemplificativa di un riformismo definibile davvero, [come tale – nota nostra] . Il riformismo dell’antitesi.

La costruzione/ricostruzione dell’antitesi si farà (e anche in ciò non c’è nessuna predeterminazione) solo attraverso un percorso non breve e assai accidentato. Un percorso che richiede un impegno costante senza alcuna attesa risolutiva straordinaria. Un atteggiamento «riformista», insomma. Un percorso che richiede la consapevolezza che in ogni istante può esserci la possibilità di una parziale rottura del tempo determinato. Un atteggiamento «rivoluzionario», insomma.

 

(Per leggere l'articolo nella sua integralità cfr. Il Manifesto del 29 luglio 2023]

 



AD AGRIGENTO SI PRESENTA LA NUOVA EDIZIONE DI "EREDITA' DISSIPATE"

 


Martedì sera, alle 21, nell'incantevole cornice del Museo Archeologico di Agrigento, Beniamino Biondi, Maurizio Masone e Francesco Virga presenteranno il saggio Eredità dissipate: Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Editore, Bologna  giugno 2023. 

L' editore mi ha appena inviato una breve nota che spiega alcune delle ragioni che ci hanno spinto a proporre una seconda edizione del libro pubblicato l'anno scorso.

Di seguito potete leggere la nota dell'editore e la nuova Introduzione dell' autore. (fv) 

LA NUOVA INTRODUZIONE

A prima vista potrebbe apparire discutibile l' accostamento tra Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. Si tratta, infatti, di autori che hanno avuto ruoli e pesi diversi nella storia del Novecento.

 Secondo gli schemi tuttora dominanti, il primo – nonostante che di recente sia stato finalmente compreso tra i principali filosofi contemporanei[1] - continua ad essere considerato soprattutto un politico e il suo spazio, nel tempo della frammentazione dei saperi, andrebbe confinato nell'ambito della scienza politica. Mentre gli altri due - pur avendo sempre disprezzato i letterati puri e scritto tanto su giornali e riviste politiche – essendosi occupati prevalentemente di letteratura, cinema e poesia, andrebbero esaminati nell'ambito ristretto della critica d'arte e letteraria.

 

Ma se si leggono attentamente le loro opere e si dà una veloce occhiata alla vasta letteratura critica esistente, soffermandosi particolarmente su quella prodotta nell' ultimo decennio, non si tarda a cogliere il legame profondo e i tratti comuni, pur nelle loro differenze. Gramsci, Pasolini e Sciascia, seppure in modi diversi, hanno riconosciuto il peso determinante avuto dalla cultura (intesa in modo nuovo rispetto alla tradizione) nella storia e colto il legame stretto tra lingua e potere.

 

In specie i tre, seguendo vie e metodi diversi, si sono ritrovati uniti nella critica alle classi dominanti. Così come Gramsci, fin dal 1926, aveva individuato in Giustino Fortunato e Benedetto Croce ( da cui aveva pur appreso tanto) «le chiavi di volta del sistema» e «le due più grandi figure della reazione italiana»[2]; Pasolini è stato il primo in Italia, dopo Gramsci, ad aggiornare la sua analisi critica sugli intellettuali denunciando con forza il loro ruolo servile e subalterno:«Gli intellettuali italiani sono sempre stati cortigiani; sono sempre vissuti “dentro il Palazzo”».[3]

 

Leonardo Sciascia non è stato da meno nel criticare gli «intellettuali organici»[4] ai vari sistemi di potere. Infatti, fin dal 1963, nello scrivere uno dei suoi racconti più belli, Il Consiglio d'Egitto, non risparmia critiche ad archivisti, storici e preti – servi del potere del tempo – che utilizzano le loro competenze per giustificare e legittimare domini e privilegi.

 

Ma in un tempo come il nostro, in cui si parla sempre più spesso di fine della storia e dove la storia sembra davvero uscita dai suoi antichi cardini, sono tanti a pensare che non ci sia più posto per Gramsci, Pasolini e Sciascia.

 

Per questo il capitale prezioso lasciato da questi tre grandi autori rischia oggi di essere disperso e dissipato. Nell' odierna società, appiattita in un eterno presente, tanti vivono ignorando il passato e senza pensare al futuro. Ecco perchè temo, con  Leonardo Sciascia, che la memoria possa persino scomparire.

 

Nel corso delle presentazioni della prima edizione di questo libro si è tanto discusso del suo titolo provocatorio. Credo di aver spiegato alcune delle ragioni che mi hanno spinto a considerare, almeno in parte, dissipata la grande eredità culturale lasciata da Gramsci, Pasolini e Sciascia. I tre, ma­grado il successo che hanno avuto in alcuni momenti della loro vita, sono stati, in gran parte, incompresi dai loro contemporanei.

 

Antonio Gramsci si è sentito isolato e incompreso dai sui stessi compagni di lotta al punto tale che Umberto Terracini - stretto collaboratore del sardo nella redazione de L’Ordine Nuovo, fin dal 1919, e suo compagno di carcere durante la dittatura fascista - è arrivato a scrivere:

“Dal 1930 al 1945 – bisogna pur dirla almeno una volta senza perifrasi questa triste verità – la consegna fu di tacere su di lui salvo che in termini rituali e negli anniversari di prammatica. […]. E come dimenticare che , dietro lo squallido carro funebre che ne trasportò la bara al cimitero, altro non c'era che una scia di vuoto?”[5]

Non parliamo poi di quello che è accaduto in Italia dopo il 1989, quando persino gli stessi dirigenti nazionali del Partito che aveva contribuito a creare hanno apertamente dichiarato di considerarlo inservibile politicamente dopo il crollo del Muro di Berlino e dell' Unione Sovietica.

Se in Europa e in India non avessero ripreso a leggerlo un gruppo di antropologi e sociologi che hanno dato vita ai cosiddetti subaltern studies (utilizzando, fin dal nome, una parola chiave del lessico gramsciano); se, in America Latina, Paolo Freire (il pedagogista gesuita autore della famosa Pedagogia degli oppressi) non l’avesse scoperto insieme ai teologi della liberazione (G. Gutierrez, L. Boff, ecc.); se gli stessi intellettuali argentini di sinistra (vicini al populismo peronista) non avessero contribuito a diffonderne il pen­siero, oggi, forse, non si parlerebbe più di Gramsci nel mondo.

Qualcosa di simile è avvenuto con Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. 

La storia di Pasolini è stata, in gran parte, una storia di incomprensioni. Come ha ben visto Gianni Scalia, dopo la sua morte, i mezzi di comunicazione di massa si sono impadroniti di lui: il poeta bolognese è stato «interpretato, giudicato, commemorato: encasillado ( come direbbe Unamuno). Ma non compreso. Chiedeva di essere aiutato nella sua ricerca dei “perchè” della condizione presente […]. Faceva domande e sollecitava risposte[...]. Gli si rispondeva con i silenzi puntuali, le polemiche […], o, come diceva con il “silenzio”» [6].

Negli ultimi anni della sua breve vita tutti i suoi interventi, pubblicati sul Corriere della Sera e su altri giornali e periodici, sono stati accolti in modo ostile, oltre che da tutti gli uomini di potere del regime democristiano, persino da tanti intellettuali di sinistra. Basti ricordare, per tutti, gli scontri e le polemiche avute con Italo Calvino, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, ecc. ecc.

E le incomprensioni non sono ancora finite. Infatti, malgrado si continui a parlare e a scrivere tanto sulla sua opera, rimangono pochi i contributi critici seri.

 

Leonardo Sciascia è stato uno dei pochi a difenderlo e a restargli vicino nel corso degli anni. Ecco perchè lo scrittore siciliano, dopo la sua morte, dirà: «Negli ultimi anni abbiamo pensato le stesse cose, dette le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose».[7] E non è casuale che uno dei suoi saggi più discussi, L' affaire Moro, si apra proprio con una citazione di Pasolini, ripresa dal suo famoso articolo sulle lucciole del 1° febbraio 1975.

Per la verità Sciascia, come Pasolini, ha sempre diviso l'opinione pubblica e la classe politica (di governo e di opposizione), insieme alle gerarchie ecclesiastiche, hanno guardato sempre con sospetto al suo spirito eretico. Basti ricordare che, negli anni in cui scriveva sul giornale comunista L'ORA di Palermo, era soprannominato “iena dattilografa” dai suoi stessi colleghi.

Insomma, sarò pure pessimista, ma credo di avere delle buone ragioni per temere che i tre più grandi eretici italiani del 900 rischiano davvero di essere dimenticati in un mondo dove sembra che ci sia sempre meno spazio per il pensiero critico e indipendente.

Francesco Virga



[1]Basti qui ricordare che una recentissima iniziativa editoriale del Corriere della Sera, curata dal Prof. Carlo Sini,  uno dei maggiori studiosi di filosofia contemporanea, ha compreso Antonio Gramsci tra i principali filosofi del novecento accanto ad Heidegger, Popper, Russell, Sartre, Wittgenstein, ecc.

[2]GRAMSCI, Antonio, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 150

[3]PASOLINI, Pier Paolo,  Lettere luterane, Einaudi, Torino 1976, pp. 93-94.

[4]Questo termine gramsciano è stato sempre fonte di equivoci e malintesi. Cercherò di chiarire il significato che esso assume nel lessico e nella visione del mondo gramsciana più avanti.

[5]TERRACINI Umberto, Prefazione a Laurana Lajolo, Gramsci un uomo sconfitto, Rizzoli, Milano 1980, p. 10. Si rimanda anche ad altri suoi due libri: Intervista sul comunismo difficile , a cura di Arturo Gismondi, Laterza, Bari1978 e Quando diventammo comunisti, a cura di Mario Pendinelli con Prefazione di Davide Lajolo, Rizzoli, Milano 1981

[6]SCALIA Gianni, La mania della verità. Dialogo con Pier Paolo Pasolini, op. cit., pp.50-51

[7]SCIASCIA Leonardo, Nero su nero, Einaudi, Torino 1979, p. 176.

 

 NOTA DELL' EDITORE

Un libro che enuncia con lucidità, su base storica, una tesi che riguarda il presente non è un libro di storia, o almeno non lo è in senso proprio: parla del passato per parlare della direzione che, nel presente, porta al futuro. Ovvio che faccia molto discutere. Già fanno discutere i libri che parlano di storia, soprattutto quando raccontano gli eventi e li interpretano offrendo nuove prospettive. Ma il passato è passato - è stato, vixerunt - il futuro non c'è ancora, non sappiamo quale sarà, ma ci sarà e si prepara nel presente. 

Nei primi sei mesi dalla prima edizione Eredità dissipate - il titolo enuncia la tesi dell'autore - ha fatto molto discutere. L'opera si è arricchita di commenti, di risposte dell'autore, di dialoghi tra autori di questo e di altri libri. Ho proposto all'autore una nuova edizione che rendesse ragione di tutto questo, mantenendo l'unità del volume, pur molto arricchito, anche di nuovi saggi. Ma le eredità, per l'autore, restano dissipate. Non dirò la mia su questo tema: l'editore dà voce agli autori, anche se, qualche volta, vorrebbe essere autore egli stesso.

Bologna, 30 Luglio 2023                                                      Mario Trombino 

 

29 luglio 2023

MEDITERRANEO IN FIAMME

 


Mediterraneo, quello che succede fa molta paura


Lan Wei e Rachida El Azzouzi
29 Luglio 2023

L’umanità entra ormai nell’”Era dell’ebollizione mondiale”, avverte il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres il 27 luglio. L’Organizzazione meteorologica mondiale e il servizio europeo sul cambiamento climatico Copernicus avevano appena annunciato che il luglio 2023 stava per diventare il mese più caldo della storia dell’umanità. Questa ebollizione ha già sprofondato nell’incubo 510 milioni di abitanti e tutti gli organismi viventi nel bacino mediterraneo. Nelle ultime due settimane, gli incendi boschivi sono infuriati in diversi paesi del Mediterraneo: Algeria, Grecia, Italia, Tunisia, Spagna, Portogallo, Croazia… Le temperature hanno battuto record in molte città: 49°C a Tunisi, 48,7°C C ad Algeri, 48,2°C a Jerzu (Sardegna), 47,8°C a Siracusa e 47°C e poi 52° a Palermo (Sicilia)… 

Nel nord dell’Algeria, che ha preso fuoco più del solito, i 140 incendi non sono stati completamente spenti e le perdite sono già pesanti. Almeno trentaquattro persone, tra cui dieci soldati, hanno perso la vita. Centinaia di case sono crollate, migliaia di ettari di foreste e raccolti, compresi alberi da frutto, sono stati distrutti.


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Nelle isole greche e nel centro del paese gli incendi si sono propagati ai piedi delle abitazioni. Quattro persone sono morte, tra cui due vigili del fuoco. 50.000 ettari di vegetazione sono stati bruciati, secondo l’Osservatorio Nazionale di Atene. Dall’isola di Rodi, un “inferno in terra” secondo gli abitanti, sono state evacuate 20mila persone. Stavros Ntafis, fisico dell’Osservatorio nazionale di Atene, dice che l’area bruciata ha superato i 45.000 ettari, il doppio rispetto allo scorso anno e il triplo rispetto al 2020.

In Sicilia, questa settimana, cinque persone sono morte a causa di gravi incendi. Le ondate di calore hanno sciolto le linee elettriche e paralizzato temporaneamente il traffico stradale e le reti di telefonia mobile, rendendo più difficile per i civili chiamare i soccorsi, dice Davide Faranda, ricercatore del Laboratorio di Scienze del Clima e dell’Ambiente, che segue da vicino le situazioni “catastrofiche” nella sua regione natale. “Gli incendi e il caldo hanno causato mega-impatti, stiamo raggiungendo il limite dell’adattamento agli estremi”, insiste.

Anche il mare bolle. Lunedì 24 luglio, l’Istituto di scienze marine di Barcellona ha annunciato un valore medio di 28,71°C nel Mediterraneo, la temperatura giornaliera più alta mai registrata. Nel Mar Ionio, al largo dell’isola di Corfù (Grecia), i valori hanno raggiunto i 31°C, “inaudito”, secondo Stavros Ntafis. “Non è solo un riscaldamento causato dalla variazione stagionale, la temperatura di questo mare sta aumentando di anno in anno. Quello che sta accadendo ci spaventa moltissimo”, avverte Sabrina Speich, oceanografa dell’Istituto Pierre-Simon-Laplace e professoressa di geoscienze all’École Normale Supérieure.

Gli estremi meteorologici sono il risultato diretto di due anticicloni straordinari successivi, che hanno interessato quasi tutta la regione mediterranea per più di due settimane. “È un fenomeno unico”, ha detto Emmanouil Flaounas, climatologo presso il Centro ellenico per la ricerca marina, che vive a Papagos, a nord-est di Atene. Di notte, la temperatura della città rimane spesso sopra i 26°C, la soglia per le ondate di caldo fissata dal servizio meteorologico greco.

Hotspot del deregolamento climatico 

Il cambiamento climatico aumenta la frequenza di questi fenomeni estremi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), su scala globale, le ondate di calore che si verificavano una volta ogni dieci anni e ogni cinquant’anni ora hanno la possibilità di riprodursi rispettivamente tre volte e cinque volte. In uno studio pubblicato martedì 25 luglio, World Weather Attribution, rete di ricerca internazionale specializzata nell’analisi di eventi estremi, ha attribuito al cambiamento climatico le ondate di calore vissute dall’Europa meridionale tra la seconda e la terza settimana di luglio.

La situazione nel Mediterraneo mostra ciò che il mondo potrebbe aspettarsi con un riscaldamento globale di +1,5°C. Se le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili hanno già aumentato la temperatura media globale di quasi 1,2°C rispetto ai livelli preindustriali, il bacino del Mediterraneo, dove i segnali del riscaldamento globale sono amplificati – è un punto caldo del cambiamento climatico, come le regioni polari – si è già riscaldato di 1,5°C.

E il futuro del bacino dipenderà dalla quantità di gas serra che l’umanità si permetterà di emettere nell’atmosfera. Uno studio della Rete mediterranea di esperti sui cambiamenti climatici e ambientali (MedCCC) indica che entro il 2100 la temperatura della regione potrebbe aumentare di ulteriori 0,5-6,5°C, a seconda delle traiettorie.

Rischio di mancanza d’acqua

In Tunisia “le piante sono state bruciate e gli animali hanno sofferto il caldo”, racconta Emna Gargouri, docente-ricercatore di idrologia all’Università di Tunisi El-Manar, che vive nella capitale. Le foglie degli ulivi chiudono le loro cellule per ridurre l’evapo-traspirazione a discapito della produzione di fiori e frutti, mostrando così un aspetto biancastro. Il caldo eccessivo ha portato le popolazioni locali in un circolo vizioso: le interruzioni di corrente erano frequenti, spiega la ricercatrice, “causate probabilmente da picchi di consumo di energia elettrica dovuti all’uso dei condizionatori”.

È evidente anche la grave siccità che colpisce l’intero paese, un problema a lungo termine aggravato dal caldo. A causa dei successivi episodi di grave siccità dal 2016 e dell’allarmante deficit di approvvigionamento idrico delle dighe – che potrebbe raggiungere il 66,1% in alcuni punti – la fornitura di acqua potabile è stata interrotta dall’oggi al domani dal 29 marzo 2023, riferisce.


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A Marrakech, dove le temperature hanno raggiunto i 47°C, l’effetto più eclatante delle altissime temperature è anche “la pressione sulle risorse”, aggiunge Mohamed Elmehdi Saidi, professore all’Università Cadi-Ayyad (Marocco). Questo “spinge lo stress idrico a livelli allarmanti, con il rischio di tagli all’acqua corrente”, dice preoccupato l’idrogeologo.

Secondo Yves Tramblay, idrologo presso l’Istituto di ricerca per lo sviluppo (IRD), gli scenari idrologici del Maghreb sono molto pessimisti. “I paesi del Maghreb dipendono molto dalle dighe, soprattutto per le colture agricole”. E aggiunge: “È catastrofico per le dighe”.

Il geografo tunisino Habib Ayeb, fondatore dell’Osservatorio della Sovranità Alimentare e dell’Ambiente in Tunisia, è preoccupato per la perdurante ingiustizia fatta al Sud: “Il Nord Africa non è solo un punto caldo del caos climatico, è un punto caldo della colonizzazione. Ed è questa colonizzazione che è in gran parte responsabile dei disastri che stiamo vivendo. Le ondate di caldo estremo che travolgono la regione, gli incendi micidiali che devastano il nord-est dell’Algeria, la siccità che batte record anno dopo anno rivelano – secondo il ricercatore – ancora una volta le disuguaglianze Nord-Sud che hanno le loro radici nella colonizzazione… Questo ci ha fatto precipitare nel sottosviluppo e il capitalismo frenetico ci ha imprigionati”.

Per Habib Ayeb, “è ora di farla pagare ai Paesi del Nord, quelli che inquinano il mondo, e che litigano se limitare il riscaldamento globale a uno o due gradi, come se stessimo trattando la vendita di una buona volontà mentre bruciamo”. Mentre in Nord Africa si aggravano le carenze idriche, risorsa essenziale per la vita, egli indica “sprechi devastanti”: “Nei nostri tre Paesi, Marocco, Algeria, Tunisia, ce n’è abbastanza per sfamare l’attuale popolazione se smettiamo di sprecare acqua, pompandolo come se fosse olio per irrigare colture esclusivamente destinate all’esportazione…”.

NB: come avevamo già scritto in Resistenze ai disastri sanitari ambientali ed economici nel Mediterraneo (scaricabile gratis) la situazione di quest’area è la più allarmante a livello mondiale… ma i governanti e i dominanti a tutti i livelli non solo non fanno nulla per frenare il disastro totale ma aumentano le fonti e cause di tale disastro che è pagato con la vita dalla popolazione meno fortunata. 


Pubblicato su Mediapart.fr (con il titolo originale En Méditerranée, «ce qui se passe nous fait très peur»), tradotto per Comune da Salvatore Turi Palidda (collaboratore del giornale indipendente francese)